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 JAZZ
JAVON JACKSON - ME
AND Mr. JONES (1991)
JAVON JACKSON /
BILLY PIERCE - BURNIN
(1991)
JAVON JACKSON - ONCE
UPON A MELODY (2008)
MILT JACKSON - SUNFLOWER
(1972)
STAFFORD JAMES - HORO:
JAZZ A CONFRONTO 26 (1975)
KEITH JARRETT - FACING
YOU (1971)
KEITH JARRETT - THE
KÖLN CONCERT (1975)
KEITH JARRETT - SUN
BEAR CONCERTS (1976)
KEITH JARRETT - CHANGES
(1983)
KEITH JARRETT - STANDARDS,
VOL. 1 (1983)
KEITH JARRETT - STANDARDS,
VOL. 2 (1983)
KEITH JARRETT - STANDARDS
LIVE (1983)
KEITH JARRETT - CHANGELESS
(1987)
KEITH JARRETT - STANDARDS
IN NORWAY (1989)
KEITH JARRETT - THE
CURE (1990)
KEITH JARRETT - BYE
BYE BLACKBIRD (1991)
KEITH JARRETT - WHISPER
NOT (2000)
KEITH JARRETT - THE
OUT-OF-TOWNERS (2001)
JAZZTET
(BENNY GOLSON / ART FARMER) - MEET
THE JAZZTET (1960) 
Cari baby-boomer
arrivati o disillusi, da qui riusciamo a
vedervi: sveglia di buon mattino, un bacio insonnolito a
moglie e figli prima di uscire, il capoufficio inetto che
rompe i coglioni, patetica partitella di tennis al
dopolavoro, cazzeggio con gli amici durante
laperitivo, rituale abbrutimento davanti alla TV,
dovere coniugale adempiuto sovrappensiero, a nanna entro
mezzanotte. Sembrerebbe la decorosa e, per chi sa
contentarsi, appagante routine quotidiana delluomo
occidentale. Eppure, scusate, ma che vita è senza
conoscere Meet The Jazztet di Art Farmer e Benny
Golson? Quellesordio* discografico sublimava
gli ideali estetici di due colti gentlemen
afro-americani, proponendo lo schema a tre fiati che,
poco dopo, verrà imposto come standard dai migliori Jazz
Messengers (Art Blakey & The Jazz Messengers;
Mosaic; Buhainas Delight; Caravan;
Free For All; Indestructible).
Mentre Davis e Coleman tentavano di varcare i confini del
jazz da fronti reciprocamente opposti, Farmer e Golson
sceglievano un tragitto ancora diverso che, passando per
il connubio tra hard-bop e cool, li porterà a
collaborare proprio con il vate della third
stream (The Jazztet And John Lewis).
Larcheo-funk della scuola Blue Note e il
neo-swing della californiana Contemporary si fondono a
freddo nelle sofisticate partiture di Golson, autore di
quattro piccole opere darte: Blues March,
cadenza marziale resa celebre dalla versione dei Jazz
Messengers (Moanin), complesso in cui Benny
aveva militato come sassofonista e arrangiatore; Park
Avenue Petite, colonna sonora per una passeggiata
notturna tra le vie di New York; la felpata andatura di Killer
Joe e la stupenda melodia di I Remember Clifford
che, anni dopo, i Manhattan
Transfer e Jon
Hendricks trasformeranno in canzoni (Thats
Killer Joe; Oh Yes, I Remember Clifford)
nellacclamato Vocalese.
La toccante ballad dedicata a Clifford
Brown verrà incisa, tra gli innumerevoli altri, da Lee Morgan
(Volume Three), Sonny Rollins (Nows The
Time), Eric Alexander (Up, Over & Out) e
Golson stesso (California Message; Up Jumped
Benny). Il trattamento degli evergreen è altrettanto
brillante e culmina con le straordinarie cover di It
Aint Necessarily So, ispirata
allorchestrazione scritta da Gil Evans per Miles
Davis (Porgy And Bess), e Easy Living,
di cui Paul Desmond ed Enrico Rava
dimostreranno lintramontabile modernità nei
rispettivi, omonimi album. La formazione cambierà più
volte, ma già da subito vanta una classe superiore:
Curtis Fuller al trombone, Addison Farmer (fratello di
Art) al contrabbasso, Lex Humphries alla batteria e un
giovane McCoy
Tyner al piano, prossimo a entrare nello storico
quartetto di John Coltrane: la sua fuga introduttiva su Avalon
è profetica. Mirabilmente complementari, la voce morbida
della tromba e il timbro scuro del tenore collocano i
leader del Jazztet tra i massimi esempi di yin e
yang musicale (Henderson/Dorham, Cohn/Sims etc.).
[P.S. - *Nel 1960, sia Farmer che Golson erano titolari
di prestigiosi cataloghi personali.]. - B.A.
JAZZTET (BENNY
GOLSON / ART FARMER) - BIG CITY
SOUNDS (1960) 
JAZZTET (BENNY
GOLSON / ART FARMER) - THE JAZZTET
AND JOHN LEWIS (1961) 
JAZZTET (BENNY
GOLSON / ART FARMER) - HERE AND NOW (1962)
JAZZTET (BENNY
GOLSON / ART FARMER) - ANOTHER GIT
TOGETHER (1962)
JOHN JENKINS
/ KENNY BURRELL - JOHN
JENKINS WITH KENNY BURRELL
(1957)
Ormai il concetto
dovrebbe essere chiaro, ma giova comunque ribadirlo:
qualsiasi album della Blue
Note risalente al periodo 1957/1965 è
indispensabile. Si prenda questo John Jenkins With
Kenny Burrell, titolo meno noto rispetto ad altri,
eppure allaltezza dei consueti standard produttivi
imposti dal fondatore Alfred Lion: musica stupenda, audio
spettacolare, grafica inconfondibile. Esordiente in una
superba seduta a nome di Hank Mobley (Hank), col
suo sax alto John Jenkins evoca il timbro acre del quasi
coetaneo e collega di scuderia Jackie McLean. In luogo
del rituale secondo strumento a fiato, la formazione
annovera la chitarra di Kenny Burrell, solista prediletto
nientemeno che da Duke Ellington. Al piano siede Sonny
Clark, anchegli in procinto di firmare alcuni
classici per letichetta (Dial S For
Sonny; Sonnys Crib; Sonny Clark Trio;
Cool Struttin; Leapin
And Lopin). La sezione ritmica è affidata a un
tandem di campioni: Paul Chambers (contrabbasso),
pilastro dello storico quintetto di Miles Davis con John
Coltrane (Relaxin; Workin; Cookin;
Steamin), e Dannie Richmond (batteria),
prossimo a trascorrere oltre ventanni con Charles
Mingus. I due standard in scaletta consentono di
apprezzare uno stile che rimarrà attuale per sempre: From
This Moment On, soave melodia di Cole Porter già
incisa da Sinatra lanno prima (A Swingin
Affair!), brilla grazie alla doppia esposizione
orchestrata da Jenkins (tema) e Burrell (accordi), mentre
Richmond modula lintensità
dellaccompagnamento variando lapertura del
charleston per ciascun assolo; Everything I Have Is
Yours, di cui ricordiamo la sublime versione di Ella
Fitzgerald arrangiata da Benny Carter (30 By Ella),
è una ballad ideale per ridurre la velocità e
articolare squisiti fraseggi di chitarra, piano e sax.
Ulteriori saggi di coesione e inventiva si ritrovano
sulla doppia coppia di pezzi originali, in cui blues (Motif;
Blues For Two) e swing (Sharon; Chalumeau)
subiscono un tonificante trattamento hard-bop. - B.A.
MARC JOHNSON - BASS
DESIRES (1985)
MARC JOHNSON - SECOND
SIGHT (1987)
MARC JOHNSON - THE
SOUND OF SUMMER RUNNING (1997)
THAD JONES - THE
MAGNIFICIENT THAD JONES (1957)
THAD JONES /
PEPPER ADAMS - MEAN WHAT YOU SAY (1966)
THAD JONES / MEL
LEWIS - PRESENTING THAD JONES / MEL
LEWIS AND THE JAZZ ORCHESTRA (1966)
THAD JONES / MEL
LEWIS - LIVE AT THE VILLAGE VANGUARD
(1967)
THAD JONES / MEL
LEWIS - MONDAY NIGHT (1968)
THAD JONES / MEL
LEWIS - CENTRAL PARK NORTH (1969)
THAD JONES /
MEL LEWIS - CONSUMMATION (1970)
Il
caso scoppiò a New York nel 1965, tra le
mura del Jim & Andys*, un bar sulla 48th
Street frequentato da musicisti che, poi, si esibivano al
Village
Vanguard sotto la direzione di due illustri veterani:
Thad Jones (tromba/flicorno) e Mel Lewis (batteria).
Proponendo in piena rivolta giovanile un raffinato
amalgama di swing, hard-bop e virtuosismo,
lorchestra attirò lattenzione di Sonny
Lester, capo della Solid State: il contratto con
letichetta sussidiaria della United Artists
produsse cinque splendidi album (Presenting Thad
Jones/Mel Lewis And The Jazz Orchestra; Live At
The Village Vanguard; Monday Night; Central
Park North; Consummation) che preservano e
tramandano al terzo millennio larte della big
band. Il cast di Consummation annovera un
impressionante drappello di specialisti: tra gli altri,
Snooky Young, Al Porcino, Marvin Stamm (tromba), Jimmy
Knepper, Benny Powell (trombone), Jerome Richardson,
Jerry Dodgion, Billy Harper, Richie Kamuca, Pepper Adams,
Eddie Daniels, Joe Farrell (ance), Roland Hanna (piano),
Richard Davis (contrabbasso). Autore di tutte le
composizioni, Thad Jones indirizza louverture a noi
ascoltatori: omonima di una celebre pagina di Andrew Hill
(Point Of Departure),
liniziale Dedication si apre con una dolente
melodia esposta dal flicorno, subito squassata
dallimpetuosa fuga collettiva e dai fraseggi di
Richardson e Young. Gli arrangiamenti variano dalla
morbida bossa nova di It Only Happens
Every Time, al funk in 5/4 di Ahunk Ahunk, al
forbito colloquio tra la sezione fiati e le spazzole su Tiptoe.
Fin dal titolo, Fingers esalta la destrezza
strumentale dei solisti, culminante in uno spettacolare
assolo di Harper al tenore: pochi anni dopo, il
sassofonista avrebbe inaugurato entrambi i cataloghi
delle etichette italiane Black Saint e Soul Note (Black
Saint; In Europe). Leclettica penna di
Thad Jones si avverte anche sulle ballad: A Child Is
Born, sublime ninnananna jazz
divenuta uno standard grazie alle innumerevoli versioni
[segnaliamo almeno quella di Kenny Burrell (God Bless
The Child)] e Consummation, solenne commiato
che dispiega magistralmente le voci dellintero
organico. La preziosa eredità della Thad Jones/Mel Lewis
Orchestra è stata brillantemente raccolta dalla Vanguard
Jazz Orchestra. [P.S. - * Un bel libro di Gene Lees (Meet Me At Jim & Andys)
ricorda incontri ed episodi vissuti in quel locale.] - B.A.
CLIFFORD JORDAN - CLIFF
JORDAN (1957)
CLIFFORD JORDAN - CLIFF
CRAFT (1957)
CLIFF JORDAN /
JOHN GILMORE - BLOWING IN FROM
CHICAGO (1957)
CLIFFORD JORDAN - SPELLBOUND
(1960)
CLIFFORD JORDAN - SOUL
FOUNTAIN (1966)
CLIFFORD JORDAN - IN
THE WORLD (1969)
CLIFFORD
JORDAN - GLASS BEAD GAMES (1973)

 Spinta
dallinsopprimibile esigenza di catalogare qualsiasi
forma darte genuina, la stampa
specializzata coniò lennesima definizione
insulsa (non ridete
): spiritual jazz. Probabilmente volevano
riferirsi a una qualche affinità coi tumulti interiori
che ispirarono John
Coltrane durante il periodo Impulse!
[Coltrane, Crescent, A Love Supreme, Quartet
Plays etc.]. Ammettiamo pure che il nesso abbia un
senso, lespressione è comunque ridicola e non ha
sortito effetti positivi: fino a pochi anni fa, neanche
la prestigiosa Penguin
Guide to Jazz (5th
Edition) citava questo
capolavoro. Superficialmente confuso tra i tanti
improvvisatori di Chicago - chi si ricorda del classico Blue Note Blowing
In From Chicago, cointestato a John Gilmore? - Jordan
patì un solido legame con la tradizione che lo faceva
apparire retrogrado rispetto ai pionieri free e hard-bop:
in possesso di un fraseggio moderno e di un timbro reso
vintage dal caratteristico soffio, nel corso
degli anni egli sottopose il proprio stile a una
progressiva, feconda revisione modale che
suscitò linteresse della Strata-East
e, poi, della SteepleChase.
I dodici brani del doppio Long
Playing originale sono ripartiti (2/3 e 1/3) tra due
quartetti in cui, accanto agli stabili Clifford
Jordan (sax tenore) e Billy
Higgins (batteria), si alternano Stanley
Cowell e Cedar
Walton al pianoforte, Bill Lee
e Sam Jones al contrabbasso. Se il supporto armonico di
fuoriclasse come Walton e Cowell e linesauribile
energia motrice di Jones e Lee alimentano un costante
interplay, il successo degli arrangiamenti si deve, oltre
che agli splendidi assoli di Jordan, al prezioso
contributo di Higgins che, con la sua scansione costruita
su fitte, lievissime rullate e sul perpetuo tintinnio dei
piatti produce un espressivo, squillante contrappunto
alle cupe sonorità di sax e pianoforte. Lungo le quattro, dense facciate
dellalbum in vinile (provvidenzialmente riversate
su CD dalla Charly)
non cè un solo brano men che superbo:
limpegno politico trasmesso da titoli
inequivocabili come Powerful Paul Robeson* o
Prayer To The People, la colta citazione letteraria
di Glass Bead Games (Hermann
Hesse), il pungente afrore che promana dalla ballad Maimoun,
lincontenibile frenesia ritmica di Alias Buster
Henry, gli omaggi - espliciti o sottintesi - ai
colleghi Cal
Massey, Eddie
Harris, Bridgework (Sonny
Rollins) e quello, comprensivo di un coro salmodiante
che evoca la celeberrima cantilena intonata dal
destinatario su A Love
Supreme, a John
Coltrane. Una personale predilezione va
allingegnoso tema di Shoulders, in cui
spicca la squisita caratura tecnica del secondo combo
(Walton/Jones). [P.S. - 1) *Dedicata al noto, poliedrico personaggio
afro-americano. 2) Nel lodevole intento di ricomporre la
discografia di Clifford
Jordan, la Mosaic
ha inserito Glass Bead Games nel cofanetto The
Complete Clifford Jordan Strata-East Sessions,
includendovi però anche sedute a nome di Cecil
Payne, Pharoah
Sanders, Charles
Brackeen, Ed
Blackwell, Wilbur
Ware: una scelta editoriale opinabile e, a nostro
avviso, dispersiva.] - B.A.
CLIFFORD JORDAN - NIGHT
OF THE MARK VII (1975)
CLIFFORD JORDAN - FIRM
ROOTS (1975)
CLIFFORD JORDAN - THE
HIGHEST MOUNTAIN (1975)
CLIFFORD JORDAN - INWARD
FIRE (1977)
CLIFFORD JORDAN - THE
ADVENTURER (1980)
DUKE JORDAN - FLIGHT
TO JORDAN (1960)
STANLEY JORDAN - STANDARDS
VOLUME 1 (1986)
VIC JURIS - NIGHT
TRIPPER (1994)
VIC JURIS - PASTELS
(1995)
VIC JURIS - MOONSCAPE
(1996)
VIC JURIS - REMEMBERING
ERIC DOLPHY (1998)
STEVE KHAN / LARRY
CORYELL - TWO FOR THE ROAD (1977)
STEVE KHAN - EVIDENCE (1980) 
Un pugno di standard
immortali, linestimabile catalogo di Monk, una
chitarra acustica: la ricetta era semplice, ma produsse
uno dei più bei dischi registrati con la 6
corde. Evidence è il singolare anello di
congiunzione tra i primi tre lavori targati CBS (Tightrope; The Blue Man; Arrows) e la
seconda parte della carriera di Steve Khan, inaugurata
con il successivo Eyewitness. Artista
integerrimo e lungimirante, Steve fu tra i primi ad
avvertire lesigenza di un ripensamento del genere
che egli stesso aveva contribuito a definire, e questo
album è il risultato di un vero e proprio travaglio
post-fusion.
Per
chiarirsi le idee, il chitarrista riscopre le proprie
radici partendo dagli anni Sessanta, con tre omaggi ad
altrettanti maestri della Blue Note: il disco
si apre sotto il segno del genio con Infant Eyes,
sublime ballad di Wayne
Shorter tratta dal magnifico Speak No Evil;
larrangiamento di Melancholee - incantevole
composizone di Lee Morgan
contenuta nel suo Search
For The New Land - esalta le suggestive nuance
armoniche nascoste nello spartito; Peace, di
Horace Silver (Blowin The Blues Away),
completa la trilogia dedicata alletichetta di Alfred
Lion con un superbo assolo di Steve. In A Silent
Way è limpalpabile ode al silenzio scritta da
Joe Zawinul: la lettura di Steve guarda più
allincisione Atlantic dello stesso autore che a
quella, celeberrima, di Miles Davis (In A Silent Way). Un
intricato tema di Randy Brecker - Threesome (Straphangin)
- viene descritto da Steve come a sort of out gospel tune in the
great Randy Brecker composing style of a simple melody
with a brilliant harmonization. Con la suite
intitolata a Monk - nove pagine del pianista rilegate in
un lungo medley - Khan è riuscito nel miracolo di
interpretare in modo originale e credibile un repertorio
apparentemente inadatto alla chitarra, riproponendo le
melodie con precisione filologica, svelandone la bellezza
incontaminata e inserendo qua e là delle fulminee
improvvisazioni. Valga per tutte la straordinaria
versione di Bye-Ya. Anatema contro la BMG, che ha
ripubblicato il CD riducendo ai minimi termini una
stupenda copertina disegnata da Folon. Il
commento di Steve Khan: They ruined it!. - B.A.
STEVE KHAN - LETS
CALL THIS
(1991) 
STEVE KHAN - HEADLINE
(1992) 
 Escludendolo, si spera per una svista, dai 75 Great
Guitarists scelti per il numero di
Febbraio del 2009, Down
Beat ha macchiato con un obbrobrio indelebile una
storia editoriale altrimenti gloriosa. In realtà, anche
considerando solo alcuni parametri di giudizio elementari
- tecnica, stile, inventiva, discografia - Steve Khan merita un
posto tra i primi dieci fuoriclasse post-hendrixiani (Frank Zappa, John
Abercrombie, Ralph
Towner, Pat
Metheny, John
Scofield, Bill
Frisell etc.).
Lets Call This - Nel 1991 Khan offrì i
provini appena registrati con Jay Anderson e
Joel Rosenblatt
alla Polydor
giapponese, che accettò di pubblicare lalbum
purché (re)inciso con una sezione ritmica più
illustre: per paradosso, il chitarrista
cedette a un ricatto professionale convocando Ron Carter
e Al
Foster
La selezione del materiale denota idee
chiare e gusti sopraffini. Lets Call This e Played
Twice sono due preziose pagine tratte dal catalogo di
Thelonius
Monk di cui Steve, grazie alla sensazionale suite per
chitarra acustica di Evidence,
può ormai dirsi un autentico filologo. La sua notoria
predilezione per gli anni doro dellhard-bop
si manifesta con i sobri arrangiamenti di quattro
classici del periodo: Masqualero, sinistro tema
firmato da Wayne
Shorter per il secondo grande quintetto di Miles
Davis (Sorcerer), Little Sunflower,
intuizione melodica scoperta nellesordio Atlantic
di Freddie
Hubbard (Backlash),
un paio di inestimabili gioielli dello scrigno Blue Note come Mr.
Kenyatta di Lee Morgan
(Search For The New Land)
e Backup di Larry
Young (Into Somethin). Anche
lunico titolo autografo (Buddy System) e gli
standard più (Out Of This World) o meno (Street
Of Dreams) frequentati si giovano dello squisito
amalgama tra i fluidi fraseggi di Khan, il tintinnante
piatto ride di Foster e la poderosa cavata di
Carter.
Headline - Lefficace formula di Lets
Call This non aveva bisogno di ritocchi, ma la Polydor
si intromise ancora esigendo che ai pezzi in trio ne
fossero aggiunti alcuni eseguiti dallorganico
strumentale di Eyewitness. Con pazienza
olimpica, Steve Khan riunì ¾
della formazione originale, sostituendo Steve Jordan con Dennis Chambers
e reclutando i fedeli Anthony Jackson e Manolo
Badrena. La magia di quellaudace esperimento fusion si ripete, in particolare,
sulle meravigliose rivisitazioni di Caribbean Fire
Dance, guizzo latino di Joe
Henderson dal suo repertorio Blue Note (Mode
For Joe), e Turnaround, geniale blues di Ornette
Coleman (Tomorrow Is the Question!) già
ripreso da Pat
Metheny (80/81).
Ormai intimo degli ex-davisiani Carter e Foster, insieme
ad essi Khan saccheggia ancora i prediletti archivi Blue Note e Contemporary,
scovandovi, rispettivamente, le splendide Tyrone
di Larry
Young (Into Somethin), Water Babies
di Wayne
Shorter (Super Nova) e la negletta The
Blessing, una delle primissime composizioni di Ornette
Coleman (Something Else!!!!). Immancabile
lennesimo tributo a Thelonius
Monk (Hackensack), mentre con
linterpretazione della ballad Autumn In Rome,
Steve rende omaggio al padre Sammy Cahn,
insigne paroliere caro anche a Frank
Sinatra. Riletto da Steve Khan, ogni
spartito sembra scritto per la chitarra. - B.A.
STEVE KHAN - GOT
MY MENTAL (1997) 
STEVE KHAN - THE
GREEN FIELD (2006)
STEVE KHAN - BORROWED
TIME (TIEMPO PRESTADO) (2007)
RAHSAAN ROLAND KIRK - WE
FREE KINGS (1961)
RAHSAAN ROLAND KIRK - DOMINO
(1962)
RAHSAAN ROLAND KIRK - THE
ROLAND KIRK QUARTET MEETS THE BENNY GOLSON ORCHESTRA
(1963)
RAHSAAN ROLAND KIRK - REEDS
& DEEDS (1963)
RAHSAAN ROLAND KIRK - GIFTS
& MESSAGES (1964)
RAHSAAN ROLAND KIRK - I
TALK WITH THE SPIRITS (1964)
RAHSAAN ROLAND KIRK - RIP,
RIG & PANIC (1965)

 Sarebbe bastato
ascoltare linterpretazione di uno standard come Once
In A While - regale assolo intercalato da spiazzanti
note multiple - per capire subito che Rahsaan
Roland Kirk non era un fenomeno da baraccone
(contumelia con cui fu spesso vilipeso): la sua panoplia
di ance impiegata polifonicamente qua e là (sax tenore, stritch, manzello
suonati tutti insieme) conferiva un tocco di ingenua
civetteria a fraseggi comunque dotati di straordinario
spessore artistico. Nel 1965 Kirk aveva già alcuni
pregevoli album alle spalle, ma con lingaggio di Jaki Byard
(pianoforte), Richard
Davis (contrabbasso), Elvin
Jones (batteria) assembla la sezione ritmica perfetta
per il suo primo, vero e proprio classico. Jones
catalizza gli arrangiamenti con la propria duttile
scansione polimetrica, ideale per valorizzare materiali
diversi come la frenesia hard-bop
di No Tonic Press (omaggio a Lester
Prez Young) sdrammatizzata
dallintermezzo stride
di Byard, la travolgente maratona strumentale (manzello, sax tenore, pianoforte)
in forma di dedica a tre destinatari di From Bechet,
Byas And Fats (Sidney
Bechet, Don Byas,
Fats
Waller), le suggestioni oniriche trasmesse dal flauto
su Mystical Dream, laggraziato valzer di Black
Diamond, le frattaglie di free e
avanguardia ruminate creativamente su Rip, Rig And
Panic e Slippery, Hippery, Flippery.
Unesperienza auditiva unica. I fuoriclasse Dave
Douglas e Ken
Vandermark commemoreranno larte di Rahsaan
Roland Kirk riprendendone il repertorio,
rispettivamente, sul capolavoro Five (The Inflated
Tear) e nel quarto volume del monumentale progetto Free Jazz Classics (Rip,
Rig And Panic, The Inflated Tear). - B.A.
RAHSAAN
ROLAND KIRK - THE INFLATED TEAR
(1967) 
 Come
già dimostrato dal precedente Rip, Rig & Panic,
il contesto ideale per larte di Rahsaan
Roland Kirk era il quartetto con pianoforte e sezione
ritmica, proprio perché dentro quella cornice
strumentale consueta e disciplinata la vulcanica
inventiva del solista risaltava in tutta la sua
originalità. Un combo meno glamour del precedente, e
tuttavia concreto e motivato - Ron
Burton (pianoforte), Steve
Novosel (contrabbasso), Jimmy
Hopps (batteria) - asseconda il fuoriclasse nelle sue
varie caratterizzazioni: The Black And Crazy Blues*
apre lalbum con una solenne marcia funebre condotta
dal corno inglese che ci trasporta nelle strade di New
Orleans, fino allimmancabile diplofonia per ance
esalata da Rahsaan; laffettuosa dedica
al figlio di A Laugh For Rory e levocativa
elegia di Fingers In The Wind ribadiscono il
primato di Kirk col flauto jazz,
specialità di cui, soprattutto dopo la prematura
scomparsa di Eric
Dolphy, egli rimaneva campione indiscusso, oltre che
principale influenza e fonte dispirazione
nientemeno che per Ian
Anderson; la leggiadra esposizione del
tema quasi infantile di Many Blessings prelude al
travolgente assolo del sax tenore, eseguito in apnea; The
Inflated Tear, dolente ballad psichedelica cadenzata
da un intenso gemito polifonico di Kirk, è ormai uno
standard del free
(interpretato anni dopo da Dave
Douglas e Ken
Vandermark); Creole Love Call rende omaggio a Duke
Ellington col suo blues dondolante cullato dal
clarinetto; per il tris ad alta tensione dinamica di A
Handful Of Fives, Fly By Night, Lovellevelliloqui
Roland sciorina, rispettivamente, manzello,
sax tenore, stritch; il
recupero (sulledizione CD) di Im Glad
There Is You consente di ascoltare un superbo swing
allepoca escluso dal LP per ragioni di spazio
disponibile e affinità con la scaletta. [P.S. - 1) *In
unintervista registrata poco prima di morire, Kirk
dichiarò: «When I die I
want them to play The Black And Crazy Blues, I
want to be cremated, put in a bag of pot and I want
beautiful people to smoke me and hope they get something
out of it.»
chissà se Keith
Richards ne era al corrente
; 2) Sullesordio
dei Jethro Tull
(This Was) Anderson riprenderà Serenade To A
Cuckoo (I Talk With The Spirits), emulando -
con enfasi, se possibile - il tipico fraseggio
vocalizzante dellautore.] - B.A.
MARTIN KLAPPER /
MARTIN KÜCHEN - IRREGULAR (2003)
ERIC KLOSS - IN
THE LAND OF THE GIANTS (1969)
ERIC KLOSS - TO
HEAR IS TO SEE! (1969)

ERIC
KLOSS - CONSCIOUSNESS!
(1970) 
Cieco
dalla nascita, nel biennio 1969/1970 Eric Kloss
approdava già al traguardo del decimo album a proprio
nome e tuttavia, registrando To Hear Is To See! e Consciousness!
insieme alla band perfetta*, egli conquista
dimperio anche un posto nella storia del jazz.
To Hear Is To See! - Ammiratore di Frank Zappa, sensibile al fascino
del rock, teorico della
commistione tra generi, sotto uninsegna che è
anche uno slogan personale (udire è vedere) Kloss si
avvale del contributo di alcuni reduci dalle sedute di In A Silent Way (Chick
Corea, Dave
Holland) che, dopo pochi mesi, avrebbero partecipato
anche a quelle di Bitches Brew (con Jack
DeJohnette)
duttile e ingegnoso con alto e
tenore, sullesposizione dei tre temi principali - The
Kingdom Within, Stone Groove, Cynara -
il sassofonista si sovraincide per creare leffetto
di una prima linea a due ance; la mescolanza tra le
espressive voci strumentali del leader e il retrogusto
acido del piano elettrico di Corea alimenta con efficacia
i pur datati groove di To
Hear Is To See e Children Of The Morning, a
loro volta concepiti secondo criteri estetici allora in
voga.
Consciousness! - Al combo si aggrega Pat
Martino, la cui chitarra dal timbro allucinogeno
completa la tavolozza sonora a disposizione di Kloss. Il potenziale del quintetto si dispiega
così pienamente su Kay, Outward Wisdom, Consciousness,
dando vita anche qui a un trittico che ha miracolosamente
retto al trascorrere del tempo: solidissimo il puntello
armonico che Holland applica agli arrangiamenti col suo
contrabbasso, inesauribile linventiva ritmica di
DeJohnette, già allora tra i massimi riformatori della
batteria, eccezionale labilità con cui Corea cuce
insieme i vari frammenti delle composizioni, tutte da
gustare le affinità e le divergenze tra loriginale
e la versione della title-track che lo stesso Martino
offrirà nel suo gioiello omonimo del 1974 (Consciousness). Le
magnifiche riletture di Sunshine Superman (Donovan)
e Songs To Aging Children (Joni
Mitchell) rendono omaggio a cantautori popolari
allepoca, ma i cui rispettivi repertori
risulteranno, in seguito, diversissimi per successo,
spessore, longevità. [P.S. - *Opportunamente
ripubblicati nel 1993 in un singolo CD contenente
entrambi i dischi, purtroppo ormai introvabile
una
breve ricerca su Internet può comunque aiutarvi a
riascoltare questa musica straordinaria.] - B.A.
ERIC KLOSS - DOORS
(1972)
ERIC KLOSS - ONE,
TWO, FREE (1972)
LEE KONITZ /
LENNIE TRISTANO - SUBCONSCIOUS-LEE (1949)
LEE KONITZ / GERRY
MULLIGAN - KONITZ MEETS MULLIGAN (1953)
LEE KONITZ / WARNE
MARSH - LEE KONITZ WITH WARNE MARSH (1955)

LEE KONITZ - INSIDE
HI-FI (1956) 
LEE KONITZ - THE
REAL LEE KONITZ (1957)
LEE KONITZ - MOTION (1961)

 Prima ancora che lungimirante pioniere in
grado di fondare etichette prestigiose (Impulse!,
CTI)
e reclutare capiscuola indiscussi (John
Coltrane, Antonio
Carlos Jobim), Creed
Taylor era un accorto, sensibile supervisore in grado
di produrre impeccabili album jazz
privi di compromessi e ancorati alla tradizione anche sul
piano formale. Un esempio probante è Motion di Lee Konitz,
opera attraverso cui il fuoriclasse del sax alto, pur
conservando il proprio azzimato ossequio per il rigore
armonico, si cala nel clima ribelle appena instaurato da Ornette
Coleman coi suoi capolavori (The
Shape Of Jazz To Come, Change
Of The Century, This
Is Our Music). Sospinto da una straordinaria
coppia ritmica comprendente Sonny
Dallas ed Elvin
Jones, il leader bilancia lassenza
(pianificata) del pianoforte con un irreprensibile senso
della geometria musicale, mantenendo ogni assolo in
perfetto equilibrio sugli accordi (in realtà,
simulati dal solo contrabbasso). La scaletta
si compone esclusivamente di stagionati evergreen canori
(repertorio prediletto da Konitz), ma i cinque titoli
scelti diventano altrettanti inni allarte
dellimprovvisazione più creativa. Stravolti dalle
interpretazioni del trio, i temi immortali di standard
come I Remember You, All Of Me, Youd
Be So Nice To Come Home To, Ill Remember
April si sublimano in pura materia melodica offerta
allascoltatore curioso ed esigente. - B.A.
LEE KONITZ - THE
LEE KONITZ DUETS (1967) 
Lee Konitz
si prende tutte le libertà del caso per queste
registrazioni in compagnia di colleghi dei più svariati
ambiti stilistici, e la musica è influenzata più dai
modi espressivi del free che
dallaustero rigore delle composizioni estemporanee
realizzate a suo tempo con Lennie Tristano e i suoi
accoliti. Fanno in qualche modo eccezione i due brani che
si giovano del contributo di Jim Hall: Erb, per il
clima di assorta meditazione che lo pervade (non può non
richiamare i duetti del sassofonista di Chicago con Billy
Bauer), e Alphanumeric, come blowin
session conclusiva in cui i timbri straniti della
chitarra e del varitone sembrano preconizzare
la svolta elettrica di Miles Davis. - Michele
Agostini
La clamorosa iniziativa di Lee Konitz
produsse alcune incisioni che testimoniano
lirripetibile vivacità di quella stagione (era
lanno di Sgt. Peppers Lonely Hearts Club
Band). Latmosfera traditional della
dedica a Louis Armstrong (Struttin With Some
Barbecue), resa insieme al trombone di Marshall
Brown, prelude a uninusitata sequela di memorabili
conversazioni a due voci tra Konitz e alcuni illustri
fuoriclasse. I dialoghi coi tenoristi Joe Henderson (You
Dont Know What Love Is) e Richie Kamuca (Tickle
Toe) mettono a confronto, rispettivamente, il virile
approccio hard-bop della costa orientale e lo squisito
idioma del cool californiano. Le cinque splendide Variations
On Alone Together si compongono di un
assolo del leader al sax alto amplificato, di tre duetti
con Elvin Jones (batteria), Karl Berger (vibrafono),
Eddie Gomez (contrabbasso) e di un superbo riepilogo in
quartetto. Paradossalmente, lincontro col
violinista ellingtoniano Ray Nance (Duplexity) è
quanto di più prossimo allavanguardia vera e
propria. Lo swing futuribile di Alphanumeric
chiama a raccolta lintero collettivo della storica
seduta, compresi Jim Hall (chitarra) e Dick Katz (piano).
- B.A.
LEE KONITZ /
MARTIAL SOLAL - EUROPEAN EPISODE (1968)
LEE KONITZ /
MARTIAL SOLAL - IMPRESSIVE ROME (1968)
LEE KONITZ / RED
MITCHELL - I CONCENTRATE ON YOU (1974)
LEE KONITZ - LONE-LEE
(1974)
LEE KONITZ - SATORI
(1974)
LEE KONITZ / WARNE
MARSH - LEE KONITZ MEETS WARNE MARSH
AGAIN (1976)
LEE KONITZ / WARNE
MARSH - THE LONDON CONCERT
(1976)
LEE KONITZ /
MARTIAL SOLAL - DUPLICITY (1977)
LEE KONITZ - IDEAL
SCENE (1986)
LEE KONITZ - THE
NEW YORK ALBUM (1987)
LEE KONITZ &
AXIS STRING QUARTET - PLAY FRENCH
IMPRESSIONIST MUSIC FROM THE 20th CENTURY (2000)
JOACHIM KÜHN
- NIGHTLINE NEW YORK
(1981) 
Con le sue memorabili
sortite nella musica pop (James Taylor, Phoebe Snow,
Rupert Holmes, Kenny Loggins, Donald Fagen, Michael
Franks etc.), la sua austera dottrina fusion
e la sua irreprensibile condotta artistica, Michael
Brecker ha avvicinato unintera generazione al jazz, senza mai regredire al ruolo
ambiguo di divulgatore. Assurto alla fama
internazionale dopo la partecipazione a Three Quartets di
Chick Corea e prossimo ad essere arruolato da Pat Metheny
per il capolavoro 80/81,
Brecker guidava il rilancio del suono acustico in pieno
pandemonio 'new wave'. Nella sua immensa discografia,
questa seduta con Joachim Kühn rimane una delle più
ispirate: il pianista di Lipsia, girovago irrequieto e
virtuoso fenomenale, dopo un lungo pellegrinaggio tra
Praga, Varsavia, Parigi, San Francisco e Los Angeles, nel
1981 incrocia Brecker proprio a New York. Con una sezione
ritmica straordinaria - Billy Hart (batteria), Eddie
Gomez (contrabbasso) - e lappoggio esterno di un
quinto elemento - Mark Nauseef o Bob Mintzer - il
quartetto era pronto a interpretare le angolose
composizioni di Kühn. Yvonne Takes A Bath scatena
la foga dei solisti che, con i loro fraseggi incendiari,
evocano gli epici duelli tra Coltrane e Tyner. Avvolte da
sinuose spire melodiche e carezzate dalle tintinnanti
percussioni di Nauseef, le due ballad (April In New
York; Yvonne) esaltano il sax passionale di
Brecker e il turgido tocco di Kühn. Su Nightline
e Rubber Boots infuria unordalia di assoli,
enfatizzata dal secondo tenore (Mintzer) e
dallimpellente clima espressivo di quegli anni bui
(Reagan, Thatcher, C.A.F.). Un album raro e prezioso. - B.A.
STEVE KUHN - ECSTASY
(1974)
STEVE KUHN - MOTILITY
(1977)
STEVE KUHN - NON-FICTION
(1978)
STEVE KUHN - SEASONS
OF ROMANCE (1995)
STEVE KUHN - MOSTLY
COLTRANE (2009)
STEVE KUHN - THE
BEST THINGS (2000)

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