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 A.O.R.
JaR (JAY GRAYDON / RANDY GOODRUM)
- SCENE 29 (2008)
Con gli ultimi
standard di eccellenza risalenti a Morph The Cat
di Donald Fagen
e ai demo centellinati dai GG/06,
linatteso esordio dei JaR si impone in
scioltezza come evento dellanno. Solo
lepidemia di I.C.S. (Indottrinamento
Collettivo Sistematico) diffusa dalle radio italiane
rende necessario ricordare chi siano Jay Graydon e Randy Goodrum: in
sostanza, ciascuno per proprio conto, i due fuoriclasse
hanno prodotto album storici, scritto canzoni stupende,
suonato assoli memorabili per Steely Dan, Steve Kipner, Manhattan
Transfer, Dionne
Warwick, Al
Jarreau, Michael
McDonald, George
Benson, Toto, Chicago. Coi
fasti del fenomeno A.O.R.
ormai lontani, sorprendersi piacevolmente per un nuovo CD
è sempre più raro: nel caso di Scene 29, il
clamore della notizia è accresciuto dallalto
livello della musica. I pezzi sono tutti magnifici: tra
la raffinata atmosfera latin-jazz di Cure Kit, il
familiare ritmo against nature di Call
Donovan, lorecchiabile tema di Make Somebody,
le seducenti armonie di Your Heartbreak,
lipnotica spirale sonora di Crumble Down,
cè solo limbarazzo della scelta. Le emozioni
più forti arrivano dalla chitarra di Graydon, la più
bella mai udita in ambito pop, ancora in forma smagliante
[i più giovani riascoltino i suoi epici fraseggi su Peg
(Aja) e The End
(Knock The Walls Down)],
e dallinesauribile abilità di Goodrum, premiato
artigiano della canzone, nel cucire insieme note e
parole. La qualità audio, in linea con la tradizione del
genere, è stratosferica. - B.A.
Consulenza: Lorenzo
7Panella
SCOTT JARRETT - WITHOUT
RHYME OR REASON (1980)
BILLY JOEL - TURNSTILES (1976)
BILLY JOEL
- THE STRANGER (1977)

Classico per tutte le
stagioni, nel senso migliore di un pur frusto slogan, The
Stranger è anche il capolavoro di Billy Joel.
Al culmine della propria ispirazione, il cantautore del
Bronx compila una memorabile scaletta - Movin
Out (Anthonys Song), The Stranger, Get
It Right The First Time - in cui qualunque preferenza
personale è lecita. In unideale classifica delle
grandi canzoni post-Beatles,
accanto a Life On Mars? di
David Bowie e Im Not In Love dei 10cc, dovrebbe svettare Just The Way You Are: uno
stile squisito in equilibrio tra pop e jazz,
il timbro perlato del piano elettrico, le sobrie
rifiniture degli archi, parole tanto semplici quanto
sublimi -
dont
go trying some new fashion, dont change the color
of your hair, you always have my unspoken passion,
although I might not seem to care, I dont want
clever conversation, I never want to work that hard, I
just want someone that I can talk to
-
strofa e inciso magistralmente incorniciati nel riff
esposto dal sax alto di Phil
Woods che, dopo la felice esperienza con gli Steely Dan (Katy Lied), per la
seconda volta nobilita il fatuo mondo della musica
leggera con uno dei suoi divini fraseggi
tutto concorre a trasfigurare quel così come sei nella ballad
definitiva, originale anche rispetto alle innovazioni
stilistiche di Burt
Bacharach o Jimmy
Webb. A dispetto delle tante cover, quella
dellautore rimane linsuperata versione del
grande standard. Viceversa, interpretando Shes
Always A Woman, Lynda
Carter (Portrait)
ne propose un grazioso contraltare femminile: proprio
lei, Wonder Woman, indiscussa
protagonista dei primi, teneri esercizi di onanismo per
chiunque sia stato adolescente negli anni Settanta. Con
lo sprezzo del ridicolo tipico della categoria (dossier I / II
/ III) e lironia scipita
dei guitti mediocri, i giornalisti
specializzati - già qui dovremmo sigillare occhi e
orecchie dei bimbi presenti - Jimmy Guterman e Owen
ODonnell hanno inserito Billy Joel
nellappendice del loro libro (The Worst Rock n Roll
Records Of All Time: A Fans Guide To The Stuff You
Love To Hate!) riservata ai peggiori artisti rock. Non ridete: nellelenco
cè anche Paul McCartney
- B.A.
Se Turnstiles conteneva New York State Of Mind - poi
ripresa da Mark/Almond
(To The Heart), Barbra
Streisand (Superman) e Shirley
Bassey (All By Myself) - The Stranger
è passato alla storia per Just The Way You Are,
una canzone che chiunque vorrebbe aver scritto e chiunque
potrebbe cantare sbagliando giusto un paio di parole. Ma
dietro la sua spaventosa notorietà, cerano altre
inquadrature dellelegante visuale di New York che Billy Joel
riuscì a riassumere uscendo la sera [Movin Out
(Anthonys Song)], entrando in un ristorante (Scenes
From An Italian Restaurant), immaginando morti
precoci (Only The Good Die Young) e chiudendo con
una galleria di sogni (Everybody Has A Dream). - Enrico
Sisti
BILLY JOEL - 52nd
STREET (1978)
BILLY JOEL - GLASS
HOUSES (1980)
BILLY JOEL - THE
NYLON CURTAIN (1982)
BILLY JOEL - AN
INNOCENT MAN (1983)
BILLY JOEL - THE
BRIDGE (1986)
ELTON
JOHN - A SINGLE MAN (1978)
DON JOHNSON - HEARTBEAT (1986)
MICHAEL JOHNSON - THE
MICHAEL JOHNSON ALBUM (1978)
MICHAEL JOHNSON - DIALOGUE
(1979)
MICHAEL JOHNSON - YOU
CAN CALL ME BLUE (1980)
MICHAEL JOHNSON - HOME
FREE (1981)
JOLIS & SIMONE - JOLIS &
SIMONE (1979)
RICKIE LEE JONES - RICKIE
LEE JONES (1979) 
Gli atteggiamenti
ingenuamente bohémien e lamicizia con
Tom Waits depistarono una parte del pubblico, negando a
molti ascoltatori il piacere di apprezzare un disco
eccellente: lesordio di Rickie
Lee Jones combinava folk, jazz, West Coast, A.O.R. e portava una ventata
di freschezza nel deprimente panorama deturpato da punk,
disco-music e riflusso. I diversi aspetti che emergono
lungo lalbum - talvolta in uno stesso brano -
delineano lirrequieta personalità della fascinosa
cantautrice: Young Blood trasmette piacevoli
vibrazioni pop propagate dal saltellante basso di Willie
Weeks; On Saturday Afternoons In 1963 è una
nostalgica ballad su cui scorrono i fotogrammi consunti
del passato; landatura felpata di Weasel And The
White Boys Cool e il boogie scanzonato di Dannys
All-Star Joint sottolineano le (dis)avventure di
emarginati e balordi, figure ricorrenti nel repertorio
della Jones; Night Train coglie una madre
disperata in fuga con il suo bambino; sul singolo Chuck
Es In Love una chitarra acustica suonata in
stile slap dialoga con la batteria vivente di
Steve Gadd, per
raccontare una deliziosa storia damore con finale a
sorpresa; Easy Money è un blues da saloon, di cui
Lowell
George offrì una travolgente versione R&B (Thanks
Ill Eat It Here); sospesa in una
dimensione onirica, scandita da un ritmo pigro e da
accordi crepuscolari, The Last Chance Texaco crea
una suggestiva atmosfera da ultima spiaggia. Il motivo
per cui Company non sia diventata uno standard è
uno di quei piccoli misteri destinati a restare
insondabili per sempre: una luminosa gemma pianistica che
aspetta ancora un interprete allaltezza di Rickie.
Tra gli ospiti di lusso vanno segnalati almeno Jeff
Porcaro e Michael
McDonald. - B.A.
RICKIE
LEE JONES - PIRATES (1979)
RICKIE
LEE JONES - THE MAGAZINE (1984)
RICKIE
LEE JONES - FLYING COWBOYS (1989)
RICKIE
LEE JONES - POP POP (1991)
RICKIE
LEE JONES - TRAFFIC FROM PARADISE (1993)
RICKIE
LEE JONES - ITS LIKE THIS (2000)
MARC JORDAN - MANNEQUIN
(1978) 
Durante
laffannosa ricerca di una nuova formula, condotta
insieme a Dane Donohue, Ned Doheny e qualche
altro pioniere, Marc
Jordan scovò in soffitta alcune anticaglie (un 45
giri Motown, un
vecchio LP Blue Note,
il sax ammaccato del nonno, la chitarra impolverata di un
figlio dei fiori), che decise di riverniciare con i
colori carichi di un telefilm anni '70. Loasi A.O.R.
accolse i profughi perseguitati durante gli anni del punk
e della disco-music. La prima ristampa CD di questo
album, pubblicata dalla Warner giapponese, era del tutto
insoddisfacente a causa di una pessima resa sonora. Con
felice intuizione, Jordan ha ri-masterizzato i nastri,
restituendoci il suo primo capolavoro in tutto il suo
splendore (etichetta LA CALIFUSA). Per questo, sempre sia
lodato. Sebbene A Hole In The
Wall sia generalmente considerato lopera
della maturità di Marc, il sound di Mannequin
conserva un sapore unico, inimitabile. Dai brillanti
arrangiamenti di Survival e Red Desert,
alle sentite interpretazioni confidenziali di
Only Fools e Dancing On The Boardwalk,
passando per i riverberi solari di Jungle Choir e Marina
Del Rey, si arriva ai due brani finali del disco:
piano elettrico, contrabbasso, piatti e sax impostano la
giusta atmosfera per One Step Ahead Of The Blues,
imprevista deviazione jazz che
lascia il segno anche grazie allispirato tenore di
Tom Scott; sulle malinconiche note di Lost Because You
Cant Be Found si può ballare lultimo
lento o, semplicemente, restare sdraiati al buio e
premere il tasto repeat. - B.A.
MARC JORDAN - BLUE
DESERT
(1979)
Blue Desert
è una felice combinazione ottenuta attraverso il
riciclaggio di materiali con cui Marc Jordan ha
rigenerato la canzone popolare. Il nuovo stile venne
definito nei modi più bizzarri - si veda
lintroduzione alla sezione A.O.R. - ma, almeno per un
verso, la sigla in questione si rivelò azzeccata:
ripudiando una volta per tutte i giornalisti, il rock diventava maggiorenne. Basta con
le nenie costruite su tre accordi. No allipocrisia
dellinettitudine camuffata da
spontaneità. Fine dei presunti
messaggi contenuti nei testi. La musica si
arricchisce di progressioni armoniche più sofisticate e
imprevedibili, di assoli suonati pensando al jazz e, finalmente, le parole di una
canzone servono soprattutto ad apprezzare il timbro
vocale dellinterprete. Il secondo album di Marc Jordan è un
autentico paradigma dellunica new wave
che il rock abbia conosciuto (a
parte la rivoluzione progressive
degli anni '70). Mentre Marc impaginava sofferte storie
private sopra splendidi arrangiamenti fusion, Jay Graydon curava
la produzione con pignoleria degna di un costruttore
dauto teutonico, offrendo saggi magistrali del
proprio talento con la 6 corde (Bebop):
emozionanti fughe elettriche (Im A Camera; Twilight;
Tattooed Lady; Release Yourself) si
alternano a uno spettacolare ricamo di chitarra classica
stile Earl Klugh
(Beautiful People). Qua e là spunta qualche
v.i.p. (Bill
Champlin, Jeff Porcaro, Pete Christlieb, Michael
Omartian, Jim Keltner etc.), e le finezze strumentali si
susseguono. Un plastico volteggio del sax di Ernie Watts
si ascolta sulla stupenda Generalities, mentre il
flicorno di Chuck Findley improvvisa con lirismo sulle
raffinate partiture di Lost In The Hurrah,
probabilmente la più amata creazione di Jordan. Per
vivere bene questo disco non è necessario, però aiuta.
- B.A.
MARC JORDAN - SECRETS (LIVE
AT EL MOCAMBO) (1981)
MARC JORDAN - A
HOLE IN THE WALL (1983)

È possibile che il
suono levigato e tecnologicamente perfetto di questo
disco abbia lasciato un po di amaro in bocca a chi
aveva scoperto Marc
Jordan attraverso linedita e schietta atmosfera
di Mannequin.
In ogni caso, col senno di poi, e di fronte a dieci
canzoni di questo livello, anche i soliti incontentabili
considerano ormai A Hole In The Wall meritevole di
figurare accanto a The
Nightfly di Donald Fagen o Angel Heart
di Jimmy Webb: cosa sarebbero stati gli anni Ottanta
senza queste ancore di salvezza, senza questi preziosi
attimi di sollievo rispetto allorrore imperante?
Lasciato in braghe di tela dalla Warner, Marc inizia un
umiliante pellegrinaggio da unetichetta
allaltra (tragica esperienza condivisa da molti
grandi protagonisti dellA.O.R.) e dopo un ottimo
live pubblicato dalla RCA giapponese (Secrets / Live
At El Mocambo) approda provvisoriamente alla
nipponica Sound Design. I saggi produttori del Sol
Levante sanno di avere di fronte un artista vero e gli
danno carta bianca. Tanto per cominciare, Jordan fa
sedere dietro i tamburi lo specialista Mike Baird, a cui
affianca alcuni 'mostri' di studio californiani, primi
fra tutti Richard Page e Steve George ai cori. La
chitarra di Steve Lukather introduce e domina Slipping
Away, scritta insieme a Steve Kipner, cronaca di una
fine imminente (la solita lei insofferente
che se ne vuole andare). Margarita vi farà
innamorare al primo ascolto: lingenua messicana a
cui strangers and
lovers hanno spezzato il cuore è
protagonista di una storia resa memorabile dal raffinato
chorus affidato ai Pages, dal sax di Ernie Watts e da un
romantico Marc Jordan che tenta a tutti i costi di
consolare la ragazza: ...
nobody knows you / they just call out a name / nobody
loves you / they think that love's a game / but I know
you / you broke my heart / it's just bad luck that keeps
us apart .... Lindomito temperamento
rock di Marc emerge con prepotenza su A Hole In The
Wall, in cui il ritmo scandito dal piano elettrico e
i lancinanti inserimenti della chitarra disegnano
un'atmosfera che asseconda benissimo la carica drammatica
di questa title-track. Intitolare un nuovo brano Its
Only Love, come il classico di John Lennon (su Help!)
è unimprudenza che farebbe tremare i polsi a
chiunque. Marc
Jordan è caduto in piedi grazie al fascino di una
tenera ballad composta insieme a David Foster. Where
Did We Go Wrong e Love Like A Wheel sono
due ghiottonerie pop-rock, impreziosite dagli
arrangiamenti fiatistici dellartigiano Jerry Hey
(la seconda firmata da Jordan con Ali Thomson, fratello
del bassista dei Supertramp, Dougie). Dance With Me,
un lento impeccabile, ripropone lossessivo invito a
ballare che aveva caratterizzato Mannequin,
mentre la stupenda e misteriosa Thieves contiene
alcuni incomprensibili accenni al muro di Berlino di cui,
in fondo, non ci importa molto. Un album così doveva
chiudersi in modo speciale, ed ecco limmancabile
tocco di classe: una bruciante, fulminea canzone che
tanto potrebbe insegnare a chi è ancora convinto che il
vero rock debba essere per forza rozzo.
Ritmicamente caratterizzata dalle tipiche frasi spezzate
di Jay Graydon, Hold On vola via in appena tre
minuti, e si consuma rapidamente passando dalle strofe
cantate da Marc fino al melodico assolo di Jay, che
lancia il coro finale dei Pages. Degna
conclusione di unopera darte popolare
contemporanea. - B.A.
La sua musica non ha
nulla da invidiare alle sequenze di accordi con le quali
Stephen Bishop ha sedotto il mondo: Its Only
Love potrebbe sostituirsi a It Might Be You
(cfr. Tootsie) senza farla rimpiangere. Siamo
sullo stesso autobus che ci ha sballottato fino a The Nightfly e allenergia meticcia di Michael
McDonald. A Hole In The Wall è un album
straordinario, dal quale giungono segnali rincuoranti,
indicazioni e suggerimenti (Slipping Away; Love
Like A Wheel; Where Did We Go Wrong; Margarita).
- Enrico Sisti
MARC JORDAN - RECKLESS
VALENTINE (1993)
MARC JORDAN - THIS
IS HOW MEN CRY (1999)
MARC JORDAN - MAKE BELIEVE
BALLROOM (2004)
MARC JORDAN - CRUCIFIX
IN DREAMLAND (2010)
MARC JORDAN - ON
A PERFECT DAY (2013)
ERIC KAZ - IF
YOURE LONELY (1972)
KEANE - KEANE (1981)
RAY KENNEDY
- RAY KENNEDY (1980)

 Il prematuro trapasso di Ray
Kennedy ci offre loccasione per ricordare un
artista che, col suo album omonimo del 1980, firmò una
preziosa pagina dellindimenticabile stagione A.O.R.:
il proficuo supporto di Jack Conrad, co-autore di quasi
tutti i brani, la smagliante produzione di David
Foster, il lussuoso contributo di specialisti come Mike Baird,
Jeff
Porcaro, Bob Glaub,
Mike
Porcaro, Steve
Lukather, Jai Winding, una voce acuminata, roca e
potentissima per una manciata di canzoni impetuose,
melodiche, raffinate, originali anche in quel
circoscritto ambito stilistico. Se lirruenza
ritmica di It Never Crossed My Mind, Cant
Seem To Find The Time, You Oughta Know By Now,
Isnt It Time? (già incisa dai Babys
di John
Waite) è scandita dalla proteiforme chitarra di
Lukather, lintensità delle ballad Just For The
Moment e My Everlasting Love {ripresa con
parole e titolo diversi da Bill
Champlin [Tonight Tonight (Runaway)]} esalta
leclettismo dellinterprete di razza.
Lintroduzione a cappella di Starlight
deflagra in un sanguigno soul-boogie
condotto dalle immacolate armonie del coro.
Precedentemente registrata dai Beach Boys
(Holland) e dai KGB* (KGB), Sail On
Sailor sprigiona la propria valenza gospel in un
arrangiamento spettacolare e ispirato. È un esercizio
futile, ma qualche volta davvero non si può evitare di
porsi il fatidico what
if?
a noi capita quando ascoltiamo i
dischi di Greg Guidry, David Roberts, Far Cry, Maxus, Ray
Kennedy
e ci domandiamo: se invece di
spacciare il letale Gioca
Jouer presso i giovani più indifesi la
stampa specializzata avesse promosso questa
musica, la TV della P2 sarebbe comunque riuscita a
indottrinare un intero paese per quasi mezzo secolo? La
risposta, immancabilmente, ci getta nella più cupa
costernazione
(P.S. - *Leffimero super-trio
fondato da Ray
Kennedy insieme a Barry
Goldberg e Mike
Bloomfield, con la prestigiosa collaborazione di Carmine
Appice e Ric Grech.)
- B.A.
GERARD KENNY - MADE
IT THRU THE RAIN (1979)
GERARD KENNY - LIVING
ON MUSIC (1981)
RICHARD KERR - RICHARD KERR
(1976)
RICHARD KERR - WELCOME TO
THE CLUB (1979)
RICHARD KERR - NO LOOKING
BACK (1982)
CAROLE KING - TAPESTRY (1971)
CAROLE KING - WRAP AROUND
JOY (1974)
CAROLE KING - THOROUGHBRED (1976)
STEVE KIPNER - KNOCK THE
WALLS DOWN (1979)
Ma gli addetti ai
lavori che scrivono la storia del rock (dossier
II) hanno mai ascoltato lassolo di Jay Graydon su The
Ending? Naturalmente no
poi ti credo che
per valorizzare la musica italiana ci si
riduce a chiedere lopinione di Biagio
Antonacci. La verità è che nel 1979 uno sparuto
drappello di artisti attivi negli Stati Uniti aggiornava
la canzone dautore con raffinati arrangiamenti fusion,
svolgendo al tempo stesso lodevole opera di soccorso per
chi era sopravvissuto a meningite punk e febbre da
balera. Reclutato dal clan Foster/Graydon, Steve
Kipner era uno degli artefici di quella rivoluzione e
la sua firma è presente su diversi classici del genere [Nothin
You Can Do About It, Cryin All Night, Bix
(Airplay), Hard Habit
To Break, If She Would Have Been Faithful (Chicago), Murphys
Law (Al Jarreau),
20/20 (George
Benson) etc.]. Il suo unico album in veste di
titolare schiera Greg Mathieson, Michael
Omartian, David
Foster alle tastiere, la sezione ritmica dei neonati
Toto [Jeff
Porcaro (batteria), David Hungate (basso)] su (quasi)
tutte le canzoni e Larry
Carlton che incrocia la chitarra con Jay Graydon, questi
anche regista del progetto. Tutti i dieci arrangiamenti
in squisito stile A.O.R.
hanno superato la prova del tempo, pertanto le singole
predilezioni sono soggettive: lo scanzonato riff di Knock
The Walls Down, romantico sketch tradotto in immagini
sulla copertina (per dichiararsi allavvenente
vicina di casa, un allupato Kipner sfonda il muro
dellappartamento con un mazzo di fiori); le tre
sofisticate ballad che valgono lacquisto del CD (Ive
Got To Stop This Hurting You, Love Is Its Own
Reward, Cryin Out For Love); lo
spettacolare epilogo - The Ending, brano gemello
del prologo The Beginning - la cui prodigiosa fuga
elettrica colloca il busto in marmo del produttore
accanto a quelli di Jimmy Page
(Stairway To Heaven) ed Eric
Clapton (While My Guitar Gently Weeps). [P.S.
- Uno dei 45 giri tratti dallalbum recava sul retro
un brano inedito (I Had To Find
It Out For Myself): grazie a una provvidenziale
segnalazione del solerte connoisseur Lorenzo
7Panella, i discografici giapponesi hanno potuto
includerlo nella ristampa CD del 2010.] - B.A.
DANNY KORTCHMAR - KOOTCH
(1973)
ROBERT KRAFT - MOODSWING
(1979) 
La straordinaria
somiglianza con Bruce Willis avrebbe potuto assicurargli
una carriera di successo nel cinema. Invece Robert Kraft
ha preferito il pianoforte e nel 1979 ci ha regalato una
delle gemme più preziose estratte dalla miniera
dellA.O.R. - Perizia strumentale,
arrangiamenti superlativi, strutture armoniche complesse
a fronte di temi sempre cantabili: gli elementi
caratteristici del nuovo genere ci sono tutti, ma
linconsueta dimensione espressiva degli Ivory
Coast, il raffinato quartetto elettro-acustico che
accompagna Kraft nellalbum, dona alle canzoni un
suono assolutamente personale, liberando la musica da
quellinvolucro artificioso con cui talvolta si
confezionano i dischi pur di ottenere un passaggio
radiofonico in più. Il temperamento jazz
di Robert affiora in tutta la sua spontaneità sulle
scattanti A Jump For Miles e Whos
Seducin Who?, mentre la band scalda i muscoli
con lesercizio fusion di Hoverkraft.
Il virile, seducente lirismo che attraversa Bon Voyage
e Down In Flames si alterna allironica
vitalità di False Start e Junction Boulevard.
Rimarchevole la presenza di Phil Galdston e Peter Thom,
in veste di produttori (Galdston) e coristi: i loro due
introvabili album (American Gypsies; The More Things Change ...)
continuano ad essere un mistero per il pubblico. È
politically correct chiedere ai depravati di Musica!
di mettere in prima pagina la questione dei Far Cry invece di quella
pagliacciata del P.I.M.? - B.A.
ROBERT KRAFT - READY
TO BOUNCE
(1981) 
Francamente siamo
stufi di abbozzare ancora con gente che latra contro
file sharing e free download solo
perché Internet riesuma oggi quel che loro hanno buttato
nel cesso trenta anni fa. Ad esempio, perché non
dovremmo augurare le peggio cose a chi cestinò senza
scrupoli Ready To Bounce di Robert Kraft e Sleeping With Girls
di Stephen Bishop?
Cosa hanno in comune questi album? Dal momento che una
cronaca troppo dettagliata rischia di appannare le
responsabilità, se permettete, sintetizziamo: un bel
giorno, gli executive delle rispettive case discografiche
- capoccetti e sottopancia strafatti di cocaina ma
potentissimi - decisero che quella roba non andava
pubblicata. Punto.
Ready To Bounce - Deciso a sfruttare gli attestati
di stima riscossi col magnifico esordio, senza tuttavia
scendere a patti sui contenuti, Robert Kraft si affida
ancora a Phil Galdston dei Far Cry,
chiedendogli di aggiungere un tocco di opulenza agli
arrangiamenti per scongiurare lostracismo che la
maledetta radio aveva riservato allaustera,
finissima dimensione semi-acustica di Moodswing. Ecco
allora lo sfarzo vocale di Carnegie Woogie, coi Manhattan
Transfer al completo, lammiccante duetto con la
bella Irene
Cara su I Cant Say No, gli irresistibili
ritornelli post-swing di Groove Speed e Manhattan,
oltre a unincredibile parata di talenti che vede
sfilare specialisti come Neil Jason, John Siegler, Chris Parker,
Jon
Herington e fuoriclasse come Michael
Formanek, Randy
Brecker, Bob
Mintzer. I privilegiati che già conoscano Retro Active
troveranno qui le tre versioni originali, anteriori e
alternative di altrettante canzoni che furono rivisitate
su quel capolavoro: On The West Side, Teach Me
How To Kiss You, Single, Solo
come
diceva uno bravo, doppio divertimento*. Il personalissimo
approccio di Robert alla ballad - una delicata mescolanza
di spleen incombente e sensualità trattenuta - risalta
sulle stupende Dont Turn Away, col prezioso
sax soprano di Paul
McCandless (nientemeno) e il violino di Ross Levinson
che evoca la memorabile Down In Flames (Moodswing), e
Rosette, tratta dallignoto musical Metropolitan
Serenade, con la sezione ritmica in mano a Kenny
Barron, Ron Carter,
Billy
Cobham (!!!) e il flicorno del carneade Joe Shepley
che danza sullinciso in ¾. Voto a entrambe:
10. Ogni passaggio vi irretirà con la voce,
lo stile, leleganza di un inimitabile, sofisticato
artista diviso tra jazz e cinema. [P.S. - *La bancarotta
della RSO
aveva confinato Ready To Bounce in un mesto oblio
giapponese: la RCA
offrì a Robert lopportunità di recuperare,
rielaborare, incidere da capo e riproporre quelle idee in
un progetto editoriale affine ma nuovo (dalla travagliata
vicenda, forse, deriva il titolo Retro
Active).] - B.A.
Consulenza:
Lorenzo
7Panella
ROBERT KRAFT - RETRO
ACTIVE (1982) 
 Sebbene Moodswing
rappresenti meglio il talento del sofisticato
intrattenitore da piano-bar, questo album è il frutto
più maturo della sua discografia, comunque troppo avara
per un artista di questo livello. Aggiungete le
inestimabili voci di Richard Page e Steve George alla
produzione di Larry Mr. 335 Carlton, ed ecco
a voi Retro Active, uno dei più profumati
flowers in the dirt miracolosamente sbocciati
in mezzo alla melma degli anni 80. Data la
peculiarità del personaggio, ci si può fare
unidea della sua musica immaginando uno stile a
metà tra Peter Allen, altro purosangue allevato
nellatmosfera intima dei club, e Ben Sidran, per il
copioso ricorso ad armonie e arrangiamenti di impronta
jazzistica. In ogni caso, il riferimento va considerato
come una pura indicazione. La tensione ritmica che
innerva Heartless, What Price Glory?, On
The West Side, Youre Blue Too (con Janis
Siegel) e Single, Solo si attenua di fronte alla
toccante sincerità di Can We Be In Love Again? e Lets
Hold Each Other Once More. La sezione fiati diretta
da Jerry Hey asseconda lindole cinematografica di
Robert su Out With My Ex: in una situazione che
evoca il Woody Allen di Annie Hall e Manhattan,
fra bugie, imbarazzi e malcelate allusioni al sesso, la
rimpatriata con una vecchia fiamma si conclude con un
buco nellacqua. Se esiste una giustizia, prima o
poi qualcuno risponderà della censura inflitta ad
autentici classici moderni come I Wonder What
Youre Like e Teach Me How To Kiss You.
Solidissime, come sempre, le fondamenta percussive
gettate da Jeff Porcaro, Ed Greene e Rick Marotta. Il CD
è stato ristampato con una copertina diversa (e meno
originale) rispetto a quella del Long Playing. Dedicato a
Monk. Se vi basta ... - B.A.
ROBERT KRAFT - QUAKE CITY
(1989) 
Cosa resterà degli anni Ottanta? Poca roba,
oltre al riflusso
nel privato e alle città
da bere. In relazione alla musica, è
necessario frugare tra le montagne di pattume alla
ricerca di quei due, tre album a semestre degni di nota
(quando va bene, jazz a parte). In
chiusura di decennio, quasi a marcare la distanza
siderale tra il proprio spessore artistico e il lugubre
panorama circostante, una trinità di fuoriclasse - Godley
& Creme (Goodbye
Blue Sky), Robert
Kraft (Quake City) - torna nellarena per
ricordare al pubblico, rintronato dalla TV, cosa sia lo
stile: lappello cadrà nel vuoto
Quake City - Un doveroso chiarimento preliminare
per i pochi sfortunati che ancora non conoscessero Robert Kraft:
campione assoluto, maestro dellamalgama tra fusion e canzone dautore -
ampiamente al livello di un Donald
Fagen, di un Michael
Franks, di un Ben Sidran
- egli non ha ricevuto i giusti riconoscimenti a causa
delle radio ridotte a sentina di ogni nequizia sonora.
Dopo la spettacolare trilogia che lo aveva consegnato
alleternità (Moodswing,
Ready To Bounce, Retro Active), Robert
era rimasto fuori dal giro, forse incupito dai trionfi
del Gioca
Jouer. Il rientro costituirà motivo di imbarazzo
per lintera categoria della stampa
specializzata, colta di sorpresa da un talento cui
aveva preferito Vamos A La Playa e No Tengo
Dinero. Assecondato da una compattissima band in cui
spiccano Dave Chamberlain (basso) e Rick
Marotta (batteria), Kraft snocciola una serie di
stupendi bozzetti musicali, cogliendo brillantemente lo
spirito degli vari temi affrontati: la rivoluzione
letteraria americana (Beat Generation), un
momentaneo smarrimento sottolineato dallarmonica di
Bruce
Willis (Lost In The Shuffle), un vivido
ritratto femminile (O Eliza), il problema dei
senzatetto (Homeless), splendori e miserie sullo
sfondo della metropoli (Quake City), gossip sui
divi del cinema (Rubber Neckin),
leterna giovinezza (Fountain Of Youth), il
segreto della ballad perfetta (Stop Time).
Ripensiamo avviliti a quel periodo terribile
ancora quella domanda irrisolta che ci ossessiona: «what if?». [P.S. - 1) Dal
1994 al 2012 Robert
Kraft ricoprirà con successo lincarico di
presidente della Fox Music.
2) Per liquidare la questione, suggeriamo di prendere il
sontuoso cofanetto Complete Kraft
Box 1979-1989: cinque CD, cè tutto.] - B.A.
KRIS KRISTOFFERSON - KRISTOFFERSON
(ME AND BOBBY McGEE) (1970)
KRIS KRISTOFFERSON - THE SILVER
TONGUED DEVIL AND I (1971)
KRIS KRISTOFFERSON - JESUS WAS A
CAPRICORN (1972)
KRIS KRISTOFFERSON - WHOS
TO BLESS AND WHOS
TO BLAME (1975)
KRIS KRISTOFFERSON & RITA COOLIDGE
- FULL
MOON (1973)
KRIS KRISTOFFERSON & RITA COOLIDGE
- BREAKAWAY
(1974)
KRIS KRISTOFFERSON & RITA COOLIDGE
- NATURAL
ACT (1978)
LEAH KUNKEL - LEAH KUNKEL
(1979) 
Along
the line of truly great singers: Billie Holiday, Don
& Phil Everly, Aretha Franklin, James Taylor, Linda
Ronstadt
listen to Leah Kunkel. - Art Garfunkel
Essere
la pupilla di Art Garfunkel e Jimmy Webb dovrebbe
garantire una certa visibilità. Eppure,
lasfissiante cappa di ignoranza che ci soffoca da
oltre trentanni ha avuto come risultato anche
loccultamento di un disco come questo. Chi paga i
danni? Certo non Gino Castaldo, che nella sua impudente
letterina natalizia (20 Dicembre 2001) ha promesso di
tutto, eccetto le uniche cose che potrebbero restituirgli
lonorabilità: 1) una confessione piena; 2) il
risarcimento in solido di tutte le costosissime edizioni
giapponesi che abbiamo dovuto rintracciare in capo al
mondo; 3) limpegno solenne a cercarsi un lavoro
diverso. In attesa di una sua auspicabile
riqualificazione alla catena di montaggio, cerchiamo di
recuperare il tempo perduto. Chi avesse la fortuna di
trovare una copia di questo CD trascorrerà lunghi
momenti di puro diletto, ascoltando una voce a cui non
manca nulla: classe, profondità, sex appeal
e un suono incantevole. Se a questo aggiungiamo
laffascinante ragazza ritratta sulle foto di
copertina, ce nè abbastanza per un travolgente
plastic love, quel bizzarro sentimento che ci
assale quando perdiamo la testa per una star. Agli
appassionati non sfuggiranno le due canzoni di Stephen
Bishop, che allora trasformava in oro qualsiasi cosa
toccasse: presente anche sullacclamato capolavoro Bish,
A Fool At Heart è una sontuosa ballata tinta di
soul, interpretata da Leah quasi filologicamente, anche
se la chitarra acustica dellautore è sostituita
dallimpeccabile piano di John Jarvis; Under The
Jamaican Moon diffonde la malia incantatoria del
reggae senza adottarne il ritmo, in luogo del quale si
leva un tema ipnotico e sinuoso, rincorso
dallacuminato sax tenore di Joe Farrell. La
struggente melodia di Step Right Up è inguainata
in un arrangiamento sobrio ma efficace, che armonizza
splendidamente archi, sezione ritmica e il controcanto di
Penny Nichols. Annegata in un mare di autocommiserazione,
Losing In Love vanta un refrain micidiale e
lautorevole presenza di Jackson Browne ai cori.
Anche lapproccio alle cover sortisce effetti
straordinari: lidea stessa di rileggere Ive
Got To Get A Message To You - sempiterno hit dei Bee
Gees - va salutata con favore, ma il nobile gesto è
persino esaltato da una versione misurata e intensa; If
I Could Build My Whole World Around You è
limmancabile classico Motown, restaurato con i
colori morbidi della scuola West Coast. Immaginatevi
sedotti e abbandonati mentre Leah Kunkel cerca di
consolarvi con una serenata pop: il miracolo si compie
sulla dolcissima Step Out. Una simile cornucopia
rischia di offuscare il valore di Souvenir Of The
Circus, Dont Leave These Goodbyes e Down
The Backstairs Of My Life, che sono invece
allaltezza di un album necessario soprattutto oggi.
- B.A.
LEAH
KUNKEL - I RUN WITH TROUBLE (1980)

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