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 A.O.R.
DONALD FAGEN - THE
NIGHTFLY (1982) 
The songs on this
album represent certain fantasies that might have been
entertained by a young man growing up in the remote
suburbs of a northeastern city during the late fifties
and early sixties, i.e., one of my general height, weight
and build. - Donald Fagen
Dieci anni di Steely Dan. Un genio
del pop che entra di prepotenza nel jazz,
inventando un linguaggio rivoluzionario. La musica di Donald Fagen è
una costante minaccia per chi ha labitudine di
contentarsi di ciò che passa il convento, trovando
conforme alle proprie esigenze il gusto omologato dei
supermercati. Limmagine avrebbe suggestionato i
conduttori notturni di mezzo mondo: un DJ appostato nello
studio insonorizzato di una delle migliaia di emittenti
americane, un solo piatto (in barba ai
bianchi radiofonici), una copertina che
diceva tutto (Sonny Rollins And The Contemporary
Leaders) e unora impossibile (le 4.10 del
mattino). Il disc-jockey della copertina era ciò che
Donald ascoltava da ragazzo, ciò per cui spasimava,
giorno e notte, perdendosi regolarmente fra i meandri del
jazz libero degli anni Sessanta, che qualche matto senza
speranza osava trasmettere durante le ore di minore
ascolto, quando la maggior parte del New Jersey dormiva.
Sono passati 20 anni. Il rock è
diventato il braccio armato del sistema e nessuno dei
suoi adepti fatica a cenare accanto a Pavarotti.  Non così la voce di
Lester The Nightfly, che ancora oggi
rappresenta lalternativa e lavanguardia,
lincursione permanente fra gli stili e il rispetto
per la più raffinata ricerca melodico-ritmica. È il
sound che ha rovinato la salute a centinaia di
session-men, stremati dal perfezionismo di Becker &
Fagen, ma al tempo stesso travolti dalla loro maestria.
Ogni volta che ascolti i 38 minuti di questa meraviglia
della scienza e del cuore ti chiedi come sia possibile
che New Frontier, Maxine, Green Flower
Street, The Nightfly, Ruby Baby, The
Goodbye Look, Walk Between Raindrops, I.G.Y.
abbiano in serbo per te altri segreti, altri sussurri,
altre emozioni a distanza di tanto tempo. Pur non essendo
musica da concerto, quella di The Nightfly è più
viva di qualsiasi concerto. E la natura di
questo gaucho resterà insondabile e
profetica ancora per chissà quanto. - Enrico Sisti
DONALD FAGEN - KAMAKIRIAD
(1993)
DONALD FAGEN - MORPH THE CAT (2006)

DONALD FAGEN - SUNKEN
CONDOS (2012)
 Stiamo
invecchiando. Oppure, forse, da ragazzi ci hanno abituato
troppo bene. Come gli indigeni dediti
allirrazionale culto del
cargo, continuiamo a sperare che ogni nuova
opera di Donald
Fagen (con o senza Walter Becker) ci
riservi unaltra rapsodia fitta di assoli e fughe
sul modello di Aja, o
una sublime ode alla ricerca di se stessi come The
Caves Of Altamira, o magari un impenetrabile enigma
degno del valzer di Your Gold Teeth II, o anche
solo una ballad da crepacuore che evochi Babylon
Sisters o Maxine. Quelle brame irragionevoli
restano immancabilmente deluse, sebbene ci si ritrovi
comunque davanti a capolavori inconsueti per il frivolo
mondo del rock. Da parecchi anni,
infatti, nessun artista - giovane o veterano - riesce
anche solo minimamente a tallonare Donald Fagen,
ormai proteso verso record irraggiungibili per chiunque
altro. Oggi egli è un colto, sofisticato signore che,
quando ne ha voglia, scrive e registra meravigliose
canzoni ispirate ai propri interessi: letteratura beat,
cinema noir,
musica jazz.
Il risultato è sempre e di gran lunga superiore a
qualsiasi altra novità trasmessa dalla
radio.
Morph The Cat - Con un disilluso sguardo rivolto
allattualità, Morph The Cat completa
lideale trilogia di cui The
Nightfly e Kamakiriad esprimevano,
rispettivamente, struggente nostalgia per il passato e
ottimistico anelito al futuro. Reclutando gran parte
della superba formazione apprezzata su Two Against Nature ed Everything Must Go,
Fagen ne accresce lefficienza con
linserimento di Freddie
Washington (basso elettrico) e Wayne Krantz
(chitarra), al fine di ottenere un versatile ibrido
stilistico soul-fusion.
H Gang, ascesa e declino di una fantomatica band
fondata dallorfana Denise, e What I Do,
immaginario dialogo dellautore con lo spettro di Ray
Charles, confermano la caratura creativa di un genio:
il fascino delle parole - brillanti e profonde - è pari
soltanto al gusto di (provare a) decifrarle. Inarrivabile
nel tratteggiare seducenti figure femminili che valgono
un secolo di rivendicazioni, stavolta Donald ci titilla i
sensi con laddetta ai controlli in aeroporto di Security
Joan (versione aggiornata al terzo millennio di Lovely
Rita dei Beatles), per
poi commuoverci con le inquietudini interiori della
protagonista di The Night Belongs To Mona (
things dont seem as
dark when youre already dressed in black
).
The Great Pagoda Of Funn redige lamaro
bilancio di un rapporto in crisi, mentre Mary Shut The
Garden Door suggerisce una sconsolante riflessione
sugli strascichi psicologici lasciati dall11 Settembre.
Sunken Condos -
Operata da chi ci viziò con la meticolosa performance
del massimo virtuoso disponibile per ciascun
arrangiamento, la scelta di affidare al
co-produttore/trombettista Michael Leonhart
(Earl Cooke Jr.) la programmazione di tutte le tracce
ritmiche lascia perplessi. Detto questo, Sunken Condos
(titolo derivato da La
Cathédrale Engloutie di Claude
Debussy) è un altro album superlativo, a partire da Im
Not The Same Without You - finto singolo,
in reltà semplice anteprima promozionale ai tempi di
Internet - in cui lo splendido tema condotto dalla
sezione fiati asseconda la metamorfosi kafkiana di un
amante abbandonato (cresce in altezza, resiste a lungo in
apnea, non deve più dormire etc.). In attesa di
assimilare lintero CD, impresa che con gli Steely Dan richiede
almeno un lustro, stiliamo a caldo una prima lista di
predilezioni personali: le ipnotiche armonie di Miss
Marlene, concepite sulla falsariga
dellindimenticabile Pixeleen (Everything Must Go),
lassillante ritornello di Memorabilia, il
fecondo contrasto tra scansione uniforme e rilascio
melodico su The New Breed e Good Stuff, lo
spettacolare fraseggio di Kurt Rosenwinkel
su Planet DRhonda. Al momento, così è se
vi pare. Insomma, i soldi per rivedere in studio Steve Gadd, Phil Woods, Wayne
Shorter, Larry
Carlton, Steve
Khan, Jay
Graydon, Michael
McDonald sono finiti. Rassegniamoci. E impariamo a
contentarci. - B.A.
FAR CRY - THE MORE THINGS
CHANGE ... (1980) 
Un Giorno, Da Qualche Parte - I
(un delirio da overdose di
caffeina)
Qualcuno stappa una
bottiglia di Garofoli Podium '99. Tizio: Proprio non lo accetto.
- Caio: Dicevi?
- Tizio: No, stavo
pensando a questa ingiustizia per cui un album, più è
bello, più diventa introvabile. Ma come si fa? Perché
per riascoltare un disco della mia adolescenza devo
aspettare che lo ristampino in Giappone e, quando pure si
degnassero di pubblicarlo, va subito esaurito e lo devo
strappare a suon di dollari ad altri poveracci come me,
in qualche asta telematica? - Caio: E con chi te la prendi, scusa? Di
chi è la colpa se ti piacciono i dischi rari?
- Tizio: Eh no, caro
mio. I dischi non nascono rari. Ce li fanno diventare.
Prendi i Far Cry. Due autori straordinari - Phil Galdston
e Peter Thom - una multinazionale come la CBS alle
spalle, un gruppo di session-men in stato di grazia, un
produttore sensibile e competente - Phil Ramone - e, come
se non bastasse, la benedizione di Donald Fagen, che non è uno che si scomoda tutti i
giorni. Li conosci? [lo stereo diffonde le note di
Eldorado Escape, The One And Lonely, Its
Not As Simple As That]
canzonette, quindi le può fischiettare chiunque, eppure
... quanta classe! quanto sentimento! voci brillanti,
refrain infallibili, assoli suonati con il cuore, pronti
per sfondare, invece ... - [si apre la
porta] Sempronio: Cè
dellaltro verdicchio? Perdonate lintrusione,
ma state diventando pallosi [si versa da bere]. Non riesci a trovare un CD?
Embè? Che sarà mai? Con tutti i problemi che ci sono.
Salute! - Tizio: Ma che significa? Forse che la musica non è
una cosa importante? - Sempronio: Certo, ma si vede che la tua è
fuori moda, superata, 'out', perciò rassegnati, vivi e
lascia vivere. - Caio: Aliis alia placent. - Sempronio:
Parole sante!
- Tizio: Sì, e magari
'trahit sua quemque voluptas'
ma fammi il piacere!
La verità è che certi artisti non vendono perché
nessuno li promuove, la gente non li conosce e,
ovviamente, non li compra. E siamo da capo. Vuoi i nomi
dei responsabili? Al 90% radio e giornalisti, per il
restante 10% noi, con la nostra indolenza. Ma vi rendete
conto che se una generazione cresce con i cantautori
italiani e unaltra con Jovanotti, rischiamo di
ritrovarci in un paese di somari capaci di tutto? E se
poi mandiamo un piduista al governo? - Sempronio:
Eccone un altro.
Piantala di fare lo iettatore! - Caio:
Devi impiegare meglio
queste virtù divinatorie: chi lo vince il campionato?
Ah, ah, ah!. - Sempronio: Ah, ah ah!. - Tizio:
Vaffanculo!.
- B.A.
Un Giorno, Da
Qualche Parte - II
JAY FERGUSON - ALL
ALONE IN THE END ZONE (1976)
Conquistato un posto
nella storia del rock con la
militanza nei gloriosi Spirit, dopo la breve parentesi
dei Jo Jo Gunne, Jay Ferguson ci prova da solo.
Loccasione arriva quando Bill Szymczyk invita a
Miami il cantautore/tastierista per produrre un album da
incidere con una band superlativa: Joe Walsh (chitarre,
cori), George Chocolate Perry (basso), Joe
Vitale (batteria). Ideale colonna sonora per sfrecciare
in cabriolet lungo le coste assolate della California o
della Florida, All Alone In The End Zone suona
bene anche a bordo di una spider italiana lanciata sul
litorale adriatico. Gli arrangiamenti perfezionano lo
stile che stava rendendo famosi gli Eagles. In primo
piano: la bella cover di un singolo dei Traffic (Medicated
Goo), il restauro di un pezzo dei Jo Jo Gunne tratto
da Jumpin The Gunne (To The Island),
un impetuoso assolo di flauto eseguito da Vitale in
omaggio ai Jethro
Tull (Hit And Run) e quattro canzoni
sovralimentate a colpi di riff contrapposti e stacchi
ritmici (Snakes On The Run, Turn It Up,
Cinnamon City, Time And Time Again). Guidate
con prudenza. - B.A.
JAY FERGUSON - THUNDER
ISLAND (1977)
JAY FERGUSON - REAL
LIFE AINT THIS WAY (1979)
JAY FERGUSON - TERMS
AND CONDITIONS (1980)
JAY FERGUSON - WHITE
NOISE (1982)
MIKE FINNIGAN - BLACK
& WHITE (1978)
DAN FOGELBERG - SOUVENIRS
(1974)
DAN FOGELBERG - CAPTURED
ANGEL (1975)
DAN FOGELBERG - NETHER
LANDS (1977)
DAN FOGELBERG
& TIM WEISBERG
- TWIN SONS OF DIFFERENT MOTHERS
(1978)
Con una certa
irriverenza, qualcuno ha paragonato i brani strumentali
di Twin Sons Of Different Mothers alla musica di Fausto
Papetti. A parte il fatto che almeno un paio di pezzi
(Intimidation; Hurtwood Alley) non sono da
buttare, quella critica è iniqua perché il disco
contiene tre canzoni che da sole valgono lacquisto
e che sarebbe un peccato censurare per sciatto snobismo.
Condividendo il proscenio con lamico flautista Tim
Weisberg, Dan
Fogelberg offre un superbo saggio del proprio talento
di autore, interprete e virtuoso con chitarre e tastiere.
Ripresa da un vecchio album degli Hollies (For Certain
Because
) e impreziosita dalla firma illustre
di Graham Nash, Tell
Me To My Face esprime la rabbia di un uomo
abbandonato senza neanche una parola di addio:
larrangiamento espanso oltre i sette minuti esalta
la stupenda melodia beat, mentre i due figli
gemelli di madri diverse danno fuoco agli assoli. Since
Youve Asked è una passionale, splendida
ballad scritta e incisa da Judy Collins nel
1967 (Wildflowers), che dopo quarantanni
mantiene intatta la sua bellezza anche grazie
allispiratissima versione di Dan per piano e
orchestra. Dopo le buone vendite di Nether Lands,
Fogelberg cominciava ad assaporare lebbrezza del
successo e, per esorcizzarne pro e contro, cavalca
limpetuosa The Power Of Gold, con quel
monito finale che ci mette in guardia dalla febbre
delloro: «
the
women are lovely, the wine is superb, but theres
something about the song that disturbs you
».
- B.A.
DAN FOGELBERG - PHOENIX
(1979)
DAN FOGELBERG - THE
INNOCENT AGE (1981)
 Probabilmente ammontano a poche unità, ma
ci fossero anche solo un paio di appassionati di Poco,
America e Eagles che ancora non conoscono Dan
Fogelberg, è ben ora di aiutarli a colmare la
lacuna. Per valutare lo spessore dellartista si
cerchi in rete il filmato del 1984 in cui Dan spiega con
logica stringente la propria idiosincrasia per il
fenomeno - allora in voga - dei video musicali. Approdato
al successo con lambizioso Nether Lands e
linconsueto Twin
Sons Of Different Mothers, Fogelberg raggiunge la
piena maturità con limponente corpus musicale di Phoenix
e The Innocent Age, manifesto estetico di un
virtuoso in grado di passare con naturalezza da soavi
arpeggi acustici (Longer, Gypsy Wind, The
Sand And The Foam, Leader Of The Band), a
precipitose fughe elettriche (Phoenix, Wishing
On The Moon, Nexus, Lost In The Sun)
fino a intense ballad per pianoforte (Run For The
Roses, Same Old Lang Syne), il tutto a corredo
di immacolate armonie e interpretazioni vocali.
Pienamente calato nel contesto della sua epoca, pur
restando fedele ai propri canoni stilistici, Dan firma
anche due splendide pagine A.O.R.
mediate attraverso una finissima sensibilità
country-rock: avvolte rispettivamente nel drammatico riff
degli archi e in un fraseggio dallincisiva timbrica
single
coil, Heart Hotels e Hard To Say
sanciscono la duttilità della sua penna.  Lilluminante
elenco delle influenze ammesse e citate sulla copertina
del doppio album alterna Byrds,
Hollies,
Buffalo
Springfield (ovvero Crosby,
Stills, Nash & Young) a Gordon
Lightfoot e Paul Simon,
ad altri celebri nomi che proiettano unombra lunga
sugli arrangiamenti [il flicorno di Jerry Hey
su Longer rimanda direttamente al memorabile corno
francese di Alan Civil
su For No One dei Beatles
(Revolver)] o
partecipano personalmente alle registrazioni [la voce di Joni
Mitchell adorna gli impetuosi cori di Nexus,
il controcanto di Glenn Frey
su Hard To Say evoca gli inquieti fantasmi che si
aggiravano nellatrio di Hotel
California, lugola di Richie
Furay diffonde spensierati echi West Coast su The
Innocent Age]. Linatteso retrogusto accademico
di Ghosts si spiega con la passione del cantautore
americano per Grieg e Tchaikovsky. Impeccabile il
contributo di Norbert
Putnam (basso elettrico), Andy
Newmark e Russ
Kunkel (batteria) a supporto del titolare
poli-strumentista. - B.A.
DAN FOGELBERG - WINDOWS
AND WALLS (1984)
DAN FOGELBERG - HIGH
COUNTRY SNOWS (1985)
DAN FOGELBERG & TIM
WEISBERG - NO RESEMBLANCE WHATSOEVER (1995)
DAN FOGELBERG - THE
FIRST CHRISTMAS MORNING (1999)
FOOLS GOLD - FOOLS
GOLD (1976)
FOOLS GOLD - Mr.
LUCKY (1977)
MICHAEL FRANKS - MICHAEL
FRANKS [PREVIOUSLY UNAVAILABLE] (1973)
MICHAEL FRANKS - THE
ART OF TEA (1975) 
Un tale* a cui era
stato regalato The Art Of Tea, dopo qualche
settimana trascorsa ad ascoltarlo, sentenziò: «
musica per trombare
».
Laffermazione, dotata di una sua genuina, simpatica
eloquenza, rischia tuttavia di apparire riduttiva nei
confronti di un artista che ha espresso ben più che una
semplice colonna sonora per alcove (funzione che,
comunque, ci guardiamo bene dal denigrare). In realtà,
con lesordio ufficiale - Previously Unavailable
era solo una raccolta di provini, seppure interessanti -
Michael pubblicava un primo album al livello di Careless
(Stephen Bishop) e Mannequin (Marc Jordan),
imponendo il proprio nome nel Gotha del nascente
movimento A.O.R..
Accompagnato da una band incredibile [Joe Sample
(tastiere); Larry Carlton (chitarre); Wilton Felder
(basso); John Guerin (batteria)] e da alcuni ospiti
deccezione [Michael Brecker (tenore); David Sanborn
(alto)], il cantautore californiano offriva una
provvidenziale ancora di salvezza ai naufraghi dispersi
dopo lo scioglimento dei Beatles
e ancora inermi di fronte ai totalitarismi prossimi
venturi (disco, punk, TG4, Il Punto di
Lanfranco Pace). Risultato: nove canzoni perfette, ancora
moderne dopo trentanni, servite da arrangiamenti
semplici ma eleganti, avvolte in un tessuto armonico di
chiara matrice jazz, dunque ideale
per le fughe dei solisti, e nobilitate da testi romantici
ma intelligenti. Eggplant, gustosa metafora in
bilico tra eros e gastronomia; Jive, amara
verifica di una liaison in crisi, spinta al redde
rationem dal virile sax di Brecker; Sometimes I
Just Forget To Smile, fotografia di una Los Angeles
talmente vacua da togliere il sorriso; I Dont
Know Why Im So Happy Im Sad, ovvero,
chissà perché sono
così felice di essere triste, titolo che
vale quanto la deliziosa melodia. Gli archi di Nick De
Caro avvolgono in una bruma notturna le tre ballad, una
più bella dellaltra: Night Moves, stupendo
tema composto da Michael Small per lindimenticabile
film noir di Arthur Penn con Gene Hackman (Bersaglio Di Notte), a cui
Franks aggiunse le parole; St. Elmos Fire,
saggio lirico in cui Michael riversa le immagini
custodite nel proprio bagaglio letterario; Monkey See
- Monkey Do, spiritoso R&B di cui Melissa
Manchester interpretò una versione superlativa (Help
Is On The Way); Popsicle Toes, accattivante
pop-swing trainato dal formidabile piano elettrico di
Sample, ripreso anche dai Manhattan Transfer (Coming
Out); Mr. Blue, struggente finale
allinsegna dellanalogo, omonimo spleen con
cui Laura Nyro aprirà il disco del 1978 (Nested). Straordinario
il lavoro svolto dagli ingegneri del suono (Al Schmitt,
Lee Herschberg, Bruce Botnick) che, sotto la guida
illuminata di Tommy LiPuma, donano unaltissima
fedeltà al trillo del Fender Rhodes e alle note stirate
della Gibson 335. Visti gli esiti, per il successivo Sleeping Gypsy Michael
confermerà la formazione al completo. [P.S. -
*Lepisodio è realmente accaduto. Nel corso dello
stesso incontro, il suddetto personaggio si fece
improvvisamente serio e, con voce profonda, sguardo
intenso e piglio da esperto, chiese: «
piuttosto, hai sentito lultimo
degli U2?».] - B.A.
MICHAEL FRANKS - SLEEPING
GYPSY (1977) 
In occasione del
terzo album - il secondo per la Warner Bros. - Michael Franks
si ispira allomonimo dipinto di Henri
Rousseau, riconfermando lintera squadra del
precedente The Art Of Tea:
daltronde, se si raggiunge la perfezione, perché
cambiare anche solo una virgola? Il crescente interesse
dellartista californiano per il Brasile spiega la
presenza di Claus Ogerman, già arrangiatore del testo
sacro Francis Albert
Sinatra & Antonio Carlos Jobim. A coordinare
limpressionante schiera di fuoriclasse troviamo
ancora i maestri Tommy LiPuma (produttore) e Al Schmitt
(ingegnere del suono). Lelenco delle canzoni è
incredibile. The Lady Wants To
Know, uno dei grandi standard di fine secolo,
manifesto programmatico dellautore, col celeberrimo
refrain Daddys
just like Coltrane, Babys just like Miles
incorniciato tra la chitarra di Larry Carlton e
il sassofono di Michael
Brecker. I Really Hope Its You e In
The Eye Of The Storm, due ineccepibili lezioni di
stile su come comporre e interpretare le ballad. Bwana
- He No Home, tassativa disposizione impartita da un
misantropo in cerca di quiete alla domestica straniera,
traducibile con la frase non ci sono per nessuno, incisa
ribaltando i ruoli anche dai Carpenters [Bwana -
She No Home (Passage)]. Il gioioso invito a
non incupirsi di Dont Be Blue, trainato
dagli spettacolari fraseggi di David Sanborn
(sax alto) e Joe Sample (piano elettrico), assurto a
travolgente preludio swing dal vivo. Antonios
Song (The Rainbow), ispirato omaggio a Jobim, cui
allindomani della scomparsa Franks dedicherà
lintero Abandoned Garden. Down In Brazil,
dichiarazione damore per il paese sudamericano
registrata a Rio de Janeiro, col pianista indigeno Joao
Donato che improvvisa insieme a Larry Carlton
sullo sfondo delle splendide parole: «... down in Brazil, it takes a day to walk a
mile, time just stands still, and when the people you
meet look at you they smile, they still believe in style
...». Classe inarrivabile. - B.A.
MICHAEL FRANKS - BURCHFIELD NINES (1978)

Alcune
rilevanti affinità stilistiche legano in un ideale
gemellaggio musicale Other
Peoples Rooms di Mark/Almond e Burchfield
Nines di Michael Franks, due album gravemente
sottovalutati da pubblico e critica. La svista va
attribuita allinsorgere della cancrena punk (era il
1978), ma anche alla sciagurata distrazione dei media. I
due dischi avevano in comune il clima intimista, le
parole appena sussurrate, le languide armonie jazz e soprattutto la stessa
eccezionale formazione organizzata dal produttore Tommy
LiPuma: Leon Pendarvis (piano elettrico), John Tropea
(chitarra), Will Lee (basso), Steve Gadd
(batteria) e Ralph MacDonald
(percussioni), sensibilissimi artefici di un suono
plastico, flessuoso, antesignano dellidioma fusion, caratterizzato da una sublime
empatia tra gli strumenti. Sul soffice tappeto ritmico
sfilano da un lato i fiati assortiti di Johnny Almond e
il flicorno di Jerry Hey, dallaltro il tenore di
Ernie Watts, la tromba di Oscar Brashear e il flauto del
redivivo Bud Shank. Mentre Jon Mark sbircia con
discrezione nelle vite altrui (Other Peoples Rooms;
Just A Friend; Girl On Table 4),
interpretando con toccante trasporto anche You Look
Just Like A Girl Again di Danny OKeefe, Franks compila una preziosa
scaletta di otto brani originali, giocando con le sue
provocanti allegorie liriche (When The Cookie Jar Is
Empty; A Robinsong; Wrestle A Live Nude
Girl; Meet Me In The Deerpark; In Search Of
The Perfect Shampoo). Il compito di arrangiare gli
archi fu assegnato a due ex-collaboratori di Sinatra:
rispettivamente, Claus Ogerman ed Eumir Deodato. Il colpo
di scena arriva con Vivaldis Song, un doppio
finale che rischia di spiazzare lascoltatore,
condizionandolo con limbarazzo della scelta tra le
due versioni: per evitare uno spiacevole disorientamento,
suggeriamo lacquisto simultaneo di entrambi i CD. - B.A.
MICHAEL FRANKS - TIGER IN THE RAIN (1979)

Michael Franks
non ha mai deluso il suo pubblico. Nessuno dei suoi album
scende al di sotto dell'eccellenza. Tuttavia, checché ne
pensino gli appassionati nipponici, e senza nulla
togliere allo stupendo One Bad Habit, a nostro
parere il capolavoro di Michael è proprio Tiger In
The Rain. La sua musica imbevuta di arte e
letteratura, continuamente percorsa dai fantasmi di
Gauguin, Cézanne e Van Gogh, in moto perenne tra pop, jazz e Brasile, raggiunge qui una
sintesi ammirevole e, forse, insuperata. Agli ordini di
Franks, un piccolo esercito di fuoriclasse fusion
e jazzisti veri dissemina assoli straordinari
in ogni brano: le movenze erotiche di Flora Purim e la
chitarra di Joe Caro sulla freudiana When
Its Over; lagile fraseggio pianistico di
Kenny Barron su Sanpaku; lorecchiabile
intervento del veterano Bucky Pizzarelli (chitarra) su Hideway;
lestroverso tenore di George Young che contrasta
con la quieta discrezione degli arrangiamenti (archi e
fiati) su Underneath The Apple Tree; il tagliente
sax alto di David Sanborn su Satisfaction Guaranteed.
Il consueto omaggio alla pittura moderna è indirizzato a
Henri
Rousseau, il cui meraviglioso Tropical
Storm With A Tiger, che campeggia in
copertina, ha ispirato il disco e la dolcissima
title-track. Completano la galleria Jardin Botanico,
con un ottimo David Liebman al flauto, Living On The
Inside e Lifeline. Raccomandato ai
collezionisti darte. - B.A.
MICHAEL FRANKS - ONE
BAD HABIT (1980) 
Chi già conosceva Michael Franks
intorno al 1979/1980, ricorderà senzaltro quanto
fosse difficoltoso procurarsi i suoi album. Non solo: i
pochi negozianti che disponevano di qualche copia la
catalogavano con superficialità nel reparto jazz, riconoscimento lusinghiero ma
controproducente, che ha ostacolato per anni
lincontro con il pubblico. In realtà Franks è
sempre stato un cantautore pop, anche se raffinato e
attento a curare ogni dettaglio dei propri dischi. Segni
particolari: una voce che somiglia molto a un sospiro;
arrangiamenti architettati insieme ai più autorevoli
specialisti fusion (genere che
viveva allora il momento di massimo splendore); giochi di
parole allaltezza della laurea in lettere,
conseguita discutendo una tesi dal titolo premonitore (Contemporary
Songwriting And How It Relates To Society). La sua
carriera trentennale, ricca di soddisfazioni ma vissuta
allinsegna di un sobrio 'understatement',
testimonia la cronica insofferenza della stampa e della
radio per tutto ciò che è autentico, elegante e
creativo. Unaltra vittima dei soliti
idioti. Questo magnifico portfolio musicale
contiene alcune delle più ispirate creazioni
dellartista: laccattivante ritornello di Baseball
avrebbe meritato un posto nelle classifiche dei singoli; Inside
You è una serenata immersa in unatmosfera
romantica e rarefatta; On My Way Home To You sposa
con successo due stupende linee melodiche, collocandosi
accanto alle opere più influenti espresse dal movimento A.O.R.;
All Dressed Up With Nowhere To Go si snoda lungo
una suggestiva sequenza di accordi tracciata dalla
sezione fiati, per biasimare i capricci di
unincorreggibile indecisa; One Bad Habit proietta
al rallentatore un filmino funky-blues diretto con mano
sicura da Eric Gale (chitarra); Loving You More And
More racconta unavventura hawaiana che culmina
in uno splendido assolo di Jerry Hey (flicorno). Lieto
fine: la ristampa CD è reperibile ovunque. In offerta! -
B.A.
MICHAEL FRANKS - OBJECTS
OF DESIRE (1982) 
With a characteristic
blend of progressive jazz flavorings and subtle pop
flourishes, Objects Of Desire is a tantalizing
aural soundscape from one of contemporary musics
most innovative artists. Michael Franks
used a Polynesian palette to paint a rich musical
portrait, reflecting his longstanding interest in the
French Impressionist painter Paul
Gauguin. While the CDs nine original cuts run a
stylistic gamut, songs such as Tahitian Moon convey
the mystery and allure of island life. The engaging
verbal wordplay that is a Michael Franks
trademark is also on display in Objects Of Desire,
with such songs as Ladies Nite and Laughing
Gas. - CD notes
Gli affezionati cultori di Michael Franks
accettarono di buon grado linattesa svolta funky di
Objects Of Desire, anche perchè il livello
(eccelso) del materiale restò inalterato. La rituale
adunata oceanica di session-men dalto bordo
garantisce prestazioni strumentali strepitose, come
dimostrano proprio i due pezzi più ballabili (Jealousy;
Flirtation). Lalbum contiene anche un paio
di raffinati duetti, con Bonnie Raitt (Ladies
Nite) e S. Renee Diggs (Love Duet):
questultima possiede una voce insieme angelicata e
sexy. Qualcuno sa che fine abbia fatto? - B.A.
MICHAEL FRANKS - PASSION
FRUIT (1983)
MICHAEL FRANKS - SKIN
DIVE (1985)
On Skin Dive,
his critically acclaimed 1985 release, Michael Franks
takes a quantum leap into the possibilities of electronic
sound, explores the full spectrum of modern music and
surfaces with a richly detailed, consummately performed
album. Produced by Rob Mounsey and featuring such guest
talents as Marcus Miller and David Sanborn, Skin Dive marks
a distinct change of pace from Franks previous
work. It's a lamination
of real and synthesized sounds, the sum of a lot of
influences - explains the
singer/songwriter/conceptualist - I wanted to take the sounds of the city, the
fast track, and integrate them into my music.
Franks took his unique sound one step further with the
use of electronic equipment. The success of such musical
explorations can be heard on the nine selections of Skin
Dive. Standout cuts include Your Secrets
Safe With Me (which spawned a Franks video), When
I Give My Love To You (a duet with Brenda Russell), When
She Is Mine (highlighting a full horn section) and Dont
Be Shy (an eloquent, elaborate arrangement built
around a synthesized drum riff). - CD
notes
MICHAEL FRANKS - THE
CAMERA NEVER LIES (1987)
MICHAEL FRANKS - BLUE
PACIFIC (1990)
MICHAEL FRANKS - DRAGONFLY
SUMMER (1993)
MICHAEL FRANKS - ABANDONED
GARDEN ( 1995)
MICHAEL FRANKS - WATCHING
THE SNOW (2004)
MICHAEL FRANKS - BAREFOOT ON THE BEACH ( 1999)

MICHAEL FRANKS - RENDEZVOUS
IN RIO (2006)
MICHAEL
FRANKS - TIME TOGETHER
(2011)
MICHAEL FRANKS - THE
MUSIC IN MY HEAD (2018)
torna Michael Franks
allimprovviso, tutto è di nuovo possibile
la sua discografia si può dividere in due fasi:
da una parte il consolidato metodo adottato dalla metà
degli anni Settanta fin quasi verso la fine del
millennio, pagando i migliori professionisti senza badare
a spese con i soldi della Warner
Bros., dallaltra lobbligo di fare
di necessità virtù con i modesti budget delle etichette
indipendenti (Windham
Hill, Rhino,
Koch,
Shanachie)
fin dallesordio, egli ha impiegato i più
avanzati standard concernenti alta fedeltà e tecnica
strumentale per registrare canzoni dalla perfetta curva
melodica, nobilitate da parole brillanti e profonde
su tali premesse, un sensazionale poker di CD
approda su queste pagine trainato a strascico dal
recente, sbalorditivo The Music In My Head
riavvolgiamo il nastro per un attimo
nel 1999
Michael è reduce dalla pubblicazione di Abandoned
Garden, lalbum dedicato alla memoria di Antonio
Carlos Jobim che coincide con lesonero dalla
scuderia per cui ha militato una vita (1975/1995)
la reazione dellartista è da manuale delle rivalse
lodevolmente distribuito dalla Windham
Hill, Barefoot On The Beach è
lennesimo capolavoro, anche grazie alla produzione
condivisa tra Chuck Loeb
e Jimmy
Haslip: oltre a suonare da par loro i rispettivi
strumenti, i due veterani coordinano il manipolo di
specialisti (Randy
Brecker, Michael
Brecker, Bob
Mintzer, Bob James,
Steve Khan, Jeff
Mironov, Will
Lee, John
Patitucci, Steve Gadd
etc.) che esalta unopera senza difetti
preziosi momenti trascorsi negli angoli più esclusivi
della Florida - Captiva
Island, St.
Augustine - ispirano lidillio esotico di
Barefoot On The Beach e la cortese trasgressione
di The Fountain Of Youth
il duetto con Valerie
Simpson su Now Love Has No End procura un
brivido non appena la diva soul
apre bocca (voto: 10)
le citazioni
cinematografiche conferiscono ai personaggi di Heart
Like An Open Book precise fisionomie di genere (Ingrid
Bergman, Rhett
Butler)
sospese tra le serenate brasiliane di When
You Smiled At Me ed Everytime She Whispers, le
bugie di Double Talk si dissolvono sulle note del
piano acustico di Bob James,
un attimo prima degli strazianti rimpianti sentimentali
di A Walk In The Rain e Why Spring Aint
Here
cè spazio per la garbata polemica
con cui Mr. Smooth denuncia lannacquamento
radiofonico del jazz
(condividiamo). Dopo la strenna natalizia (intramontabile
tradizione americana) di Watching The Snow,
peraltro interamente composta di bellissimi pezzi
originali, nel 2006 ha luogo il passaggio dalla Rhino
alla Koch,
con Jeff
Lorber che si aggiunge alla nutrita comitiva di
registi, quasi uno per ogni arrangiamento di Rendezvous
In Rio
in apertura, un trittico di
prelibatezze latine (Under The Sun, Rendezvous
In Rio, Samba Do Soho) precede il curioso
episodio di The Critics Are Never Kind, tratto
dallinedito musical Noa Noa, con Robbie
Dupree nei panni di Paul
Gauguin accanto al leader in quelli di Vincent
Van Gogh - storico incontro al vertice per i cultori A.O.R. - seguito da Scatsville
- ricordo di un Blindfold Test in cui
lintervistatore Leonard
Feather dissentiva in merito allinsofferenza
per lo scat
(di nuovo, siamo daccordo con Michael) - e da Hearing
Take Five, struggente nostalgia per Sinatra (Saint Frank), Kennedy
(JFK) e
lintero quartetto di Dave
Brubeck (Paul
Desmond, Gene and Joe and Dave), espressa
con Eric
Marienthal che evoca, senza imitarlo pedissequamente,
il celebre fraseggio Dry
Martini del caposcuola.
Col successivo Time Together
il mood prevalente traspare da titoli come Now That
The Summers Here, One Day In St. Tropez,
Summer In New York, If I Could Make September
Stay, sorta di September
Of My Years rivisto in cui si alternano
compiacimento per ciò che è stato e brama per quel che
rimane: un penoso sconcerto relativo allattualità
confessato nella metafora di Charlie Chan In Egypt,
con dedica a Kurt
Vonnegut; lo stupefacente, geniale encomio dei
topolini come modello di riservatezza, creanza ed
equilibrio - forse contrapposto allo sbraco odierno - che
fa di Mice una delle cose da salvare del 2011,
insieme al quartetto schierato in studio per
loccasione (Jerry
Marotta, David
Spinozza, Mike
Mainieri, Scott Petito). The
Music In My Head arriva giusto in tempo per consolare
chi non si rassegni a un Ministro degli
Interni tanto patetico quanto abominevole che, per
di più, scoppia di salute
come è riuscito il
cantautore di La Jolla
a preservare la propria prodigiosa integrità morale
proprio mentre siamo quotidianamente minacciati da un
indicibile orrore conradiano (Isola dei Famosi, Grande
Fratello, Pomeriggio Cinque etc.)? la foto di
copertina ci suggerisce qualche indizio
postura
rilassata, sguardo sereno, mente sgombra, pulirsi il culo
con la TV ... il segreto dellappagamento
esistenziale
a partire da tali premesse, tutto
diventa facile
applicando alle sedute
linfallibile formula Steely Dan,
Michael incunea sublimi assoli di Chuck Loeb
e David
Spinozza su As Long As Were Both Together
e Suddenly Sci-Fi, assembla una superlativa band
con Rachel
Z, Bob
Mintzer, David
Spinozza, Ben
Perowsky che imperversa su The Idea Of A Tree,
To Spend The Day With You, The Music In My Head,
racconta i propri trascorsi formativi a Hermosa
Beach su Bebop Headshop, apre Candleglow
con un potente, attualissimo incipit lirico (... now it seems we are truly all
watched over by machines ...), riflette leggiadri
echi sudamericani su Bluebird Blue e Waterfall,
azzarda una personale recherche
du temps perdu su Where You Hid The Truth
prossimi recuperi tardivi: le pietre miliari Passion
Fruit, Skin Dive, The Camera Never Lies
o lo sbalorditivo bis di Blue Pacific e Dragonfly
Summer
non aspettate i nostri riflessi da
bradipo
correte a rastrellarli, sono tutti
indispensabili
- B.A.
GLENN FREY - NO
FUN ALOUD (1982)
GLENN FREY - THE
ALLNIGHTER (1984)
CRAIG FULLER / ERIC KAZ
- CRAIG FULLER / ERIC KAZ (1978)
RICHIE FURAY - IVE
GOT A REASON (1976)
RICHIE FURAY - DANCE
A LITTLE LIGHT (1978)
RICHIE FURAY - I
STILL HAVE DREAMS (1979)

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