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 A.O.R.
SAMUEL PURDEY - MUSICALLY
ADRIFT (1999)
DICK St. NICKLAUS - MAGIC (1979)
DICK St. NICKLAUS - SWEET AND
DANDY (1980)
SANFORD &
TOWNSEND - THE SANFORD/TOWNSEND BAND
(SMOKE FROMA A DISTANT
FIRE) (1976) 
 Un esordio folgorante, a livello di Careless
(Stephen Bishop) o Mannequin
(Marc Jordan), e dopo 30 anni conserva inalterata la
stessa detonante potenza di un Montepulciano
dAbruzzo vecchio. Ed Sanford e John Townsend
avevano già lasciato un segno su Native Sons,
firmando le cose migliori - Wasting Our Time; Peacemaker
- dellultimo disco di Loggins & Messina, ma con
laccurato restauro di alcuni stereotipi ormai
consunti (R&B, 'southern rock', soul) stavano
tracciando le coordinate di un nuovo codice espressivo,
forse senza neanche rendersene conto. Una band
formidabile, due autori di levatura straordinaria e la
voce di Townsend, una delle più belle di tutti gli anni
Settanta, sicuramente la più sottovalutata: estensione
incredibile, impeto mascolino e un timbro stentoreo che
deve qualcosa a Daryl Hall, Glen Campbell e Tom Jones. A
dispetto della scarsa popolarità, lalbum
custodisce alcuni documenti essenziali dellarchivio
A.O.R. e almeno
un paio di classici (Smoke From A Distant Fire; Does
It Have To Be You) che hanno dimostrato ben altra
longevità rispetto alle produzioni di moda
allepoca. Dal perfetto amalgama di organo e piano
elettrico emergono i briosi interventi del batterista Jim
Varley e delleccentrico Otis Hale, che passa con
naturalezza dalla chitarra al sax. Ideale per resuscitare
i cadaveri, Shake It To The Right diffonde una
contagiosa voglia di muoversi (... I got ants in my pants and I just might
dance all night ...). Leffervescente
ottimismo che trasuda dalla musica si infrange sul testo
di Moolah Moo Mazuma (Sin City Wahh-Oo), torbido
commentario a base di splendori e miserie in scena a Los
Angeles. Oriental Gate (No Chance Of Changin My
Mind) è una focosa serenata tinta di gospel, turbata
da passioni proibite e interpretata con ardore da John
Townsend e Kenny Loggins. Registrato nei mitici Muscle
Shoals in Alabama. Prodotto da Jerry Wexler e Barry
Beckett. Sponsorizzato da Loggins. Censurato dalla radio
e dai giornalisti. - B.A.
SANFORD
& TOWNSEND - DUO GLIDE (1977)
LEO SAYER - ENDLESS
FLIGHT (1976)
LEO SAYER - THUNDER IN
MY HEART (1977)
BOZ
SCAGGS - SLOW DANCER (1974)
BOZ SCAGGS - SILK
DEGREES (1976)
 Tutto dun tratto, lestate.
Sappiamo qual è il vostro assillo. Vi serve un album
concreto, ottimista, intelligente, che la conquisti alla
prima nota di autoradio. Noi vi suggeriamo i Toto in
procinto di fondare
i Toto: è durante queste
sedute di registrazione che David
Paich, David
Hungate e Jeff
Porcaro maturano lidea di mettersi in proprio
ma certo, la sezione ritmica più ambita del
mondo, laccorta regia di Joe
Wissert, due chitarre di lusso (Fred
Tackett, Louie
Shelton), alcuni specialisti che si alternano (Plas
Johnson, Jim Horn,
Tom
Scott, Chuck
Findley, Bud Shank
etc.) ed ecco la magica formula degli Steely Dan (il
batterista italo-americano era reduce dalla memorabile
esperienza di Katy Lied)
applicata con successo anche da Boz Scaggs.
Impostate i controlli di tono con cura, appena un
po di treble, i bassi vanno bene
flat, volume alto ma senza esagerare
fate partire Lowdown
seguite ladagio babilonese
(
drive west on sunset
to the sea
) e guidate verso il mare
da irrecuperabili fregnoni incapaci di battere un chiodo
vi sentirete addosso il fascino di George
Clooney
calma! lasciate che lipnotica
pulsazione slap/groove e
il seducente amalgama di flauto e cori lavorino per voi (
whooooo, I wonder wonder
wonder wonder who
), poscia irretitela con What
Can I Say, Georgia, Its Over
per lindispensabile
sfoggio di cultura cè What
Do You Want The Girl To Do, allorquando
osserverete con nonchalance che Boz coglie bene la
dolente, premurosa dedica al gentil sesso del capolavoro
di Allen
Toussaint, pur senza insidiare la stratosferica,
definitiva versione di Lowell
George (Thanks Ill
Eat It Here)
procedete implacabili con Lido
Shuffle, servirà a farle capire che dietro il tenero
faccione da Cicciobello
palpita un ruvido cuore rock
(senza offesa, ma chi vi conosce? stiamo solo
congetturando)
il soave clima marittimo di Harbor
Lights smantella le difese residue e quando arriva Were
All Alone - romantica ballad ripresa da Rita
Coolidge (Anytime
Anywhere) e di cui Bob James offrirà
uno strepitoso arrangiamento fusion
(Heads) - è già ora di alzare la capote
unultima avvertenza: non fate la cazzata di
ostinarvi con lA.O.R.
in caso di rigetto, proponete una bella
compilation di X-Factor
per affinare i gusti
cè sempre tempo
- B.A.
BOZ SCAGGS - DOWN
TWO THEN LEFT
(1977)
 Ray-Ban
modello Aviator, camicia aperta sul collo, abito
di taglio italiano, statue di ghiaccio in copertina a
simboleggiare un impeccabile stile cool: nel
1977 Boz Scaggs
impersonava larchetipo A.O.R.
statunitense, affine e simmetrico alleuropeo Robert Palmer, al
cui timbro meticcio opponeva un personalissimo falsetto
nasale. Reduce dal trionfo di Silk
Degrees, con Down Two Then Left egli
concepì un sequel persino più bello del disco
precedente, pur senza ripeterne gli incassi
stratosferici. Subentrato a David
Paich nel ruolo di supervisore musicale, Michael
Omartian accentua ulteriormente la virata espressiva
dal rock al soul,
suonando le tastiere e affidandosi al prezioso supporto
di Jeff
Porcaro: linesauribile propulsore tricilindrico
del batterista (rullante/charleston/grancassa) traina
tutto lalbum. La canzone pop diventa adulta grazie
alleleganza degli arrangiamenti e alla classe degli
assoli, ma la confezione lussuosa contiene sempre
unidea brillante: la chitarra di Steve
Lukather (A Clue), il flicorno di Chuck
Findley (Were Waiting), le splendide
aperture melodiche (Still Falling For You; Whatcha
Gonna Tell Your Man; Hollywood) e le atmosfere
ad alta tensione (Hard Times; Gimme The Goods;
1993). Con levocativo
titolo di Tomorrow Never Came, Boz ripropone una
ballad sulla falsariga dellindimenticabile Were
All Alone (Silk Degrees)
che, però, resta insuperata. Produzione del saggio Joe
Wissert (Gordon
Lightfoot, Helen
Reddy etc.). - B.A.
BOZ
SCAGGS - MIDDLE MAN (1980)
DIANE
SCHUUR - SCHUUR THING (1985)
MARILYN SCOTT - DREAMS OF
TOMORROW (1979)
MARILYN SCOTT - WITHOUT
WARNING (1983)
MARILYN SCOTT - SKY DANCING (1991)
MARILYN SCOTT - SMILE (1992)
MARILYN SCOTT - TAKE ME WITH
YOU (1996)
MARILYN SCOTT - AVENUES OF
LOVE (1998)
MARILYN SCOTT - WALKING WITH
STRANGERS (2001)
SEA LEVEL - SEA LEVEL (1977)
SEA LEVEL - CATS ON THE
COAST (1978)
SEALS & CROFTS - YEAR OF
SUNDAY (1972)
SEALS & CROFTS - SUMMER
BREEZE (1973)
SEALS & CROFTS - DIAMOND GIRL
(1974)
SEALS & CROFTS - ILL
PLAY FOR YOU (1975)
SEALS & CROFTS - GET CLOSER (1976)
SEALS & CROFTS - SUDAN
VILLAGE (1976)
SEALS & CROFTS - ONE ON ONE (1977)
SEALS & CROFTS - TAKIN
IT EASY (1978)
SEALS & CROFTS - THE LONGEST
ROAD (1980)
DARA SEDAKA - IM YOUR GIRLFRIEND (1982)
BEN
SIDRAN - FEEL YOUR GROOVE (1971)
BEN
SIDRAN - I LEAD A LIFE (1972)
BEN
SIDRAN - PUTTIN IN TIME ON PLANET
EARTH (1973)
BEN
SIDRAN - DONT LET GO
(1974)
BEN
SIDRAN - FREE IN AMERICA (1976)
BEN SIDRAN - THE
DOCTOR
IS IN (1977) 
BEN SIDRAN - A
LITTLE KISS IN THE NIGHT (1978)

 Ben Sidran ha
compiuto il miracolo di convertire i profani e recuperare
i disillusi al jazz. Quando un
minimo di attenzione rappresenta una fatica eccessiva o
la noia della routine provoca una crisi di rigetto, ecco
che il suo approccio fondato sulla concretezza suscita un
interesse inatteso o riaccende lentusiasmo sopito.
Neanche dopo tanti anni di carriera, tuttavia, gli è
stato adeguatamente riconosciuto il merito di aver
connesso due generi così diversi come hard-bop
e canzone dautore in un idioma spontaneo e
godibile. Brillante epigono di Mose
Allison, egli si è ritagliato una nicchia di
visibilità - in convergenza parallela con Michael Franks -
nellimpegnativo cimento di accostare la platea pop
a una musica più sofisticata. The Doctor Is In e A
Little Kiss In The Night segnano il passaggio a un
livello di rifinitura formale superiore rispetto ai pur
ottimi album pubblicati fino a quel momento.
The Doctor Is In - Il superlativo gruppo stabile -
Larry
Carlton (chitarre), Phil
Upchurch (basso elettrico), John
Guerin (batteria) - garantisce un lussuoso supporto
al tumido piano acustico del titolare, esaltando
leleganza di raffinatissime pagine come Get It
Yourself, Song For A Sucker Like You, One
Way Grave, See You On The Other Side, Set
Yourself Free, Nobodys Fool. Su Broad
Daylight, capolavoro della scaletta, i crucci del
protagonista derivano da una morosa disposta a
frequentarlo, ma non alla luce del giorno. Gli
estemporanei assoli di Blue
Mitchell attestano il legame ideale con la Blue Note, poi
confermato dallinterpretazione di Silvers
Serenade (dallomonimo disco di Horace
Silver) e dallo scoppiettante swing di Charlies
Blues, con Richard
Davis e Tony
Williams a ricomporre la straordinaria sezione
ritmica di Out To Lunch!
e Point Of Departure.
Forse in omaggio alla monumentale mole del compositore,
la versione in trio di Goodbye Pork Pie Hat mette
in scena la possente cavata di Chuck
Domanico (contrabbasso).
A Little Kiss In The Night - Con una copertina che
richiama il medesimo tema concettuale espresso da Rupert
Holmes su Pursuit Of Happiness, Sidran cerca
di ingraziarsi le attenzioni del frivolo pubblico del
1978 (punk,
febbre,
riflusso)
almeno con limmagine
i contenuti rimangono
immuni da compromessi di sorta. Tanto per chiarire il
livello, su Kiss In The Night sfilano Jay
Graydon e Phil Woods,
luno addetto ai ricami sul tessuto strumentale,
laltro in preda allentusiasmo per le
frequenti, prestigiose convocazioni di quei giorni [Steely Dan (Katy Lied), Billy Joel
(The Stranger), Phoebe
Snow (Never Letting Go),
Mel
Tormé (A New Album / The
London Sessions)]. Il sax alto dellerede di
Charlie
Parker svetta anche su Moose The Mooche, a
sancire lo spessore di un inestimabile retaggio
artistico. Se The Cadillac Kid avrebbe potuto
fungere da perfetta colonna sonora per un poliziesco anni
Settanta, Thats Life I Guess e Doing You
illustrano uno stile in cui la componente vocale ha pari
dignità rispetto ai fraseggi dei solisti. Riesumandola
dal suo terzo LP (Puttin In Time On Planet Earth),
Ben sottopone a un elegante restyling sinfonico Face
Your Fears, instant classic in forma di
ballad esistenziale di cui è doveroso conoscere entrambe
le splendide versioni. La propulsione degli arrangiamenti
è fornita da specialisti affidabili come Abe
Laboriel, Bob Glaub,
Gerald Johnson (basso elettrico) e Bill Meeker
(batteria). - B.A.
Consulenza
/ Assistenza: Lorenzo
7Panella
BEN
SIDRAN - LIVE AT MONTREUX (1979)
BEN SIDRAN - THE
CAT
AND THE HAT (1980) 
Il progetto era
rischioso: amalgamare hard-bop
e fusion
con liriche dautore, senza annacquare nessuno dei
tre ingredienti. Una solida cultura letteraria e il
retroterra di ex-critico musicale - autorevole e
competente - consentirono a Sidran di non combinare
pasticci. Sebbene egli non abbia fatto proseliti (a meno
di non considerare epigono Gegè Telesforo
siamo seri) la qualità elevata e costante dei
suoi dischi è prova di un talento indiscutibile. Con The
Cat And The Hat egli perfeziona la collaudata formula
degli standard jazz riproposti con
le parole, aggiunte o ritoccate. Gli adattamenti sono
così eleganti che si ha limpressione di ascoltare
delle splendide canzoni nate già come tali: due esempi
da 10 e lode sono Ask Me Now di Monk e
Girl Talk di Neal Hefti. Un piccolo drappello di
virtuosi (Michael Brecker, Joe Henderson, Tom Harrell, Mike
Mainieri etc.) maneggia il materiale con grande
confidenza, sfruttando gli ampi spazi disponibili per
immettere assoli a volontà. Seven Steps To Heaven,
il capolavoro scritto da Victor Feldman per Miles
Davis, è percorso dalle crepitanti rullate di Steve
Gadd, che dimostra la veridicità dellassunto -
invero abusato - secondo cui la batteria può diventare
uno strumento melodico. Il recupero filologico continua
con Like Sonny, un classico firmato da Coltrane su
imbeccata di Rollins: allintrigante tema di sapore
esotico, esposto dal sintetizzatore, segue una gustosa
divagazione funk che evidenzia la sbalorditiva modernità
del pezzo. Hi-Fly e Give It To The Kids
traggono beneficio dalle più lucide tendenze stilistiche
di fine anni Settanta. - B.A.
BEN
SIDRAN - OLD SONGS FOR THE NEW DEPRESSION
(1981)
BEN SIDRAN - BOP CITY
(1983) 
 Eddie
Gomez e Peter
Erskine colonne della sezione ritmica, Mike
Mainieri virtuoso del vibrafono (Big Nick, It
Didnt All Come True, City Home, Monks
Mood) e sagace co-produttore, Phil Woods
[Solar, Bop City (Theme From Jazz Alive!),
Up Jumped Spring] e Steve Khan (Little
Sherry, Nardis) che si alternano come ospiti
di lusso
chi non vorrebbe fare un disco con questa
band? Il prestigio di Ben
Sidran come studioso serio*, esperto autorevole,
pianista egregio e cantautore sofisticato agevolò un
così impegnativo reclutamento. Se lo stupendo The Cat And The Hat era
il manifesto della canzone fusion,
Bop City ripiegava su cool e hard-bop,
elaborando una brillante parafrasi vocale
dellintegerrimo mainstream proposto dallo stesso Phil Woods
dal 1977 (Song For
Sisyphus) e per tutti gli anni Ottanta (European
Tour Live, Birds Of A
Feather, Heaven, Integrity, Gratitude,
Evolution, Heres
To My Lady, Flash, Real Life etc.).
Laristocrazia del jazz (Miles
Davis, John
Coltrane, Charlie
Rouse, Freddie
Hubbard, Thelonius
Monk) contribuisce alla scaletta a propria
insaputa: il folgorante incipit di Solar (
time isnt passing, it
just keeps going round
), un buffo
motivetto estrapolato dalla coltraniana
Big Nick, poi ricondotto al legittimo rango dai
fraseggi del contrabbasso, latipico blues di Little
Sherry scandito dalle spazzole, i ricami della
chitarra acustica sulla tenebrosa Nardis, il
valzer primaverile di Up Jumped Spring, le dolenti
note di Monks Mood illustrano con chiarezza
come Sidran sappia tradurre venerati standard strumentali
in preziosi arrangiamenti canori. Con lintensa
interpretazione di City Home egli rende omaggio a Mose
Allison, suo principale ispiratore. A conferma del
momento felice, uno delle pagine più belle è
lautografa It Didnt All Come True.
Insieme a Steely Dan
e Michael Franks,
Ben Sidran è
lartista che meglio ha saputo accostare
limprovvisazione alla pop-song. [P.S. - *Libri: Black Talk. Radio: Jazz Alive!; Sidran On Record; Talking Jazz.] - B.A.
BEN SIDRAN - ON THE
COOL SIDE / HEAT WAVE (1985)
BEN SIDRAN - TOO
HOT TO TOUCH / ENIVRE DAMOUR
(1988)
BEN
SIDRAN - DYLAN DIFFERENT (2009)
PAT
SIMMONS - ARCADE
CARLY
SIMON - NO SECRETS (1972)
CARLY
SIMON - HOTCAKES (1974)
CARLY
SIMON - PLAYING POSSUM (1975)
CARLY
SIMON - ANOTHER PASSENGER (1976)
CARLY
SIMON - BOYS IN THE TREES (1978)
CARLY
SIMON - SPY (1979)
CARLY
SIMON - COME UPSTAIRS (1980)
CARLY
SIMON - TORCH (1982)
PAUL
SIMON - STILL CRAZY AFTER ALL THESE YEARS
(1975)
PAUL
SIMON - GRACELAND (1986)
SNEAKER - SNEAKER
(1981) 
Reggetevi forte:
esiste una canzone scritta da Walter Becker e Donald
Fagen incisa nel 1981 da un gruppo non esattamente
rinomato ... gli Sneaker. Dont Let Me In
risale allepoca pre-Steely Dan, quando i due
fricchettoni cercavano ancora di affermarsi come autori.
La loro versione, alquanto acerba, può essere
rintracciata nel doppio CD Catalyst, una
pubblicazione di straordinario valore documentale. La
cover realizzata da questo gruppo - oscuro ma valoroso -
dona alla canzone i necessari ritocchi estetici: chi
fosse cresciuto con le note di Rose Darling e Barrytown
al primo ascolto rischia una crisi acuta di nostalgia.
Quelle progressioni armoniche così inequivocabili, e
quel tocco di romantico cinismo che nelle parole di
Donald e Walter è sempre presente: ... I hear you found a brand new friend /
well if I try to take you back again / if I decide to
make a mend / dont let me in ... you hear a
knocking on your door / a pounding of a heart you
cant ignore / soon it isnt there no more /
dont let me in .... Daccordo, ma
gli arrangiamenti? Scusate se il produttore e chitarrista
dellalbum è Jeff Baxter, veterano degli anni
Settanta a cui va il merito di aver disseppellito questa
gemma inestimabile. Se le coronarie avranno retto
lemozione di un inedito così prezioso, e dopo
uniniziale, legittima sottovalutazione degli altri
brani, si rimarrà piacevolmente sorpresi dal livello del
materiale originale: non cè nulla che meriti meno
di 8½. Dal tipico sound A.O.R.
di Jaymes, One By One, No More
Lonely Days e Get Up, Get Out, alla morbida
ballad More Than Just The Two Of Us, al retrogusto
pop di In Time, che evoca alcune cose dei Beatles psichedelici.
Il debito col miglior rock inglese si fa ancora più
ingente su Looking For Someone Like You e Millionaire.
- B.A.
Consulenza: Lorenzo
7Panella
PHOEBE
SNOW - PHOEBE SNOW
(1974)
Vero nome Phoebe
Laub. Nata e cresciuta a New York. Figlia del Greenwich
Village, si esibiva come folk-singer al Bitter
End, dove fu scovata da un lungimirante emissario
della Shelter Records. Scritturata seduta stante,
pubblicò un esordio discografico di raro spessore,
rivelando subito unanima divisa tra soul e jazz.
La sua voce coniuga unestensione illimitata con un
timbro di gola seducente, vespertino, che in termini di
potenziale espressivo evoca le figure di Aretha, Gladys e
altre grandi sacerdotesse del tempio
Atlantic/Motown/Stax. Appena ventiduenne, Phoebe firmava
già canzoni in cui la profondità dei testi combaciava
con una straordinaria consistenza musicale. Gli
arrangiamenti sono concisi ma ideali per mettere in
risalto la bellezza dei temi. La chitarra acustica
dellautrice dialoga, di volta in volta, con il
piano di Teddy Wilson (Harpos Blues), il sax
tenore di Zoot Sims (It Must Be Sunday), il dobro
di David Bromberg (Either Or Both), le chitarre
elettriche di Dave Mason (No Show Tonight) e Steve
Burgh (I Dont Want The Night To End). Sulla
classica Good Times di Sam Cooke, il gruppo vocale
dei Persuasions duetta con Phoebe in uninconsueta,
trascinante versione gospel-blues. Poetry Man,
suggestiva melodia sospesa su un arpeggio di accordi
raffinatissimi, arrivò al quinto posto nella classifica
dei singoli e ottenne una nomination al Grammy Award,
quando quel premio significava ancora qualcosa. - B.A.
PHOEBE SNOW - SECOND
CHILDHOOD
(1976) 
A pari merito con The Royal Scam e Songs In The Key Of Life,
è il più bel disco americano del 1976. Provate ad
ascoltarlo partendo dallultimo brano - Theres
A Boat Thats Leavin Soon For New York,
classico di George Gershwin da Porgy And Bess -
introdotto dal piano elettrico di Don Grolnick a cui, con
discrezione, si affianca unelegante sezione fiati
che, nel finale, lancia la spettacolare fuga jazz guidata da Jerome Richardson
(flauto) e Grady Tate (batteria): difficile restare
indifferenti di fronte a tanta classe e a una voce di
tale levatura. Non basta: linterprete magistrale
possiede anche eccellenti doti di autrice. Lo stile
abbozzato nel primo album è ormai maturo, e il suo
sviluppo istologico raggiunge uno stadio
evolutivo in cui i generi pre-esistenti vengono sublimati
in unautentica fusion
canora, peculiare corrente espressiva che non vanta
riconoscimenti ufficiali né eredi ma che, prima di
essere assorbita dal movimento A.O.R.,
lascerà reperti inestimabili in pochi, splendidi album (From A Whisper To A Scream,
Perfect Angel, Fathoms Deep, The Art Of Tea, To The Heart, Raw Silk, Stonechaser). I
ritmi disco e i sussulti rock
- tipici di alcune produzioni coeve - lasciano spazio ad
arrangiamenti che privilegiano il suono policromo della
Gibson 335, la rotonda duttilità del Fender Rhodes,
leloquio sinuoso del sax, le oscillazioni ipnotiche
dei tempi medi. La chitarra acustica di Phoebe - ultima
reliquia delle origini folk - si
limita ad assecondare con diligenza le raffinate
orchestrazioni di Pat Williams e gli ispirati interventi
di noti strumentisti del giro newyorkese (Steve Gadd,
David Sanborn, John Tropea etc.). Musicalmente omogeneo,
perfettamente conservato in unimpermeabile bolla
temporale, Second Childhood allevia i tormenti
delluomo moderno con massicce iniezioni di estasi
pura: le ampie volte melodiche di All Over
e Two-Fisted Love; gli echi della scuola CTI
che risuonano su Sweet Disposition, prima che le
metropoli americane venissero devastate dal rap; una
versione di No Regrets che entusiasmerebbe Ella
Fitzgerald; le riflessioni a cuore aperto di Isnt
It A Shame, Inspired Insanity e Pre-Dawn
Imagination; il riuscito adattamento di Goin
Down For The Third Time, grintoso standard di
Holland-Dozier-Holland. Alcuni passaggi lirici di
inebriante sensualità completano il rito della
seduzione:
when
Im insecure and cant give you enough / I
watch Mother Nature doing her stuff
(Cash
In). Se non funziona, consultate uno specialista. - B.A.
PHOEBE
SNOW - IT LOOKS LIKE SNOW (1976)
PHOEBE SNOW - NEVER
LETTING
GO (1977)
PHOEBE SNOW - AGAINST
THE GRAIN (1978)
Phoebe Snow se
nè andata il 26 Aprile 2011. Laffettuoso
necrologio firmato da Donald Fagen
descrive unartista capace di superare le amarezze
della vita con la forza del talento più puro. Per noi
appassionati, il suo addio cancella dal mosaico rock lennesimo, inestimabile
tassello di una stagione mai troppo rimpianta.
Unautrice/inteprete in grado di comporre canzoni di
successo (Poetry Man)
e realizzare opere sublimi (Second
Childhood), dotata di unestensione di
quattro ottave veicolata da un lussurioso timbro meticcio
(voce, chioma, fisionomia e penuria di immagini ci
convinsero a lungo che fosse afro-americana, invece era
unebrea newyorchese). In quei giorni nulla pareva
impossibile: 1) reclutare Sua Altezza Phil
Woods per un assolo su Never Letting Go
e intitolare lintero LP come lo standard di Stephen Bishop
tratto da Careless;
2) rileggere magistralmente la stupenda Something So
Right del mentore Paul
Simon (There Goes Rhymin Simon); 3)
duettare con Kenny
Loggins sul gioiello autografo Were Children;
4) promuovere senza rivalità la collega Patti Austin
registrandone una pop-song (In My Life) del
catalogo CTI (End
Of A Rainbow)*; 5) avvalersi del sax di Michael Brecker
per il brillante remake di Love Makes A Woman,
classico soul dallomonimo
album di Barbara
Acklin; 6) sfidare Cher
(3614 Jackson Highway) e Aretha
Franklin (I Never Loved A Man The Way I Love You)
con una superba versione dellevergreen Do Right
Woman, Do Right Man; 7)
ribadire lamore per i Beatles,
dopo lomaggio a tributato a John
Lennon con Dont Let Me Down (It Looks
Like Snow), recuperando una preziosa Every Night
dallesordio individuale di Paul
McCartney (McCartney); 8) esibire
lispirazione di unepoca felice firmando di
proprio pugno il diario emotivo di Majesty Of Life,
lacquerello californiano di Oh L.A.,
lautoritratto esistenziale di Random Time (
made a fool of and laughing
). In sostanza, due dischi belli ma
discontinui che, presi insieme, ne fanno uno
indispensabile. [P.S. - *Dal repertorio di Patti Austin
avevamo già apprezzato almeno due pagine: Were
In Love, dal suo secondo capitolo CTI (Havana
Candy) e Ive Got The Melody (Deep In My
Heart), incisa in coppia con Kenny Loggins (Celebrate Me Home).]
- B.A.
PHOEBE
SNOW - ROCK AWAY (1981)
PHOEBE
SNOW - SOMETHING REAL (1989)
TOM SNOW
- TAKING IT ALL IN STRIDE (1975)
TOM SNOW
- TOM SNOW (1977)
TOM SNOW - HUNGRY
NIGHTS (1982) 
 Nonostante comporti spesso
cocenti delusioni, talvolta la fatica di spulciare
limmenso archivio A.O.R.
ripaga con sorprese sbalorditive. Apprezzato da colleghi
e interpreti del calibro di Diana Ross, Valerie Carter,
Randy Crawford, Dionne
Warwick, Melissa
Manchester, Air
Supply, Kenny
Loggins etc., Tom
Snow è un talento puro, autore dotatissimo in grado
di comporre strofe, ritornelli e bridge di micidiale
coerenza ed efficacia, e di abbinare alla musica parole
di raro spessore lirico. Il suo capolavoro, Hungry
Nights, è uno di quegli album, ormai sempre più
inconsueti, in cui non si scarta nulla. Forse Straight
For The Heart e Love Hangs By A Thread sono
solo pop-song, ma il tasso creativo impiegato per
concepirle fa della prima lallarmante ritratto rock di una mangiatrice di uomini e
dellaltra un impetuoso crescendo dedicato agli
amori appesi a un filo. Voto a entrambe: 10.
I migliori strumentisti dellepoca [Ed Greene, Jeff
Porcaro, Tris Imboden, Mike Baird (batteria); Lee
Sklar, Abe Laboriel (basso), Dean Parks (chitarre,
produttore)] esaltano gli arrangiamenti con un suono
nitido e affilato che ha reso grande il
genere. Sublime con la penna, Tom Snow è
straordinariamente espressivo anche al microfono, ove
esibisce un curioso timbro a metà tra Don Henley e
Russell Mael. Dagli orecchiabili refrain di Our Song,
Soon, Dont Call It Love spunta
comunque il guizzo brillante a nobilitare le armonie. Il
retroterra dellalunno di Berklee si coglie
sulla sofferta intensità di I Almost Let You Go,
sullirresistibile passo ritmico di Hungry Nights
e sullo spunto narrativo di I Think I Know Too Much,
in cui il protagonista è atterrito dalla troppa
esperienza di una fanciulla. Meravigliose le due ballad
per piano e voce, Time Of Our Lives e Somewhere
Down The Road, questultima incisa lanno
prima da Barry Manilow
(If I Should Love Again):
entrambe le versioni sono indispensabili. - B.A.
DAVID SOUL - DAVID SOUL
(1976)
DAVID SOUL - PLAYING TO AN
AUDIENCE OF ONE (1977)
JOHN DAVID SOUTHER - JOHN
DAVID SOUTHER (1972)
JOHN DAVID SOUTHER - BLACK
ROSE (1976)
JOHN DAVID SOUTHER - YOURE
ONLY LONELY (1979)
JOHN DAVID SOUTHER - HOME
BY DAWN (1984)
SOUTHER / HILLMAN /
FURAY - THE SOUTHER / HILLMAN / FURAY BAND (1974)
SOUTHER / HILLMAN /
FURAY - TROUBLE IN PARADISE (1975)
SHEILA SOUTHERN - DIDNT
WE / THE JIMMY WEBB SONGBOOK (1966/1969)
JIMMIE SPHEERIS - ISLE
OF VIEW (1971)
JIMMIE SPHEERIS - THE
ORIGINAL TAP DANCING KID (1973)
JIMMIE SPHEERIS - THE
DRAGON IS DANCING (1975)
JIMMIE SPHEERIS - PORTS
OF THE HEART (1976) 
DUSTY SPRINGFIELD - A GIRL
CALLED DUSTY (1964)
DUSTY SPRINGFIELD - STAY
AWHILE / I ONLY WANT TO BE WITH YOU (1964)
DUSTY SPRINGFIELD - OOOOOOWEEEE!!!
(1965)
DUSTY SPRINGFIELD -
EVRYTHINGS COMING UP (1965)
DUSTY SPRINGFIELD - WHERE
AM I GOING (1967) 
Si legge spesso e si
dice in giro che Dusty In
Memphis sarebbe il più bel disco della
Springfield. A sostegno dellassunto, nulla più che
il fascino subliminale esercitato da un sito geografico,
crogiuolo di stili, santuario della Stax e sepolcro di
Elvis Aaron Presley. Se da una parte, dunque, va
stigmatizzato il vezzo di riempirsi la bocca con le
ovvietà, dallaltra si deve ammettere che
quellalbum è davvero un capolavoro. Ma,
aggiungiamo noi, A PARI MERITO CON LINTERO CATALOGO
DI DUSTY. Pertanto, qualsiasi ristampa CD riusciste a
scovare (antologie, compilation, frattaglie etc.), non
date retta ai maniaci del cavillo e arraffatela senza
indugi. Nel caso di Where Am I Going,
ladorabile mise esibita in copertina
dalla diva inglese è indicativa di unepoca mai
troppo rimpianta. Affidate alle cure di arrangiatori
fidati e sensibili, canzoni famose o prossime a
diventarlo esaltano la sua classe immensa: una voce
squillante, argentina, sexy ma tenera, colma di passione,
appena increspata nellottava più bassa, il che
suggeriva quella spontanea, sottile lusinga erotica.
Suprema interprete di Bacharach, a livello di una Dionne
Warwick, con (They Long To Be) Close To You
Dusty sfida la musa del grande autore (Make Way For
Dionne Warwick) e anticipa di ben tre anni la
popolare versione dei Carpenters (pure splendida).
Talento puro e coscienza dei propri mezzi la spingevano a
misurarsi con modelli apparentemente inavvicinabili:
standard collaudati come Sunny, o tratti da
celebri musical come Come Back To Me [On A
Clear Day (You Can See Forever)], entrambi incisi da Sinatra con lorchestra di
Ellington (Francis A. &
Edward K.); una pagina poco nota ma straordinaria
come Dont Let Me Lose This Dream, scritta da
Aretha Franklin e inclusa nel testo sacro I Never
Loved A Man The Way I Love You. Credeteci o no, Dusty
regge il confronto con the Voice e
addirittura supera the Queen of Soul,
entrando in pompa magna nellélite delle ugole
doro. Selezionato con fiuto infallibile e gusto
squisito, il repertorio passa dalla foga R&B di Bring
Him Back, ripresa anche da Cissy Sissie
Houston (madre di Whitney), alla struggente poesia
pacifista di Broken Blossoms, attraverso la
romantica impazienza di I Cant Wait Until I See
My Babys Face fino alla stupenda curva melodica
di Welcome Home. Laddio di If You Go Away
provoca un diluvio di lacrime: alla sublime traduzione
inglese di Rod McKuen, Dusty aggiunge una strofa con le
parole originali di Jacques Brel (Ne Me Quitte Pas),
insidiando da vicino la versione definitiva di Glen
Campbell (Wichita Lineman). Sul ritmo
trotterellante di Where Am I Going va in scena il
delicato tema del bilancio esistenziale: levidente
partecipazione emotiva con cui Dusty, allora appena
ventottenne, confessa ansie, sconfitte e debolezze assume
la valenza di una sofferta autobiografia. Composta da Cy
Coleman e Dorothy Fields per Sweet Charity, amara
commedia di Neil Simon ispirata a Le Notti Di Cabiria
di Fellini e diretta da Bob Fosse prima a teatro e poi al cinema, la title-track è
unesplosione di sensazioni agrodolci,
magistralmente riprodotte dallorchestra di Wally
Stott. Nel 1975 Gino Vannelli avrebbe affrontato lo
stesso argomento con una memorabile suite omonima [Where
Am I Going (Storm At
Sunup)]. Cara, dolce, amatissima Mary
OBrien, perchè ci hai lasciato così presto?
Non vogliamo restare soli con Antonio Socci e Lanfranco
Pace. Abbi misericordia, veglia su di noi. - B.A.
DUSTY SPRINGFIELD - DUSTY
... DEFINITELY (1968) 
DUSTY SPRINGFIELD - DUSTY
IN MEMPHIS
(1969) 
 Aprire la scaletta con un valzer lento è
scelta audace, ma chiudete gli occhi e lasciatevi sedurre
dal capolavoro* di Barry Mann
e Cynthia
Weil: la sensuale curva melodica e le sublimi parole
di Just A Little Lovin intonate da una voce
letteralmente irresistibile vi faranno ululare di
passione riducendovi, secondo la tempra, a depressi
cronici in dolcevita
nero, ansimanti onanisti con le occhiaia cave, allupati
cascamorti della porta accanto o, magari, a entusiasti
cultori di Dusty
Springfield. In un modo o nellaltro, dopo aver
ascoltato Mary
OBrien, si cambia. La diva inglese era già
famosa in America, ma desiderava esaltare la propria
squisita vocazione soul in un
ambiente diverso da Londra e, anche in termini
geografici, più prossimo alle radici di quel suono.
Ecco allora la stipula del contratto con la Atlantic,
la regia affidata a tre guru della produzione - Jerry
Wexler, Arif
Mardin, Tom Dowd
- e la trasferta presso lAmerican
Sound Studio, dove Aretha
Franklin aveva appena inciso I Never Loved A Man
The Way I Love You. Wexler fu messo in croce dal
bizzarro connubio di insicurezza (il confronto con i
maestri afro-americani) e perfezionismo (la ricerca di
unemozione autentica) con cui Dusty scartava decine
di canzoni proposte in fase di selezione del repertorio.
La severa cernita distillerà, infine, alcune preziose
pagine di Carole
King (Dont Forget About Me, No Easy
Way Down, I Cant Make It Alone), Randy
Newman (I Dont Want To Hear It Anymore, Just
One Smile), Burt
Bacharach (In The Land Of Make Believe), Eddie
Hinton (Breakfast In Bed), Michel
Legrand (The Windmills Of Your Mind), rilette
da Dusty con intensità e convinzione straordinarie: il
suo stile consisteva nel perfetto equilibrio tra pura
bellezza del timbro, accento dal retrogusto
british, realistica interpretazione del
testo, intima vulnerabilità sentimentale, sex appeal
sottinteso.  Laltro vertice dellalbum è Son
Of A Preacher Man, instant classic di
John Hurley e Ronnie Wilkins, in cui la cotta per il
figlio di un predicatore narrata in chiave rhythm
n blues ispirerà e sarà ripresa da Quentin
Tarantino per la scena dellinterfono su Pulp
Fiction, perfetta sintesi cinematografica
dellattrazione fatale ma impraticabile tra la pupa
del boss (Uma
Thurman) e il sicario piacione (John
Travolta): memorabile il groove
impostato dalla ritmica di Tommy
Cogbill (basso elettrico), Reggie
Young (chitarra), Gene Chrisman (batteria) e dal coro
delle Sweet
Inspirations. A un certo punto qualcuno iniziò a
definire Dusty
Springfield icona gay: sebbene
lespressione sia francamente al di là del bene e
del male, a Neil
Tennant dei Pet
Shop Boys si deve comunque il merito di aver
rilanciato a sorpresa la carriera di unartista
immensa con due ottime canzoni (What Have Done To
Deserve This?, Nothing Has Been Proved).
Ledizione CD del 2002 è la migliore: il booklet
contiene un appassionato saggio critico scritto da Elvis Costello.
[P.S. - 1) *A pari merito con Never
Gonna Let You Go, possibilmente nella versione di
Dionne
Warwick (Friends In
Love). 2) La Continuum ha
dedicato a Dusty In Memphis un volume della
collana 331/3.] - B.A.
DUSTY SPRINGFIELD - A BRAND
NEW ME (1970)
DUSTY SPRINGFIELD - FROM
DUSTY ... WITH LOVE (1970) 
DUSTY
SPRINGFIELD - SEE ALL HER FACES (1972)
DUSTY SPRINGFIELD - CAMEO (1973)
DUSTY
SPRINGFIELD - IT BEGINS AGAIN (1978)
DUSTY
SPRINGFIELD - LIVING WITHOUT YOUR LOVE
(1979)
DUSTY
SPRINGFIELD - LOVE
SONGS (1967/1979) 
STEELY DAN - CITIZEN STEELY DAN
(1972/1980) 
Il fenomeno più
esecrabile che abbia caratterizzato il mondo del
giornalismo musicale nostrano negli ultimi
trentanni è stato, e continua ad essere, il
trasformismo. Chi non ricorda linsopportabile
tormentone sugli Steely
Dan? La cura negli arrangiamenti era
pignoleria; per la loro estrema dedizione
nella stesura dei brani erano considerati
maniaci e perfezionisti; il
risultato di ore e ore di appassionato lavoro in sala di
registrazione veniva liquidato come freddo o
lezioso. Improvvisamente, con
lineluttabile riconoscimento del genio di Donald Fagen, alla
luce degli esiti artistici raggiunti con lalbum The Nightfly, tutti
quei cattivi maestri (dossier I / II / III) si sono affrettati a
indicare gli Steely
Dan come lemblema stesso della musica americana
degli anni Settanta, e così è cominciata la riscoperta.
Non cè tempo per rammaricarsi del ritardo. È il
caso, semmai, di salutare positivamente lavvenuto
riconoscimento della loro superiorità. «Donald Fagen e Walter Becker sono colti, amano il jazz e frequentano i
club del Village, scrivono testi velenosi e sceneggiature
gialle e nere su una generazione di intellettuali che non
vuole arrendersi al conformismo rock». Questa
descrizione, estratta nientemeno che da una guida
televisiva, si attaglia perfettamente alla loro
monumentale opera omnia pubblicata dalla MCA. Un elegante
cofanetto di 4 CD, contenente i sette album degli Steely Dan, più un
inedito dalle session di The
Royal Scam (Here At The Western World), il
tema conduttore del film FM e un demo di esclusivo
interesse documentaristico (Everyones Gone To
The Movies). È un peccato che i testi non siano
stati inclusi nella confezione, per altro ricca di
articoli e ritagli depoca. Contrariamente a quanto
sostenuto più volte dai soliti esperti, le
liriche degli Steely Dan sono profonde, evocative e
tuttaltro che impenetrabili. La raccolta integrale
delle canzoni di Becker & Fagen consente di aggirare
improbabili distinguo tra un titolo e laltro. Qui
è contenuta la quintessenza del rock americano adulto,
la sintesi perfetta e definitiva degli umori più genuini
di Los Angeles e New York, realizzata da questo gruppo
fantasma, veicolo ideale per le composizioni di Becker e
Fagen i quali, grazie a produzioni sempre
dispendiosissime, arruolano i più grandi fuoriclasse in
circolazione. La lista dei nomi è impressionante: Jeff
Porcaro, Larry
Carlton, Steve Gadd, Wayne Shorter (Weather Report), Steve Khan, Phil
Woods, Jay
Graydon (Airplay), Michael McDonald
(Doobie Brothers), Tom Scott e tanti altri. Innumerevoli
i momenti memorabili di questo lungo racconto musicale.
Per una disamina più dettagliata dei sette capitoli si
consultino le voci relative ai singoli album. [P.S. -
Imperdonabile la scelta di escludere Dallas e Sail
The Waterway, i due lati del singolo pubblicato prima
di Cant Buy A Thrill.] - B.A.
STEELY DAN - CANT
BUY A THRILL
(1972) 
 Il più
grande esordio* discografico della storia del rock: dieci canzoni senza difetti
avvolte in una copertina esplicita e introdotte da un
titolo memorabile (non si compra unemozione).
Cosaltro bisogna proporre al giovane indottrinato
dalle radio italiane per convincerlo a procurarsi Cant
Buy A Thrill prima di subito? Trainato da un successo
per tutte le stagioni come Do It
Again - strofa ipnotica, ritornello infallibile,
mirabolante fraseggio di sitar
- lalbum presenta al mondo una misteriosa non-band
diretta da un supervisore geniale come Gary Katz,
impersonata da due colti, dispotici fuoriclasse cresciuti
a beat
e jazz - Walter Becker, Donald Fagen - che
infatti scipparono il nome a un vibratore
citato da William
Burroughs nel Pasto
Nudo. Nasceva il mito Steely Dan: melodie
complesse ma orecchiabili, parole enigmatiche ma
suggestive, armonizzazioni sofisticate, arrangiamenti
raffinatissimi, assoli di chitarra entrati nella
leggenda. Nel 1972 quella di Donald Fagen non
era ancora lunica voce ufficiale e i brani cantati
da David Palmer (cori) e Jim Hodder (batteria) sono
altrettanti capolavori: 1) Dirty Work, grido di
rivolta sentimentale che istigò il gentil sesso, se è
vero che poi produsse ben tre cover al femminile [Melissa
Manchester (Help Is On The Way), Pointer Sisters
(Energy), Lauren
Wood (Lauren Wood)]; 2) Midnite Cruiser,
evocativa road ballad guidata con polso fermo
da Jeff
Skunk Baxter; 3) Brooklyn (Owes The
Charmer Under Me), toccante ode al popolare quartiere
di Long Island (
a
piece of island cooling in the sea
). Quando
poi Donald si accosta al microfono, il prodigio converte
anche gli ultimi scettici: la seducente eco latina di
Only A Fool Would Say That, il bizzarro amalgama
stilistico di Reelin In The Years, in cui i
riff elettrici di Elliott Randall
incorniciano brandelli di rap e tarantella,
le dolenti riflessioni di un fallito che risuonano nelle
note del pianoforte su Fire In The Hole (
a womans voice reminds
me to serve and not to speak
),
lambiguo inno al cambiamento - sociale, emotivo,
anagrafico? - di Change Of The Guard, con quel
memorabile nah nah nah
nah nah nah nah nah che conduce il tema in
tuttaltra direzione. Come accadeva per i Beatles (Tomorrow Never Knows,
All You Need Is Love, A Day In The Life,
Good Night etc.), anche con gli Steely Dan (King
Of The World, Throw Back The Little Ones,
Josie, Third World Man) lepilogo di
unopera deve lasciare il segno: Turn That
Heartbeat Over Again è una rutilante rapsodia di
variazioni e fughe racchiusa nel formato della pop-song.
Tutta da leggere la finta recensione scritta da Donald Fagen col
fantastico pseudonimo di
Tristan Fabriani. [P.S. -
1) *Senza firmarsi ancora come Steely Dan,
lanno prima Becker e Fagen avevano inciso e
pubblicato la colonna sonora di un film di Peter Locke [You Gotta Walk It Like You Talk It
(Or Youll Lose That Beat)]. 2) Ispirato
a un celebre testo di Bob
Dylan (It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train
To Cry). 3) In veste di assistant
engineer, nei credits è indicato Tim Weston, futuro leader dei Dr. Strut e dei Wishful Thinking.] - B.A.
STEELY
DAN - COUNTDOWN TO ECSTASY (1973)

STEELY DAN - PRETZEL
LOGIC (1974) 
 Il più bel disco americano del 1974 - a
pari merito con Reunion
quello inglese era Sheet
Music - vive del contrasto espressivo tra il
disilluso realismo in bianco e nero della foto di
copertina (RaeAnne Rubenstein) e la rutilante ricchezza
cromatica delle invenzioni musicali. Con Walter
Becker e Donald
Fagen saldamente al comando del brand e il
secondo ormai designato come unico cantante, le
registrazioni furono coordinate da Gary Katz
e Roger
Nichols al Village
Recorder, affiancando allorganico stabile di Countdown
To Ecstasy i migliori specialisti di Los Angeles (Timothy
B. Schmit, Michael
Omartian, Chuck
Rainey, Ernie
Watts, Wilton Felder, Jim Gordon etc.). Destinata a
sparire dalle opere degli Steely Dan,
sopravvive un ultimo istante la chitarra acustica - qui
in mano a Dean Parks
- per caratterizzare tre gioielli senza tempo: 1) un
ipnotico riff letteralmente rubato a Song
For My Father di Horace
Silver, dallomonimo classico Blue Note, introduce Rikki
Dont Lose That Number, romantica elaborazione
di una cotta irrisolta, raccontata dallo struggente
assolo di Jeff
Skunk Baxter e da memorabili passaggi
lirici*, con quel numero a cui si aggrappa lo spasimante
- malgrado le implicazioni pratiche anteriori
allavvento della telefonia mobile - nella speranza
che prima o poi lei lo richiami (
you tell yourself youre not my
kind, but you dont even know your mind, and you
could have a change of heart, Rikki dont lose that
number, you dont want to call nobody else, send it
off in a letter to yourself
its the only one
you own, you might use it if you feel better, when you
get home
); 2) Any Major Dude Will
Tell You, ballad di sapore West Coast condotta dal
piano elettrico di David
Paich e intercalata dal celebre refrain barocco di Denny Dias,
in cui un veterano saggio consola
lamico pivello in merito a non meglio precisate
beghe personali, versando a propria volta le lacrime
dello squonk,
mitologico animale dei boschi statunitensi a cui i Genesis
intitolarono una famosa canzone di A Trick Of The Tail (Squonk);
3) With A Gun, lesto country & western
contraddistinto da immacolate armonie vocali e da un
testo che mette in guardia limbranato di turno
dalla tentazione di usare le armi, perfetto avvertimento
per gli infausti giorni del decreto
sicurezza. Come accadeva con i Beatles - altra band che a metà
carriera smise di suonare dal vivo - le sorprese si
susseguono senza posa: Night By Night, cronaca di
unesistenza bohemien raffigurata per enigmatiche
allegorie e scandita dalle stoccate ritmiche della
sezione fiati, con Jeff
Porcaro alla batteria; la soave, cantabile melodia di
Barrytown, misteriosa città dove accadono cose e
si aggirano persone molto strane
finché il coro
dellinciso suggerisce che in the beginning we recall that the word was
hurled, Barrytown people got to be from another world;
Pretzel Logic, blues steelyzzato poi
incluso stabilmente nella scaletta dei concerti dopo il
ritorno, per recitare davanti al pubblico
lamatissimo, indecifrabile verso «I stepped upon the platform, the man gave me
the news, he said, you must be joking son, where
did you get those shoes?»; Parkers
Band, tributo della coppia a un proprio indiscusso
modello di riferimento, con citazioni di etichette (Savoy
Records), titoli (Groovin High, Relaxin
At Camarillo), capiscuola (Charlie
Parker, Dizzy
Gillespie), luoghi (52nd Street) legati
alla rivoluzione Be-Bop e
duello finale di sax tra Plas
Johnson e Jerome
Richardson; Charlie Freak, tragico ritratto di
un emarginato esposto in una cornice di accordi minori
per pianoforte cui, presto, sarebbero seguite altre
indimenticabili figure di perdenti [Kid Charlemagne
(The Royal Scam), Deacon
Blues (Aja), Third
World Man (Gaucho)
etc.]; Through With Buzz, abbagliante fotogramma
di appena un minuto e mezzo decorato da un inconsueto
ricamo darchi diretti da Jimmie
Haskell; Monkey In Your Soul, disinvolto
shuffle che traccerà una falsariga ripercorsa
lanno successivo da Daddy Dont Live In
That New York City No More (Katy
Lied). Lo standard di Duke
Ellington (East St. Louis Toodle-Oo) serve a
ribadire le comuni radici dei due autori. Nostro CD
per lestate 2019
(P.S. - *Dapprima - e
a lungo - intese come una losca metafora relativa
allimpiego clandestino di marijuana, le parole si
riferivano semplicemente a una ragazza di cui si era
invaghito Fagen allepoca del college.) - B.A.
STEELY DAN - KATY LIED
(1975) 
Un perfezionismo proverbiale e
quasi famigerato avrebbe fatto degli Steely Dan i massimi
virtuosi - insieme a Beatles e 10cc - dello studio di registrazione
inteso come strumento creativo. È pertanto bizzarro che
proprio Walter
Becker e Donald
Fagen, in un habitat così familiare, siano incorsi
in due clamorosi incidenti sul lavoro: le
canzoni perdute di Gaucho
(Heartbreak Souvenir; The Second Arrangement)
e i danni collaterali subiti dai nastri di Katy Lied
[lingegnere del suono Roger Nichols eseguì il
missaggio attraverso uno speciale filtro anti-rumore
(DBX), che appannò irrimediabilmente il master
originale]. E tuttavia, la ristampa CD di Katy Lied
vanta una qualità hi-fi superba per unincisione
del 1975: al fine di riprodurre le frequenze tagliate dal
congegno difettoso - gli audiofili più incalliti non ce
ne vorranno - è sufficiente tarare un po
lequalizzatore. Finalmente liberi dallo stress dei
tour, Becker e Fagen possono concentrarsi
sullattività prediletta: scrivere e registrare
musica. I nuovi arrangiamenti ruotano attorno a un
meraviglioso pianoforte a coda Bösendorfer,
scelto appositamente da Michael
Omartian per lo studio ABC
di Hollywood, su incarico degli autori. Gli altri ruoli
chiave sono coperti da Michael McDonald
(cori), Jeff
Porcaro (batteria) e dai più ispirati chitarristi
mai apparsi in un disco rock: Dean
Parks che brucia di passione per Rose Darling, Rick
Derringer che stravolge lalgido blues di Chain
Lightning, Denny Dias rapito dallenigmatico
valzer di Your Gold Teeth II [ripreso nel 1996 da
Herbie Hancock (The New Standard)], Elliott Randall
immerso nei segreti di Throw Back The Little Ones,
Larry Carlton
che debutta a corte su Daddy Dont Live In That
New York City No More, lo stesso Walter Becker che
cesella i temi di Black Friday e Bad Sneakers.
Il mito Steely Dan si
consolidò anche grazie a questi assoli: brandelli di jazz (cool, hard-bop) magistralmente
integrati a melodie sublimi e liriche sibilline, a
beneficio di racconti beat che ciascuno può
interpretare secondo la propria indole. Phil
Woods è lospite donore
dellalbum: dopo lemozionante fraseggio del
sax alto e gli elegiaci flashback del testo, ci interessa
davvero sapere chi era il Doctor Wu*? La grafica
dei credits debitrice dello stile Prestige e
Contemporary. Il calembour suggerito dalla foto di
copertina, che ritrae un grillo detto
katydid. La forza espressiva dei personaggi
immaginari (la perfida Snake Mary, il depravato Mr.
LaPage). Linsopprimibile anelito alla
fuga di Any World (That Im Welcome
To). Tutto concorre a fare di Katy Lied un
classico americano, allaltezza di qualsiasi grande
libro o film coevo. [P.S. - Oscene le recensioni dei
critici John Mendelsohn (Rolling Stone)
e Nick Kent (New Musical Express) che,
allepoca, stroncarono Katy Lied così, tanto
per darsi un contegno: ci piacerebbe potervi riferire che
un simile sfregio abbia esposto entrambi al pubblico
ludibrio, ma non siamo aggiornati in merito. Coi tempi
che corrono, anzi, cè il rischio che gli
esperti abbiano fatto carriera.] - B.A.
*Doctor Jing Nuan Wu (1933-2002) - An acupuncturist
and artist based in Washington D.C., emigrated from China
to the U.S.A. at a young age and graduated from Harvard
to become a Wall Street venture capitalist, finally
setting up a Taoist clinic in Washington in 1973.
Apparently helped one of the band to overcome drug
addiction in the mid-70's, hence the lyrical tribute.] - Dan OMalley
STEELY DAN - THE
ROYAL
SCAM (1976) 
Dopo lincidente
occorso ai nastri di Katy
Lied, Becker e Fagen ritornano con unopera
darte che conferma il loro status di intellettuali
del rock e la loro capacità di
trarre il massimo dai diversi musicisti coinvolti. Ogni
assolo di chitarra è una canzone nella canzone, ogni
colpo sul rullante un perfetto connubio tra classe e
sentimento. I mascalzoni che per anni hanno ingannato il
pubblico con la presunta freddezza degli
Steely Dan vengono messi a tacere da Everything You
Did, Dont Take Me Alive, Kid
Charlemagne e Green Earrings. La sezione fiati
si abbandona ad acrobatiche contorsioni per inseguire gli
accordi di The Caves Of Altamira, mentre lo
splendido fraseggio di Paul Griffin (piano acustico) su Sign
In Stranger tradisce un inequivocabile retroterra jazz. Il reggae beffardo di Haitian
Divorce e il sinuoso tema di The Fez penetrano
agevolmente la cortina di ferro di un ascolto distratto.
In seguito alla pubblicazione dellantologia Citizen Steely Dan,
lacquisto dei singoli CD anni '70 non ha più
senso: in generale, perché la qualità audio del
cofanetto è decisamente superiore a quella delle prime
ristampe digitali MCA, e in particolare perché nella
copia di The Royal Scam manca linedito Here
At The Western World, un capolavoro inciso durante le
stesse sedute, ma allepoca escluso dallalbum
perché non affine al resto del materiale. Rinunciare a
quel brano sarebbe una follia. - B.A.
STEELY DAN - AJA (1977) 
Aja è la
più grande esperienza di koiné della musica pop:
difficile e facile, godibile e indecifrabile, tormentato
e lineare. - Enrico Sisti
Ajas only Grammy Award was for
engineering, which is a bit like giving the ceiling of
the Sistine Chapel a trophy for best matte
finish. - Don
Breithaupt*
La
brillante metafora della Cappella Sistina ci rivela che
dietro linvolucro lussuoso di una manifattura
tecnicamente impeccabile cè la sostanza delle
grandi opere darte. Dopo un gioiello come The Royal Scam, gli Steely Dan avevano
raggiunto linvidiabile status di chi non deve
dimostrare più nulla a nessuno. Eppure, proprio in quei
momenti si manifesta il segno dellispirazione più
spontanea, quando un artista al culmine della parabola
creativa partorisce il capolavoro che trascende i suoi
stessi, presunti limiti. Perdonate liperbole ma ...
musica strumentale a parte, categoria in cui per ovvi
motivi la formula canzone non può rientrare, Aja
è il migliore e più importante album degli anni
Settanta - dunque, anche dei miserabili decenni
successivi - probabilmente di gran lunga. Portando alle
estreme conseguenze il dispendioso metodo di mettere
insieme la band ideale per ciascun brano, Walter Becker e Donald Fagen
impiegano con profitto i soldi della ABC
per reclutare la crema dei fuoriclasse di entrambe le
coste statunitensi, elaborando una sintesi perfetta dello
spirito e delle atmosfere di New York e Los Angeles. Con Aja,
il rock diventa maggiorenne. Il
lento battito funk di Black Cow imposta un clima
notturno, sofisticato, chandleriano, percorso dalle
inquadrature cinematografiche del testo, da seducenti
voci femminili e dagli splendidi fraseggi di Victor
Feldman (piano elettrico) e Tom Scott (sax
tenore): la ridicola scopiazzatura rap di
Lord Tariq e Peter Gunz [Deja Vu (Uptown Baby)]
subirà il giusto dileggio da parte degli autori nel
documentario di Alan Lewens.
Larrangiamento della title-track si espande agli
otto minuti di una piccola rapsodia istoriata dai ricami
di tre chitarre e culminante nellepico duello tra Steve Gadd
(batteria) e Wayne Shorter (sax tenore):
lex-davisiano e co-fondatore dei Weather Report
accettò linvito in studio con qualche esitazione,
subito rimossa dalla solida dimestichezza col jazz dei padroni di casa. Per
ammissione dello stesso Donald Fagen, la
sceneggiatura di Deacon Blues (nel 2007 provammo
il brivido di ascoltarne le note alla radio americana
appena varcato il confine tra Québec e Vermont) rievoca
poeticamente sogni, ambizioni e inquietudini di un
loser cresciuto nei quartieri suburbani della
metropoli: lo struggente sax tenore di Pete Christlieb
parla a nome di una generazione che, delusa dal '68, non
aveva ancora trovato il senso della vita. Gli Steely Dan
suggerivano di cercare le risposte nei cataloghi Blue Note e Contemporary.
Celeberrima ode a unaspirante diva del cinema, Peg
ottiene limmortalità con lelastica scansione
di Rick Marotta, i cori armonizzati di Michael McDonald,
lo slap invisibile di Chuck Rainey e il
meraviglioso assolo hawaiiano di Jay Graydon (prima
di lui, tra gli altri, si cimentarono senza successo
Robben Ford, Elliott
Randall, Rick Derringer etc.). Cullata dalla
fenomenale sezione ritmica di Bernard
Pretty Purdie (batteria), Chuck Rainey
(basso) e Victor Feldman (pianoforte), Home At Last
adatta liberamente il mito omerico del ritorno a una
sublime ballad sospesa tra il sollievo dellapprodo
e il desiderio di salpare ancora. Il capriccioso riff del
piano acustico catapulta il fantasma di Thelonius Monk
nel fermento soul di I Got The
News: superbe le chitarre di Walter Becker e Larry Carlton,
emozionante lintermezzo vocale di Michael McDonald
(... Broadway Duchess ...),
spettacolare la batteria di Ed Greene. Trainata dallinfallibile beat del
veterano Jim Keltner (batteria), Josie procede in
bilico tra crude allegorie liriche ed eleganti soluzioni
espressive: lefficace contrasto
trasgressione/finezza ne farà unintramontabile,
scintillante pop-song per tutte le stagioni. Memorabile
la misteriosa foto di copertina scattata da Hideki Fujii
alla modella giapponese Sayoko
Yamaguchi.
FM (No Static At All) - Incaricati di scrivere il
tema conduttore del film diretto da John A. Alonzo (FM), Walter Becker e Donald Fagen
partecipano alla colonna sonora firmando un singolo che,
sebbene assente dal Long Playing, era a tutti gli effetti
riconducibile a Aja (Don
Breithaupt gli riserva un intero capitolo del suo
saggio): sdrammatizzati dalla sottile ironia delle
parole, gli archi di Johnny Mandel rincorrono una geniale
sequenza di accordi, mentre la stupenda improvvisazione
di Pete
Christlieb spezza la suadente linea melodica.
[P.S. - Al fine di approfondire la conoscenza dei segreti
di Aja, sono indispensabili sia lomonimo
libro di Don Breithaupt,
edito dalla Continuum,
che il DVD monografico della
collana Classic Albums. Ai poveri disgraziati che
ancora non possedessero nemmeno il CD, suggeriamo
lacquisto simultaneo dei supporti audio, video e
cartaceo.] - B.A.
STEELY DAN - GAUCHO (1980)

 Lattesa creata dal successo
dellalbum precedente (Aja) darà vita
allevento discografico di fine decennio. Le
indiscrezioni più fantasiose si accavallarono, fino a
lasciar filtrare un titolo provvisorio - Metal Leg
- che resterà come bizzarra testimonianza di un parto
assai travagliato. A noi preme ricordare che Gaucho
a) segna lo scioglimento temporaneo
degli Steely Dan,
che però si protrarrà fino al 2000; b) sarà uno
dei primi LP interamente registrati con tecnica digitale;
c) darà un contributo decisivo al suono della
musica fusion,
rock, soul, A.O.R.:
nulla di ciò che è venuto dopo ha eguagliato - e tanto
meno superato - la perfezione di questi arrangiamenti.
Louverture è grandiosa: Bernard Purdie imposta un
'beat' in levare lento ma articolatissimo, Don Grolnick
dispone una scacchiera di accordi misteriosi sul piano
elettrico, mentre le Babylon Sisters - moderna
versione del coro nella tragedia greca - piangono il
destino di un poveraccio travolto da una passione senza
speranza: «
My friends
say no dont go for that cotton candy / Son
youre playing with fire / The kid will live and
learn / as he watches his bridges burn / from the point
of no return
». Labisso siderale che
separa Becker e Fagen dal resto del mondo trova qui una
scioccante epifania. Hey Nineteen ci riporta sulla
Terra: con la sua voce analgesica e impassibile Donald Fagen
interpreta la controversa figura di un aspirante Humbert
Humbert, riproponendo leterno caso delluomo
maturo che ci prova con una teen-ager. Lamara
constatazione che i due non hanno nulla in comune si
stempera su un ritmo dolce e ballabile: «
Hey Nineteen, thats Retha
Franklin / She dont remember the 'Queen of Soul'
She thinks Im crazy / but Im just
growing old
». Lo stesso personaggio
riapparirà ventanni dopo nei panni del depravato Cousin
Cupree (Two Against
Nature). Quasi a smentire il presunto dispotismo
di Becker e Fagen nei confronti dei session-men, Steve Khan
improvvisa a lungo con la sua Telecaster sopra
lammaliante sezione fiati di Glamour Profession:
un intervento che lascerà il segno. Lassolo su Time
Out Of Mind - virtuosismo 'dance' stimolato da
intriganti allegorie erotiche - è la cosa migliore mai
realizzata da Mark Knopfler, il quale in seguito si
dimostrerà incapace di rendersene conto. My Rival
lambisce il tema della gelosia alla maniera degli Steely Dan, con un
approccio sghembo, liricamente imperscrutabile,
musicalmente geniale. Un autentico 'dream-team' - Joe
Sample (tastiere), Larry
Carlton (chitarra), Chuck Rainey (basso), Steve Gadd
(batteria) - mette in scena la solenne melodia di
chiusura (Third World Man), tra le cui note si
scorgono i mille volti della sconfitta esistenziale: il
protagonista è un reduce, un emarginato, un perdente, o
forse solo uno come noi. Due canzoni non vedranno mai la
luce: 1) Heartbreak Souvenir fu accantonata per
sfinimento, poiché non cera modo di eseguirla come
volevano gli autori; 2) The Second Arrangement -
mancato sequel per il romanzo/film di Elia Kazan - era
ormai pronta, ma venne accidentalmente cancellata da un
tecnico che si era assopito sul banco del mixer. Per i
dettagli sulla sciagura vi rimandiamo allaccurata
ricostruzione storica di Brian Sweet (Reelin In
The Years - Omnibus Press). Walter e Donald dovettero
anche affrontare una causa per plagio intentata da Keith
Jarrett, che li accusò di aver utilizzato parte di una
sua vecchia composizione - 'Long As You Know
Youre Living Yours - in un passaggio della
title-track. Il pianista fu a dir poco villano nei
confronti di due sinceri amanti del jazz.
Ammettiamo pure qualche analogia fra i brani
e
allora? Cera bisogno di chiedere i danni? Caro
Keith, radix enim
omnium malorum est cupiditas. - B.A.
STEELY DAN - TWO
AGAINST NATURE
(2000) 
 Gli
anni '70 sono lontanissimi e la rivoluzionaria fusione
stilistica di Aja è un ricordo indissolubilmente
legato a quellepoca. Ma se il clamoroso ritorno in
scena di Walter
Becker e Donald
Fagen non consente di tracciare paralleli con i
precedenti album degli Steely Dan, anche
tra le pieghe di questo nuovo capitolo emergono alcuni
aspetti familiari della loro musica. Innanzitutto la
sensazione di apparente uniformità trasmessa
inizialmente dalle canzoni. In un primo momento è
persino difficile distinguere un brano dallaltro: i
ritmi si assomigliano, le armonizzazioni si fanno
sfuggenti, la voce di Donald risulta monocorde
per
un po non accade nulla. Poi, quando ascolti il CD
per lennesima volta, magari mentre sfogli
distrattamente una rivista, ecco che il prodigio si
ripete: Almost Gothic svela allimprovviso
tutta la perfezione del suo disegno melodico, ispirato a
una logica ferrea e illuminato dai bagliori del genio. Il
testo della trasgressiva Cousin Dupree tradisce
lindole ribelle di chi è cresciuto leggendo
Burroughs, Kerouac, ma anche Nabokov. Mentre ti chiedi in
quale remoto angolo di Terzo Mondo abbiano scovato
lincastro metrico di Two Against Nature
(6/4), il riff ipnotico di Jack Of Speed ti
paralizza: davanti agli occhi scorre limmagine
pallida di unemaciata Negative Girl, che va
ad aggiungersi alla memorabile galleria di ritratti
femminili collezionati da Fagen (Rikki Dont Lose
That Number; Rose Darling; Peg; Josie;
Babylon Sisters; Hey Nineteen; Maxine;
Tomorrows Girls). Ancora donne in primo
piano su Janie Runaway, Gaslighting Abbie, What
A Shame About Me: controverse, sarcastiche,
arrivate, sempre protagoniste di contorti
sviluppi narrativi commentati con acume dalla chitarra di
Becker, talmente espressiva da sembrare viva. Gli
arrangiamenti recuperano quellinimitabile crossover
tra rock e jazz
che ha fatto da colonna sonora alle nostre vite, e
labilità della coppia nellindividuare il
solista più in forma del momento è confermata dalla
presenza di Chris
Potter: il giovane sassofonista aggiunge la propria
firma a un registro degli ospiti sempre più
prestigioso (Phil Woods,
Wayne
Shorter, Michael
Brecker etc.). Come prova di lucidità è
inconfutabile, ma le prime impressioni valgono poco o
nulla: come noto, per valutare un disco degli Steely Dan con
cognizione di causa debbono trascorrere almeno dieci
anni. Arrivederci al 2010*. [P.S. - Two Against Nature ha
vinto 4 Grammy Awards: cè vita intelligente sulla
Terra!] - B.A.
*10 Anni Dopo - Tutto confermato, Two Against Nature è
allaltezza del cofanetto Citizen Steely Dan e,
come tale, indispensabile. - B.A.
20 Anni Dopo - Come un pregiato Aglianico
del Vulture, Two
Against Nature è invecchiato accrescendo il
proprio valore, evidenziando altresì limbarazzante
pochezza delle produzioni coeve. - B.A.
STEELY DAN - EVERYTHING
MUST GO (2003) 
Disco
del Mese Luglio/Agosto 2003, JAM n°95
[
] Come scrive il mio amico Bruno Anastasi,
Two Against Nature ha vinto 4 Grammy Awards:
cè vita intelligente sulla Terra!.
Dopo la pausa ventennale tra un disco (Gaucho) e laltro
(Two Against Nature),
Becker e Fagen tornano a soli due anni dalla
resurrezione con 40 minuti di musica
allaltezza del loro mito. Al tradizionale
reclutamento dei migliori session-men disponibili, gli Steely Dan del 2003
preferiscono ladozione di una line-up fissa - Keith
Carlock (batteria), Jon Herington / Hugh McCracken
(chitarre), Ted Baker (tastiere) - attorno a cui ruotano
gli stessi leader e alcuni ospiti scelti col solito fiuto
[Chris Potter (tenore); Bill Charlap (piano)]. Introdotta
dal sax coltraniano di Walt Weiskopf, la title-track fa
pensare a una Maxine aggiornata al terzo
millennio. The Last Mall è velenosamente
anticonformista: un vero e proprio mosaico di frasi a
incastro, con richiami diretti a William Gibson, padre
del 'cyberpunk'. Il prodigioso senso melodico degli
autori risulta intatto anche su Blues Beach, Green
Book, Things I Miss The Most e Godwhacker.
Una schiera impressionante di gruppi validissimi (Deacon
Blue, Prefab Sprout, Everything But The Girl, High
Llamas, China Crisis etc.) è in debito con le loro
intuizioni stilistiche. [
] - Mauro Ronconi
Il mio amico Mauro
Ronconi ha ragione. Everything Must Go è un
album splendido, a partire dalla copertina che rimanda
alleloquente realismo in bianco e nero
di Pretzel Logic:
il venditore di frittelle fotografato nel '74 da RaeAnne
Rubenstein diventa un anonimo vucumprà di colore che
spaccia Rolex falsi. Vale a dire, il consumismo ha
soppiantato per sempre la logica della sopravvivenza. I
testi alternano cinici editoriali sul declino
dellOccidente a passioni confessate con gelido
distacco emotivo. Stile e arrangiamenti seguono la linea
tracciata da Two Against
Nature. Il parsimonioso assemblaggio della band
è compensato da una sezione fiati diretta come pochi
sanno fare. Gli assoli sono quasi tutti di Walter
(chitarra) e Donald (tastiere): brevi fraseggi di senso
compiuto che testimoniano un rinnovato entusiasmo per la
musica. Interpretando il blues in chiave metropolitana e
post-moderna, The Last Mall avanza lipotesi
- allarmante per alcuni, vagheggiata da altri - che
lultimo megastore della Terra stia per chiudere i
battenti: moltitudini di anime sarebbero perdute. Grazie
a un refrain più immediato degli altri, Blues Beach
ha ottenuto unassidua rotazione persino sulle radio
italiane. Per altro verso, le stesse emittenti hanno
completamente ignorato una meraviglia come Things I
Miss The Most, minuziosa anatomia di un amore finito:
il modellismo navale -
Im building the Andrea Doria out of balsa wood
- offre unillusoria fuga dai
rimpianti, mentre la citazione dellAUDI TT
promuove il coupè tedesco nella categoria
cult. La melodia di Pixeleen inanella
una geniale catena di link armonici che, una volta
memorizzati, lasciano lascoltatore in trance. Con Lunch
With Gina entra in scena lennesima femme
fatal di Donald: basti notare che un pranzo con lei
is forever.
Le parole di Godwhacker affrontano il delicato
tema della religione da una prospettiva simile a quella
che ispirò Godley
& Creme per il capolavoro Goodbye Blue Sky.
Latmosfera noir di Green Book e
i riferimenti a Jill St. John, Mickey Spillane e Robert
Aldrich evidenziano la cultura cinefila di Fagen
(ricordate laccenno a Tuesday Weld su New
Frontier?). Forse qualcuno rimpiangerà le complesse
architetture ritmiche di Katy
Lied, Aja
o The Royal Scam,
cui è subentrata una scansione più uniforme e regolare.
Non lo dite a noi: ne abbiamo viste troppe per avere
unopinione precisa a riguardo. [P.S. -
Assolutamente imperdibile il video incluso
nelledizione speciale del CD: un cortometraggio
semi-improvvisato - Confessions - in cui Walter e
Donald conversano senza inibizioni, spalleggiati da
interlocutrici avvenenti e disinvolte.] -
B.A.
BARBRA
STREISAND - THE BARBRA STREISAND ALBUM (1963)
BARBRA
STREISAND - THE SECOND BARBRA STREISAND ALBUM (1963)
BARBRA
STREISAND - THE THIRD ALBUM (1964)
BARBRA
STREISAND - PEOPLE (1964)
BARBRA
STREISAND - SIMPLY STREISAND (1967)
BARBRA
STREISAND - WHAT ABOUT TODAY? (1969)
BARBRA
STREISAND - BARBRA JOAN STREISAND (1971)
BARBRA
STREISAND - STONEY END (1971)
BARBRA
STREISAND - BUTTERFLY (1974)
BARBRA
STREISAND - THE WAY WE WERE (1974)

BARBRA
STREISAND -
LAZY AFTERNOON (1975)
STREISAND
/ KRISTOFFERSON - A STAR IS BORN (1976)
BARBRA
STREISAND - SUPERMAN (1977)
BARBRA
STREISAND - SONGBIRD (1978)
BARBRA
STREISAND - WET (1979)
BARBRA
STREISAND - GUILTY (1980)

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