 JAZZ
PAOLINO DALLA
PORTA - TALES
(1993)
PAOLINO DALLA
PORTA - LA BALLATA DI DOMENICA (2000)
EDDIE DANIELS - FIRST
PRIZE! (1967)
EDDIE DANIELS - THIS
IS NEW (1968)
EDDIE DANIELS - STREET
WIND (1978)
EDDIE DANIELS - BRIEF
ENCOUNTER (1980)
EDDIE DANIELS - MORNING
THUNDER (1980)
HAROLD DANKO - NEXT
AGE (1993)
HAROLD DANKO - NEW
AUTUMN (1995)
HAROLD DANKO - TIDAL
BREEZE (1996)
HAROLD DANKO - THE
FEELING OF JAZZ (1996)
HAROLD DANKO - STABLE
MATES (1997)
HAROLD DANKO - NIGHTSCAPES
(2000)
STEFANO
DANNA - LEAPIN IN
(1991)
Italia: davvero solo
pizza e mandolino? In realtà, se abbiamo ancora artisti
del genere forse non tutto è perduto e si potrebbe
persino assistere, prima o poi, a un altro sussulto
dorgoglio popolare con tirannicidio annesso, dopo i
giorni esaltanti di Piazzale Loreto e dellHotel
Raphaël
magari ad Arcore? Lo volesse Iddio!
Intanto, Stefano
DAnna suona il sax tenore a livello dei
grandissimi e, con lesordio su etichetta Splasc(H),
si impone tra i più autorevoli solisti internazionali.
La formula del trio senza piano è, al tempo stesso,
impegnativa e stimolante, perché lasciando
limprovvisatore privo di sostegno armonico lo
obbliga riempire gli spazi con unimmaginazione che
non può mai venir meno. Sorretto da una coppia ritmica
solida e ispirata - Enzo Pietropaoli (contrabbasso),
Fabrizio Sferra (batteria) - il sassofonista esibisce uno
stile debitore del Sonny Rollins di Way Out West e, in
misura ridotta, del sinuoso eloquio di Wayne Shorter. Al
travolgente sprint di Leapin In seguono le
assorte riflessioni di Flocks e No Wave, il
disinvolto swing di In The Mob e la superlativa
interpretazione di Ive Grown Accustomed To Her
Face (a chi volesse riascoltare anche le parole dello
standard tratto da My
Fair Lady, raccomandiamo la stupenda versione
cantata in salotto da Dean Martin,
disponibile su YouTube).
La spettacolare galoppata di Be-Bop conferma un
saldo legame con i classici. - B.A.
STEFANO
DANNA - CAROUSEL (1998)
STEFANO
DANNA - RUNA (2003)
DONATELLO
DATTOMA - LOGOS (2010)
Dopo gli exploit
internazionali di Roberto Ottaviano,
ormai riconosciuto erede di Steve Lacy,
e Gianluca
Petrella, accolto nella prestigiosa scuderia Blue Note, dal
florido vivaio pugliese arriva il pianista Donatello
DAttoma che, con lottimo esordio per la Pus(H)in Records,
ripropone lobsoleta ma nobile figura del jazz-man concreto, elegante,
antiretorico, ispirato. Logos vede allopera
un classico quartetto per pianoforte (acustico o
elettrico) e sax (alto), che piacerà ai cultori di
questa intramontabile formula strumentale, impiegata in
tanti capolavori a cavallo di stili ed epoche [Time Out (Dave
Brubeck), Intensity (Art Pepper),
Swing Swang Swingin, Let Freedom Ring, Tippin
The Scales, Right Now! (Jackie
McLean), The Music From
The Connection (Freddie
Redd with Jackie
McLean), European Episode, Impressive Rome
(Lee
Konitz / Martial
Solal), Motility (Steve Kuhn),
Musique Du Bois, Birds
Of A Feather (Phil
Woods), McPhersons Mood, Beautiful!, Come
Play With Me, But Beautiful (Charles McPherson)
etc.]. Assistito da una sezione ritmica diligente e
motivata [Camillo Pace (contrabbasso), Lello Patruno
(batteria)], DAttoma compone temi di suggestiva
finezza (Logos, The Origins, Room 2/B),
esibisce unammirevole disinvoltura al Fender
Rhodes (Four On Three, Il Canto Delle
Sirene, Dance Macabre), condivide la prima
linea col bravo sassofonista Gaetano Partipilo,
epigono di Paul
Desmond e artefice di uno straordinario assolo su A
Pleasant Surprise. Dagli arrangiamenti traspare una
spontaneità espressiva che spesso manca ad altri
contemporanei del terzo millennio. - B.A.
LOWELL DAVIDSON - LOWELL
DAVIDSON TRIO (1965)
ANTHONY DAVIS - OF
BLUES AND DREAMS (1978)
EDDIE
"LOCKJAW" DAVIS - TRANE
WHISTLE (1960)
EDDIE
"LOCKJAW" DAVIS - AFRO-JAWS
(1961)
EDDIE
"LOCKJAW" DAVIS / JOHNNY GRIFFIN - TOUGH
TENORS AGAIN N
AGAIN (1970)
EDDIE "LOCKJAW" DAVIS - STRAIGHT
AHEAD (1976)
Il catalogo della Pablo
è ricco di tesori incisi da veterani cui Norman
Granz aveva offerto ospitalità (Ella Fitzgerald,
Count Basie, Duke Ellington etc.). Giustamente ricercato
e conteso dai collezionisti, Straight Ahead è tra
gli album più belli pubblicati dalletichetta
elvetica. Erede di Coleman Hawkins e Ben Webster, a sua
volta Eddie Lockjaw Davis è stato indicato
da Bennie Wallace
come principale modello di riferimento. A noi, tanto
basta. In possesso di uno stile rauco, nervoso, composto
di rapidi fraseggi in staccato, egli sa
essere sensuale come pochi altri sulle ballad, che
interpreta avvolgendo le note nel caratteristico
soffio. La sua versione di The Good Life
compete col memorabile arrangiamento scritto da Duke
Pearson per Lou Donaldson (Lush Life). La sfilza
dei primi sei brani è irresistibile per foga espressiva
ed energia sonora - Lover, Wave, On A
Clear Day (You Can See Forever), The Chef, Gigi,
Last Train From Overbrook - e solo una classe
superlativa consente alla sezione ritmica [Tommy Flanagan
(pianoforte), Keter Betts (contrabbasso), Bobby Durham
(batteria)] di imbrigliare lirruenza del leader,
creando un efficace contrasto tra il tocco elegante di
Flanagan e lo slang sguaiato di Davis. Ill Never
Be The Same amplifica il battito del cuore che pulsa
sotto la spessa scorza di Lockjaw, prima che
il quartetto ritorni per il gran finale di Watch What
Happens. - B.A.
MILES DAVIS -
BIRTH OF THE COOL
(1949/1950)
Una delle voci più alte e influenti
di tutto il jazz. Già nelle primissime fasi della
carriera, la sonorità fu il principale interesse di
Miles, ma le sue uscite in assolo erano sciupate da
incertezze tecniche, da limiti di estensione e
dallintonazione difettosa. Aveva pero un impatto
emotivo senza pari. Non copiava nessuno, si concentrava
sul registro medio, dove era più forte, e lavorava senza
posa sul disegno delle frasi. Lasciato Parker, Davis
studiò con larrangiatore Gil Evans, e da questo
incontro nacque lidea di organizzare il famoso, e
tanto imitato nonetto Davis. Gli arrangiamenti di Evans,
John Carisi, John Lewis e Gerry Mulligan conciliavano la
vitalità del bop dei complessini con la maggior
estensione e ricchezza di trame e colori di
unorchestra. Questo complesso da camera produceva
una sonorità nuova, aerea: lo strumentario, oltre a
Davis, al sax alto di Lee Konitz e al baritono di Gerry
Mulligan, allineava un corno, un trombone e una tuba. Il
nonetto Davis, forse troppo audace per lepoca, si
sciolse dopo due settimane, lasciandosi dietro una
manciata di incisioni che avrebbero costituito gli
ideali, e inavvicinabili, modelli di tanto jazz
californiano del decennio seguente. - E.I.J.
MILES DAVIS - MILES
DAVIS AND HORNS (1951)
MILES DAVIS -
MILES DAVIS VOL. 1 & 2
(1952/1954)
I due album che
raccolgono le incisioni del trombettista per la Blue Note portano i
segni di unintensa partecipazione emotiva.
Leconomica semplicità del suo stile si va
caratterizzando come una scelta estetica, non più come
una copertura dei suoi limiti tecnici. Ogni nota
superflua è eliminata. In The Leap e Take Off
fa già capolino una nota pedale, che
preannuncia le posteriori esplorazioni modali di Kind
Of Blue. Alcuni critici giungono a
sostenere che questi due album sono i suoi migliori. - E.I.J.
MILES DAVIS -
WALKIN
(1954)
MILES DAVIS -
BAGS GROOVE
(1954)
 Uno
degli storici album Prestige di Davis. Si può gustare
appieno leccellente lavoro della super-ritmica
Silver/Heath/Clarke, con il charleston di Kenny in
straordinaria evidenza e, naturalmente, la robusta
front-line con Miles, J.J. Johnson, Lucky Thompson e il
dimenticato Dave Schildkraut. Una session hard
swingin che, in tempi di divisione tra West e
East Coast, metteva tutti daccordo. - Pino
Candini
Nel 1954 Miles partecipò alla celebre
seduta natalizia con Thelonious Monk e il vibrafonista
Milt Jackson. Il trombettista lancia lunghe note
legato, scavalcando le stanghette di battuta
con un mordente e unincisività che hanno insegnato
a molti come si fa a produrre tensione senza urlare. - E.I.J.
Bags Groove contiene anche
le incisioni effettuate il 29 giugno dello stesso anno
con Sonny Rollins e Horace Silver: da non perdere Oleo
e Airegin. - B.A.
MILES DAVIS -
RELAXIN / WORKIN
/ COOKIN / STEAMIN (1956)

 Nel 1955 fu costituito il quintetto che
avrebbe fissato i canoni stilistici di gran parte dei
complessini degli anni '50. La scelta del batterista fu
decisiva, in vista della conciliazione tra semplicità e
multi-direzionalità che ha sempre caratterizzato i
gruppi di Miles. Philly Joe Jones aveva, in effetti, il
fuoco e linventiva per lanciare i solisti e con il
contrabbassista Paul Chambers, specialista in linee di
accompagnamento fluenti e dinamiche, costituì un duo
ritmico di insuperata leggerezza, sottigliezza e
precisione. Il perno del gruppo era il pianista Red
Garland, solido e infallibile nel disporre i suoi accordi
a blocchi. A dividere la sezione solisti con Davis era
John Coltrane, futuro pioniere del jazz degli anni '60
ma, in questa fase, ancora alle prese con alcuni problemi
di linguaggio. Il suo timbro agghiacciante faceva delle
sue entrate veri e propri eventi drammatici, seguiti poi
da rapide collane di arpeggi, con continue sostituzioni
degli accordi. Coltrane e Davis apparivano diametralmente
opposti - il leader scarniva le frasi fino allosso
- ma il contrasto funzionava. Sotto la direzione di
Miles, il quintetto si allontanò rapidamente dalla
prevedibilità armonica, impiegando un numero minore di
accordi di base per dare più importanza alla melodia.
Ogni brano è un esempio dellunità stilistica e
della superiorità assoluta del quintetto. - E.I.J.
In questa formazione Davis e
Coltrane si inseguono, sorretti da una base ritmica che
farà scuola: Red Garland (piano), che assicura la giusta
dose di complessità armonica e personalità di tocco; il
contrabbassista Paul Chambers, la cui regolarità nella
spinta ritmica si fonde perfettamente con la batteria di
Philly Joe Jones, maestro nelluso del rullante. I
quattro album del 1956 per la Prestige danno appieno la
misura dellaffiatamento del gruppo. - Furio
Fossati
MILES DAVIS - ROUND
ABOUT MIDNIGHT (1956)
MILES DAVIS - MILES
AHEAD (1957) 
MILES DAVIS - ASCENSEUR
POUR LÉCHAFAUD (1957)
MILES DAVIS - MILESTONES
(1958) 
MILES DAVIS - PORGY
AND BESS (1959) 
MILES DAVIS -
KIND OF BLUE
(1959) 
 Con lingresso
dellaltoista Cannonball Adderley e con il pianista
Bill Evans al posto di Red Garland, Miles realizzò uno
degli album più influenti della sua carriera, Kind Of
Blue. In esso la base dellimprovvisazione è
fornita, anziché da accordi, da modi, cioè
scale. Coltrane si dibatte per sfuggire alle strettoie
delle strutture armoniche convenzionali. Evans sfronda
gli orpelli e libera il nucleo essenziale della melodia,
inquadrata già nel sistema teorico modale. La tromba di
Miles è epigrammatica, e di lirica purezza. Il risultato
è meraviglioso: privo di sbavature e immerso in una
dimensione temporale sospesa. - E.I.J.
Gli ingredienti di una ricetta magica:
la maniacale concisione di Miles, sempre più essenziale
e stringato, eppure sempre più efficace; lirruenza
incontenibile di Coltrane, che proprio allora stava
vivendo un esaltante momento di transizione da semplice
virtuoso del tenore ad autentico intellettuale
dellimprovvisazione; la cordiale esuberanza di
Cannonball Adderley, il cui gioioso sax alto contribuiva
a sdrammatizzare la pensosa atmosfera modale
delle sedute; il sovrano distacco con cui Bill Evans
accarezzava i tasti del piano, dispensando brevi assoli
illuminati da lampi di genio. Nessuno poteva immaginare
che un disco basato sugli elementari schemi del blues
(sebbene riveduti e corretti) avrebbe prodotto una musica
così sofisticata, affascinante e senza tempo. - B.A.
MILES DAVIS - SKETCHES
OF SPAIN (1959/1960)
MILES DAVIS - SOMEDAY
MY PRINCE WILL COME (1961)
MILES DAVIS - SEVEN
STEPS TO HEAVEN (1963)
MILES DAVIS - THE
COMPLETE STUDIO RECORDINGS
OF THE MILES DAVIS QUINTET 19651968
(1965/1968) 
MILES DAVIS -
E.S.P. (1965) 
Dopo essere stato
pioniere di almeno due svolte del linguaggio del jazz, e
aver contribuito a lanciare musicisti della statura di
Sonny Rollins, John Coltrane e Bill Evans, Miles voltò
ancora pagina. Scritturò Tony Williams, un batterista
capace di dar vita ad una superficie sonora poliritmica,
continuamente instabile, e gli affiancò Herbie Hancock
al piano e Ron Carter al contrabbasso. Questa sezione
ritmica possedeva una sonorità complessiva ancor più
leggera, sinuosa e spumeggiante della precedente. Dopo
alcune brevi apparizioni con i sassofonisti Hank Mobley (Someday
My Prince Will Come) e George Coleman (Seven Steps
To Heaven), Miles assunse il tenorista Wayne Shorter,
proveniente dai Jazz Messengers di Art Blakey. Shorter si
muoveva sostanzialmente in un ambito linguistico
coltraniano, energico e legato, ma con un
attacco scattante e un fraseggio serpentino, che si
attagliavano a perfezione alla nuova concezione
davisiana. Il complessino conduce il disegno dialettico
di tensione e distensione ad estremi ancora più spinti,
evitando di ribadire marcatamente le fondamenta
armoniche, e servendosi di una nuova libertà ritmica,
che altri avevano già prefigurato - E.I.J.
Confronted with the polar extremes of
traditional repertoire and the sometimes anarchic
approach of the free-jazz movement, the trumpeters
quintet found a third path, one that retained the
melodicism and structure of the past while selectively
embracing elements of the New Thing. Working with a
significantly younger crew of musicians wrenched Davis
out of a somewhat stagnant situation. Hes
surprisingly malleable, but his sound, whether a piercing
blast or a muted cry, remains instantly recognizable,
distinctive. - Jon Andrews
MILES DAVIS -
MILES SMILES
(1966) 
As
these sessions progress, Davis seems increasingly open to
the directions his colleagues are pointing, ultimately
adding innovative elements of his own. Here, he sounds
invigorated by the challenges posed by compositions like Orbits
and Dolores. Wayne Shorters fecundity is
even more remarkable when you realize that he also
recorded five albums replete with original compositions
for Blue Note during this period, but repeated only Footprints.
- Jon Andrews
Brani come Nefertiti (Nefertiti),
Orbits e Dolores (Miles Smiles)
aggirano la prevedibilità del classico schema
esposizione-assoli-riesposizione, a favore di continue
ripetizioni del tema, a volte unisone, a volte sfalsate,
che intercalano gli assoli, tornando di continuo come
idee fisse. - E.I.J.
MILES DAVIS -
NEFERTITI (1967) 
Some
records define their time. The tunes create associations
and lodge permanently in the listener's subconscious.
Occasionally, a group creates a convergence of talent
that thrills equally both the audiences and the critical
community. For a time, everything clicks. Despite the
passage of time, changes in tastes and departures by
personnel, the ideal remains, frozen in time and
preserved on record. For most jazz listeners, the quintet
of Miles Davis, Wayne Shorter, Herbie Hancock, Ron Carter
and Tony Williams touched perfection. These are among the
most beautiful, exotic and memorable tunes Davis ever
recorded. Shorters arrival served as the catalyst
for this group: he contributed amazing compositions
during this period, including Pinocchio and Nefertiti.
- Jon Andrews
Wayne Shorter scrisse per Davis temi
dalla linea melodica fresca, ritmicamente sospesi nel
vuoto, con ampie pause in cui ha modo di emergere la
nevrotica, tonante batteria di Tony Williams. - E.I.J.
MILES DAVIS - SORCERER
(1967) 
MILES DAVIS - MILES
IN THE SKY (1968) 
MILES DAVIS - FILLES
DE KILIMANJARO (1968) 
MILES DAVIS -
IN A SILENT WAY
(1969) 
Davis fu un aperto
avversario del free jazz (Coleman, Taylor, Dolphy etc.),
e perciò cominciò presto a guardare in altre direzioni
per i suoi ulteriori sviluppi. La svolta di Miles appare
influenzata da alcuni elementi formali del rock: dominano
i riff, la pulsazione di Tony Williams si fa più rigida
e quadrata, mentre il trombettista, più aforistico che
mai, danza su una barocca trama di colori elettrici.
Impiegando un organico allargato, con Herbie Hancock,
Chick Corea e Joe Zawinul alle tastiere, Dave Holland al
basso, John McLaughlin alla chitarra, Wayne Shorter al
soprano e Tony Williams alla batteria, Davis incide un
primo, singolare ed enigmatico saggio della sua nuova
maniera, lincorporeo In A Silent Way, un
autentico capolavoro, che esercita sullascoltatore
un singolare fascino ipnotico, dovuto non tanto alla
ripetitività dei riff, quanto allalchemico colore
prodotto dalla trama luminescente di tre pianoforti
elettrici. - E.I.J.
MILES DAVIS - BITCHES
BREW (1970)
MILES DAVIS - A
TRIBUTE TO JACK JOHNSON (1971)
MILES DAVIS - ON
THE CORNER (1972)
MILES DAVIS - THE
MAN WITH THE HORN (1981)
MILES DAVIS - STAR
PEOPLE (1983)
MILES DAVIS - DECOY
(1984)
MILES DAVIS - YOURE
UNDER ARREST (1985)
STEVE DAVIS - THE
JAUNT (1995)
STEVE DAVIS - DIG
DEEP (1996)
STEVE DAVIS - CROSSFIRE
(1997)
STEVE DAVIS - VIBE
UP! (1998)
STEVE DAVIS - UPDATE
(2005)
PHILIP DeGRUY - INNUENDO
OUT THE OTHER (1995)
JACK DeJOHNETTE - THE
DeJOHNETTE COMPLEX (1969)
JACK DeJOHNETTE - HAVE
YOU HEARD? (1970)
JACK DeJOHNETTE - COSMIC
CHICKEN (1975)
JACK DeJOHNETTE - UNTITLED
(1976)
JACK DeJOHNETTE - NEW
RAGS (1977)
JACK DeJOHNETTE - SPECIAL
EDITION (1979)
JACK DeJOHNETTE - TIN
CAN ALLEY (1980)
JACK DeJOHNETTE - ALBUM
ALBUM (1984)
DeJOHNETTE /
SCOFIELD / GOLDINGS (TRIO BEYOND) - SAUDADES
(2004)
PAUL DESMOND - THE
COMPLETE RECORDINGS OF THE PAUL DESMOND QUARTET WITH JIM
HALL (1961/1965)

PAUL DESMOND - THE
COMPLETE RCA VICTOR RECORDINGS FEATURING JIM HALL (1961/1965)

 In tournée da mezzo secolo
sugli impianti stereo di tutto il mondo (Time Out), fonte di
ispirazione per interpreti come Art Garfunkel (Watermark) e Al
Jarreau (Breakin Away),
financo presente nei testi di Donald Fagen (New
Frontier) e Michael Franks (Rainy Night In Tokyo),
il quartetto di Dave Brubeck con Paul Desmond è venerato
dalla componente più colta della comunità jazz. Tanta era limportanza che
il leader attribuiva al ruolo del sassofonista, che
questultimo dovette firmare un contratto (storia o
leggenda?) in cui si impegnava a non incidere alcunché
con altri pianisti. Il veto, tuttavia, non proibiva i
rapporti con i chitarristi. Al momento di concedersi un
diversivo professionale, dunque, Desmond scelse un
partner antitetico a Brubeck, eppure congeniale al
proprio universo espressivo, fatto di understatement e
discrezione: Jim Hall. Tra i due si stabilì presto
unintesa umana e artistica straordinaria, basata
sulla reciproca condivisione di saldi principî estetici:
ironia, sobrietà, eleganza, passione. Col
sostegno ritmico del batterista Connie Kay e il turnover
di alcuni maestri del contrabbasso (Percy Heath, Gene
Wright, Gene Cherico, George Duvivier), già membri di
blasonate formazioni, Desmond e Hall registreranno una
manciata di dischi memorabili. In
proposito, un consiglio preliminare e disinteressato:
piuttosto che acquistare le singole ristampe CD, pure
eccellenti, sarebbe opportuno procurarsi una delle due
edizioni integrali disponibili che, con alcune
differenze, raccolgono tutto il materiale in esame. Per
il rinomato rigore filologico, meglio il cofanetto Mosaic che
però, data la tiratura limitata a sole 7500 copie, è
ormai fuori catalogo; il box della RCA rappresenta un
buon ripiego benché, rispetto allaltro, sia privo
dellindispensabile album Warner (First Place
Again) e di un inedito pubblicato dalla rivista Playboy
(Susie): la lacuna è (parzialmente) colmata
dallaggiunta di una session con gli archi (Desmond
Blue), graziosa ma disorganica. Solo il quadro
dinsieme consente di comprendere a fondo la nozione
di musica secondo questi gentlemen
sofisticati, gaudenti e cosmopoliti. Il più incantevole contralto mai udito
sulla Terra, insieme a quello di Johnny Hodges, maneggia
con cura affettuosa le melodie di standard prediletti [Easy
Living; Polka Dots And Moonbeams; Ive
Grown Accustomed To Her Face; That Old Feeling;
Heres That Rainy Day; When Joanna Loved Me;
Glad To Be Unhappy; Poor Butterfly, Angel
Eyes; The One I Love (Belongs To Somebody Else);
Alone Together; Nancy (With The Laughing Face);
East Of The Sun (And West Of The Moon); For All
We Know; I Get A Kick Out Of You; Time
After Time; You Go To My Head], classici
brasiliani (Samba De Orfeu; Theme From
Black Orpheus), evergreen arrangiati in
chiave latina (A Ship Without A Sail; The
Night Has A Thousand Eyes) e, viceversa, temi
originali composti in stile sudamericano (Bossa
Antigua; Embarcadero; Samba Cantina; The
Girl From East 9th Street; El Prince; Curacao
Doloroso; O Gato). Scandita
da un atipico tempo in 5/4, Take Ten rinnova i
fasti della celebre Take Five (Time Out). A Taste
Of Honey - il popolare valzer tratto da pièce e
pellicola omonime - dondola sulle spazzole magiche di
Kay, mentre Hall sigla uno splendido intervento eseguito
con il pick-up della semiacustica regolato a
0. Superbe anche le rivisitazioni di un paio
di idee prese a prestito da illustri colleghi: Greensleeves,
traditional dissepolto da John Coltrane, che esalta
lindole romantica di Desmond; Two Degrees East,
Three Degrees West, intrigante blues firmato da John
Lewis a cui Heath e Kay donano tutta la souplesse del
Modern Jazz Quartet. Ai fugaci,
raffinatissimi fraseggi di Hall, che non a caso
ispireranno Pat
Metheny e John
Scofield, Desmond replica con assoli di chiara
matrice cool, costruiti secondo un mirabile
criterio architettonico, sorretti da uninventiva
prodigiosa e contraddistinti dal caratteristico,
provocante effetto soffiato: Paul li definiva
spiritosamente Dry Martini, quasi a
rivendicare il proprio signorile distacco da qualsiasi
implicazione politica o sociale, la qual cosa lo rese
inviso alla critica più retriva. Quando Anthony Braxton
- virtuoso delle ance e autorevole intellettuale
afro-americano - spiazzò tutti indicando in Desmond il
proprio principale modello, lastioso birignao degli
addetti ai lavori fu finalmente ridotto al
silenzio. Nonostante loro, dopo quarantanni il sax
di Paul Desmond risuona ancora lirico e inviolato. - B.A.
PAUL DESMOND - PURE
DESMOND (1974)
DI CASTRI / LOVANO
/ D'ANDREA / MOTIAN - UNKNOWN VOYAGE
(1989)
FURIO DI CASTRI - WHAT
COLOUR FOR A TALE (1991)
FURIO DI CASTRI /
PAOLO FRESU - EVENING SONG (1992)
FURIO DI CASTRI /
PAOLO FRESU - URLO (1993)
FURIO DI CASTRI - WOODEN
YOU (1999)
FURIO DI CASTRI - UNKNOWN
VOYAGE (2000)
ALESSANDRO DI
LIBERTO - TONALITÀ
NATURALI (2002)
MIKE DiRUBBO - KEEP
STEPPIN (2001)
MIKE DiRUBBO - HUMAN
SPIRIT (2002)
BRUCE DITMAS - WHAT
IF (1995)
BILL DIXON - INTENTS
AND PURPOSES (1967)
NIELS LAN DOKY - DREAMS
(1983)
NIELS LAN DOKY - DAYBREAK
(1988)
ERIC DOLPHY -
OUTWARD BOUND
(1960)
Il
forte impatto con la sua musica si manifesta, sia pure in
maniera non ancora traumatica, fin dal primo album
realizzato a proprio nome per la Prestige: il clima
post-boppistico, invigorito dalla presenza di uno
splendente Freddie Hubbard, trova i suoi esiti più
convincenti nelliniziale G.W., dedicato a
Gerald Wilson, in On Green Dolphin Street,
modellato sulla versione davisiana del '58 e in Miss
Toni. Imperdibile per ogni cultore, Outward Bound
documenta limpressionante attivismo del grande
strumentista californiano: unurgenza espressiva
senza limiti, una folgorante visione profetica dei futuri
sviluppi del jazz, e un rapporto
diretto, mai reciso, con la tradizione di questa musica.
- Pino Candini
ERIC DOLPHY -
OUT THERE (1960) 
 Un
capolavoro, propiziato da un organico completamente
anticonvenzionale. Il sontuoso violoncello di Ron Carter,
spesso suonato con larco, dona una preziosa aura
neo-cameristica a tutti i brani: il mingusiano Eclipse
è uno dei picchi dellalbum, con la suggestiva
combinazione timbrica di
violoncello-contrabbasso-clarinetto, ma anche Serene
e The Baron (altro omaggio a Mingus) sono da
antologia, soprattutto per gli assoli di clarinetto
basso. Né va dimenticato il fondamentale apporto del
raffinatissimo drumming di Roy Haynes. - Pino Candini
Utilizing Ron Carters bowed cello
as a second voice, Dolphy achieves a chamber-like
avant-jazz. It was quite daring for its time and again
spotlights Erics bass clarinet and flute as well
as, on one number - Eclipse, a Charles Mingus
composition - conventional clarinet. - Prestige
ERIC DOLPHY -
FAR CRY
(1960)
 Far Cry venne inciso il 21
Dicembre 1960, un mercoledì magico per Dolphy: qualche
ora prima aveva partecipato allo storico Free Jazz
di Ornette Coleman, per la Atlantic. Lalbum per la
Prestige celebrava il suo primo incontro discografico con
Booker Little. Con il talentoso trombettista erano anche
Jaki Byard, Ron Carter e Roy Haynes. Byard contribuì con
due ottimi pezzi, Mrs. Parker Of K.C. e Ode To
Charlie Parker. Dolphy ripropose due brani da Out There:
Serene e Far Cry (nuovo titolo per Out
There). In più vi erano una ballad di Mal Waldron (Left
Alone) e due standard (Tenderly; Its
Magic). Un repertorio molto vario, che consentì a
Dolphy di sfoderare tutta la sua ampia gamma espressiva,
mentre Little rivelava genialità e perfetto controllo
strumentale. - Pino Candini
Eric Dolphy pushed his own playing into
unfamiliar territory, turning the bass clarinet into the
accepted tool it is today, writing a book of challenging
and memorable tunes, quickly carving out a unique place
in jazz history alongside his most insightful
contemporaries and collaborators. For anyone who values
creativity in jazz, Far Cry is indispensable. - John
Corbett
ERIC DOLPHY - STOCKHOLM
SESSIONS (1961)
ERIC DOLPHY - IRON
MAN (1963) 
ERIC DOLPHY - CONVERSATIONS
(1963) 
ERIC DOLPHY -
OUT TO LUNCH!
(1964) 
Agli inizi si ispirò
a Charlie Parker, al pari di molti coetanei. Salì alla
ribalta con il quintetto di Chico Hamilton, suonando con
una passione che minacciava di travolgere il delicato
equilibrio formale del gruppo. Era uno strumentista molto
richiesto: suonò con Charles Mingus, Max Roach, Ornette
Coleman, e soprattutto con John Coltrane. Firmò le
orchestrazioni per Africa Brass, e si unì al
gruppo di Coltrane come membro aggiunto, seguendolo nel
giro di concerti in Europa, dove rimase. La morte
improvvisa troncò il suo sviluppo, da semplice
strumentista a musicista pieno e maturo. Il suo ultimo
album in studio, Out To Lunch!, resta come un
tragico memento del suo potenziale come
direttore musicale. Dolphy è una figura di transizione.
Non fu né un musicista free ortodosso, né rimase
interamente confinato nel linguaggio armonico del bop. Un
approccio estremamente vocalizzante lo caratterizza sia
al sax alto che al clarinetto basso (fu lui a tirare
fuori dal limbo dellinutilità questo strumento).
Il disegno delle sue frasi è imprevedibile, quasi
capriccioso: linee melodiche isteriche e brusche si
aprono allimprovviso in fioriture decorative.
Sembrava possedere una sensibilità uditiva
particolarmente acuta. In brani come Straight Up And
Down e Something Sweet, Something Tender il
suo solismo si fa stridulo e tagliente. Su Hat And
Beard il clarone sbuffa come un beffardo ippopotamo.
Il suo flauto, per converso, è tutto delicatezza e
grazia, specie nel trasparente Gazzelloni. - E.I.J.
ERIC DOLPHY - LAST
DATE (1964) 
LOU DONALDSON - LUSH
LIFE (1967)
KENNY DORHAM - AFRO-CUBAN
(1955)
KENNY DORHAM - QUIET
KENNY (1959)
KENNY DORHAM - WHISTLE
STOP (1961) 
KENNY DORHAM - MATADOR
/ INTA SOMETHIN (1961/1962)
KENNY DORHAM - UNA
MAS (1963)
KENNY DORHAM - TROMPETA
TOCCATA (1964)
DAVE DOUGLAS - PARALLEL
WORLDS (1993)
DAVE DOUGLAS - THE
TINY BELL TRIO (1993)
DAVE DOUGLAS - IN
OUR LIFETIME (1994)
DAVE DOUGLAS - FIVE (1996)
Un quintetto jazz, ma con due archi in luogo di
sax e piano: equilibri, dinamiche e stereotipi saltano in
favore di unimprovvisazione da camera che, al netto
degli encomi qualificati, a malapena buoni
per pulirsi il culo, produce una musica eccellente. In
sostanza, tre liuti [Drew Gress (contrabbasso), Erik
Friedlander (violoncello), Mark Feldman (violino)], un
ottone [Dave
Douglas (tromba)] e un percussionista [Michael Sarin
(batteria)] espongono i temi con rigorosa accuratezza,
per poi svincolarsi dalle maglie della partitura e
conversare liberamente gli uni con gli altri. Le illustri
pagine firmate da Thelonius Monk e Rahsaan
Roland Kirk rivivono grazie alla peculiarità del
collettivo: se linterpretazione di Who Knows
brilla per gli effetti speciali di Feldman,
sullarrangiamento di The
Inflated Tear risalta la splendida melodia
eseguita da Friedlander. Come solista, Douglas dispone di
unampia gamma timbrica con cui, secondo le
esigenze, è in grado di cantare, inveire, gemere,
rantolare, sempre in attrito con le voci strumentali
colte dei partner, a beneficio di contrasti
sonori altamente espressivi. Quasi tutti dedicati ad
autori e protagonisti del XX Secolo, i brani scritti dal
leader sono esemplari della sua poetica e delle sue
influenze: linizio al fulmicotone di Invasive
Procedure fa da prologo al motivetto bizzoso e quasi
infantile di Mirrors, ispirato a Steve Lacy; su Going,
Going si avverte lafflato lirico di Wayne
Shorter; lintreccio di ritmi e armonie su Actualities
è un omaggio alla complessa personalità del compianto
Woody Shaw. Pubblicato dalletichetta italiana Soul Note. Per
quello che valgono, cinque stelle su Down Beat. - B.A.
DAVE DOUGLAS - MAGIC
TRIANGLE (1997)
DAVE DOUGLAS - CHARMS
OF THE NIGHT SKY (1997)
DAVE DOUGLAS - MOVING
PORTRAITS (1997)
DAVE DOUGLAS - CONVERGENCE
(1998)
DAVE DOUGLAS - LEAP
OF FAITH (1999)
KENNY DREW - UNDERCURRENT
(1960)
KERMIT
DRISCOLL - REVEILLE (2009)
Se un musicista
esperto, competente e umile come Kermit Driscoll
decide di registrare un primo album a proprio nome, non
può che essere per quel che si usa definire una sincera
urgenza espressiva, e lidea di accostare una
giovane pianista post-free (Kris Davis) ai
fuoriclasse Bill
Frisell e Vinnie
Colaiuta ne illustra quasi programmaticamente le
finalità: Driscoll è un compositore, firma otto brani
su dieci e ha maturato convinzioni nientaffatto
scontate circa il tipo di gruppo più adatto a dar loro
voce. Peraltro, i rimandi rock
della chitarra (persino ai Beatles,
nella prima traccia) non debbono trarre in inganno: la
scrittura del titolare è raffinata, sottile, e anche le
forme apparentemente più squadrate sono pronte a
deformarsi, aprendosi agli interventi dei solisti. Certo,
per chi - come noi - è fin troppo affezionato al mondo
sonoro di Frisell (ex-leader di Driscoll), diventa meno
agevole concentrarsi sulla pensosa espressività della
Davis (For Hearts, Martin Sklar), se non
dopo aver provato uninusitata ammirazione per le
acrobazie di Colaiuta e - quel che più conta - per il
coerente flusso di idee musicali che il quartetto
sincarica di condurre nello spettro
delludibile. - Michele
Agostini
BILLY DRUMMOND - DUBAI
(1995)
RAY DRUMMOND - CONTINUUM
(1994)
GERD DUDEK - SMATTER
(1998)
 Zio Fester si è dato al jazz?
Perdonate laffettuosa insolenza nei confronti di
Dudek - maturo carneade raccomandato con toni mistici
addirittura da Evan Parker - ma se davvero lesordio
discografico di un artista rappresenta il suo biglietto
da visita, la copertina in oggetto rischia di intimidire
anche gli ascoltatori più bendisposti. In ogni caso, chi
ama i quartetti con sax e chitarra (Desmond/Hall,
Lovano/Scofield, Bergonzi/Goodrick etc.) non deve perdere
questo bellissimo CD che consente, tra laltro, di
riascoltare The Peacocks, un meraviglioso tema di
Jimmy Rowles che Gerd interpreta al soprano. - B.A.
Dopo quarantanni di carriera e
innumerevoli collaborazioni (Von Schlippenbach,
Brötzmann, Oxley etc.) ci voleva un ammiratore
speciale come Evan Parker per portare Gerd
Dudek in uno studio di registrazione e pubblicare questo
primo vero disco a suo nome (alcuni CD per la
Konnex sono poco più che bootleg). Dudek rappresenta
uneredità coltraniana speculare a quella di
Parker: morbida e melodica, ma non per questo meno
intensa. Smatter contiene tre splendide
composizioni di Kenny Wheeler e tre standard che hanno
fatto la storia del sax. Accanto a Gerd troviamo un trio
inglese stilisticamente collocato tra hard-bop e free,
capace di suonare aperto senza mai perdere il
contatto con uno swing agile ed elastico. La chitarra di
John Parricelli ha un suono incisivo ma non freddamente
metallico e il suo fraseggio pensoso è elegantemente
appoggiato, con un leggero ritardo, sulla pulsazione
poliritmica della batteria (Tony Levin); Chris Laurence
(contrabbasso) sostiene e suggerisce con fantasia
inesauribile. - Francesco
Martinelli
GERD DUDEK - DAY
AND NIGHT (2012)

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