 JAZZ
DAVE SANTORO - STANDARDS
BAND (1999)
DAVE SANTORO - STANDARDS
BAND II (2000)
DIETER SCHERF - INSIDE-OUTSIDE
REFLECTIONS (1974)
GIANCARLO SCHIAFFINI - ABOUT
MONK (1992) 
Anche più dello
stesso From G To G di Gianluigi Trovesi
(cinque stelle su Down
Beat) o dellacclamato Urban Shout dei Nexus,
entrambi presenti a queste sedute, About Monk di Giancarlo
Schiaffini è uno dei capolavori del moderno jazz italiano e, dunque, mondiale.
Nel 1992 la benemerita Pentaflowers offre
a Schiaffini - dottore in biofisica, esperto gourmet,
apprezzato virtuoso del trombone, nonché collaboratore
di maestri dellavanguardia come John Cage
e Luigi Nono -
loccasione per incidere uno dei suoi rari, preziosi
album da titolare. Detto fatto, egli recluta una
formazione impressionante, sistemando la rinomata coppia Tiziano Tononi
(batteria) e Daniele
Cavallanti (sax tenore) accanto a solisti prestigiosi
come lo stesso Gianluigi
Trovesi (sax alto, clarinetti), Eugenio
Colombo (sax soprano, flauto), Rudy Migliardi (tuba),
Pasquale
Innarella (corno
francese), Piero Leveratto (contrabbasso), Fulvio
Maras (percussioni). Lassemblaggio delle voci
strumentali denota gusto e sagacia in egual misura. Il
riferimento a Thelonius
Monk mira a evocare lo spirito del grande pianista,
più che a interpretarne le composizioni, in effetti
tutte firmate da Schiaffini. E tuttavia, leggendo fra le
righe, almeno a nostro parere viene fuori che dietro Per
Nulla Chiaro potrebbe esserci il tema sghembo di Misterioso,
mentre senza dubbio Round Twilight, Mercoledì
17, Ottusangoli e NDK (Nica
De Koenigwarter) citano, rispettivamente, Round
Midnight, Friday The 13th, Brilliant
Corners e Pannonica. Lasciamo
allascoltatore il piacere di scoprire altri indizi
più o meno occulti. Con improvvisatori di questo calibro
tutti gli assoli, inevitabilmente, sono degni di nota. In
particolare, segnaliamo la fuga di Trovesi sul tempo in
4/4 di Potenza dellAnacoluto (sax) e il suo
fraseggio dal retrogusto levantino su Blookan
(clarinetto), il virile impeto di Cavallanti su Ottusangoli,
la dolente processione polifonica di Interballad,
gli effetti sonori in stile giungla di Indigo
Owl e Trocheo Reale. Ovunque, gli impeccabili
interventi e la salda direzione di Schiaffini mantengono
costantemente alto il livello dellattenzione. - B.A.
GIANCARLO
SCHIAFFINI / PETER FRAIZE TRIO - DECONSTRUCTION!
(2000)
LOUIS SCLAVIS /
DOMINIQUE PIFARÉLY
- ACOUSTIC QUARTET (1993)
JOHN SCOFIELD - JOHN
SCOFIELD (EAST MEETS WEST) (1977)
JOHN SCOFIELD - ROUGH
HOUSE (1978)
SOLAL / SCOFIELD /
KONITZ / ØRSTED PEDERSEN - FOUR
KEYS (1979)
JOHN SCOFIELD - BAR
TALK (1980)
JOHN SCOFIELD - OUT
LIKE A LIGHT (1981)
JOHN SCOFIELD - SHINOLA
(1981)
JOHN SCOFIELD - TIME
ON MY HANDS (1989) 
JOHN SCOFIELD
- MEANT TO BE
(1990) 
JOHN SCOFIELD
- WHAT WE DO
(1992) 
 Roba seria. Gente con le palle. Niente
trucchi. Musica di sostanza. E, in una discografia di
valore assoluto, i due album più belli di John Scofield.
Nel corso degli anni, il quartetto senza piano diventerà
un tramite ideale per il linguaggio fluido e
imprevedibile del nostro, intento a dialogare, di volta
in volta, con un sax (Joe
Henderson*, Chris Potter,
Michael Brecker§)
o unaltra chitarra [Bill Frisell (Grace
Under Pressure), Pat
Metheny (I Can See Your
House From Here).
Meant To Be - Collaudata con successo quella
formula e stabilita unintesa subliminale con Joe Lovano sullo
splendido Time On My Hands, Scofield convoca
ancora il grande tenorista italo-americano per
approfondire il discorso. Sostituire la coppia motrice di
quel CD - Charlie
Haden, Jack
DeJohnette - appariva quasi impossibile: Marc Johnson
(contrabbasso) e Bill Stewart (batteria) sopravvivono al
cimento, luno forte dellesperienza maturata
alla corte di Bill Evans
e Stan
Getz, laltro sfoggiando una sensibilità
ritmica che gli è valsa la stima di prestigiosi
capiscuola. Le composizioni sono tutte del leader: rapide
pennellate melodiche su cui i solisti improvvisano
graduando nuance e idee pressoché inesauribili. Il
livello dei fraseggi è elevato e omogeneo sia sui pezzi
più sostenuti (Big Fan; Go Blow; Eisenhower;
Some Nerve) che sui tempi medi (Chariots; The
Guinness Spot) e lenti (Keep Me In Mind; French
Flics; Meant To Be). Potenza della
suggestione, Mr. Coleman To You sembra una pagina
strappata al catalogo Atlantic
di Ornette, mentre il sinistro tema di Lost In Space
evoca limmagine di un astronauta perso nello spazio
siderale. Dopo Steve
Swallow (Still Warm)
e Peter Erskine
(Time On My Hands), alla produzione si avvicenda
un altro nome eccellente - Don
Grolnick - a conferma del credito di cui Scofield
gode nella comunità jazz.
What We Do - Il successo (artistico) di Meant
To Be induce la Blue
Note a richiamare la formazione per ulteriori sedute.
Tuttavia, forse a causa di agende inconciliabili, Dennis
Irwin subentra a Marc Johnson. Con ¾ dello stesso
personale, What We Do è da considerarsi, a tutti
gli effetti, la seconda fase di un unico progetto. Se
possibile, laffiatamento tra Scofield e Lovano
cresce ancora. Si parte in punta di piedi con la
passeggiatina di Little Walk, il cui incedere
tranquillo serve a sgranchire le dita delluno e a
rompere il fiato dellaltro. Su Camp
Out assistiamo al decollo verticale di chitarra e
sax, con la straordinaria chase finale in cui
i reciproci interventi si accorciano gradualmente fino a
sovrapporre le voci dei due protagonisti: spettacolare!
Anche in questa occasione Scofield si conferma autore
eclettico e ispirato: se dallorecchiabile refrain
di Big Sky affiorano le sue radici rhythm
n blues, Easy For You ribadisce
una squisita dimestichezza con i criteri formali della
ballad. Le fughe swing di Call 911, Say The
Word e What They Did allestiscono il contesto
più idoneo a esaltare gli incandescenti assoli della
semi-acustica Ibanez
e del tenore Borgani
(lanticonformismo traspare anche dalla scelta di
strumenti alternativi ai convenzionali Gibson e Selmer). Fin dal titolo,
Imaginary Time evoca una qualche dimensione
misteriosa o imperscrutabile, falsariga melodica
ricorrente nelle pagine scritte da Scofield. [P.S. - *So
Near, So Far (Joe Henderson), Unspoken
(Chris Potter), §Now (John Patitucci)]
- B.A.
JOHN SCOFIELD - GRACE
UNDER PRESSURE (1991)
JOHN SCOFIELD - HAND
JIVE (1993)
JOHN SCOFIELD
& PAT METHENY - I CAN SEE
YOUR HOUSE FROM HERE
(1993) 
Dispiace ricordarlo,
ma anche la critica più autorevole liquidò con
sufficienza limpresa discografica del 1994,
archiviandola sbrigativamente nella pattumiera delle
occasioni mancate. In realtà, il clamoroso summit tra Pat Metheny e John Scofield, al
di là di un ovvio valore simbolico, produsse
ragguardevoli, duraturi, sostanziosi contenuti musicali.
Grazie allaccorta regia di Lee Townsend, il
progetto parte subito bene, con la sezione ritmica
affidata a Steve Swallow (basso) e Bill Stewart
(batteria), la stessa coppia che Scofield impiegherà
sullo splendido EnRoute. Linterplay tra
solisti e accompagnatori è sublime: laggressivo
stile blues-bop-funk di Scofield ispira I Can See Your
House From Here, Everybodys Party e One
Way To Be, legandosi spontaneamente
allimpareggiabile senso melodico di Metheny su Message
To My Friend e Say The Brothers Name,
due ballad degne della sua stagione ECM. Entrambi i
leader alternano i rispettivi strumenti elettrici (Ibanez
AS200; Gibson ES-175; Roland GR300) alle chitarre
acustiche, tingendo gli arrangiamenti di innumerevoli
nuance sonore. A conferma di un istintivo temperamento di
improvvisatori, Pat e John si esaltano luno nei
pezzi dellaltro: Metheny su No Matter What e
No Way Jose, Scofield su S.C.O. e Quiet
Rising. Apponendo il proprio sigillo allevento,
la Blue Note
continua a scrivere la storia del jazz.
- B.A.
JOHN SCOFIELD - GROOVE
ELATION! (1995)
JOHN SCOFIELD - QUIET
(1996)
JOHN SCOFIELD
- A GO GO (1998)
Poter raccontare ai
figli di aver suonato con Miles Davis. Aver contribuito
alla resurrezione artistica e al rilancio commerciale
della Blue Note.
Esibire un catalogo che annovera gioielli come Still Warm, Time
On My Hands, Meant To
Be, Grace Under Pressure, What We Do, I Can See Your House From Here,
EnRoute. Appartenere al corpo dèlite che
salvò il mondo dagli anni Ottanta (Pat Metheny, John
Abercrombie, Ralph
Towner, Steve
Khan, Joe Lovano,
Bennie Wallace,
Jerry Bergonzi).
Per John Scofield
non era ancora abbastanza. E dunque, appena trasferito
alla Verve, dopo linteressante Quiet, il
chitarrista registra un altro disco memorabile. La scelta
dellorganico si rivela ispirata e decisiva, eppure
chi cavolo sono Medeski, Martin & Wood?
Scofield aveva sentito parlare di un dinamico trio che,
proponendo un pot-pourri strumentale di jazz, funk e rhythm n
blues, stava spopolando nei campus universitari:
lidea di una collaborazione si concretizza sotto
laccorta regia di Lee Townsend. Sintonizzati
telepaticamente grazie alle comuni radici stilistiche, il
veterano fusion e i tre giovani
improvvisatori creano una musica che fa scintille
dappertutto: impianto a valvole, cuffia hi-fi, autoradio
esoterica, party fichetto. I fraseggi di Scofield e
Medeski affiorano dal denso amalgama tra sezione ritmica
[Martin (batteria); Wood (basso elettrico, contrabbasso)]
e splendidi suoni vintage (semi-acustica Ibanez, piano
Wurlitzer, organo Hammond), per poi inabissarsi ancora
nel vortice gorgogliante del groove. Tra
titoli inequivocabili come A Go Go, Chank, Boozer,
Southern Pacific, Hottentot, Chicken Dog,
Jeep On 35 cè solo limbarazzo della
scelta. Straordinaria la dedica a Stanley Kubrick (Kubrick):
due minuti di pura atmosfera che ai cinefili
ricorderanno, secondo le rispettive sensibilità, la
brama perversa di Humbert Humbert (Lolita), la
rieducazione coatta di Alex DeLarge (A Clockwork
Orange), la lenta agonia di HAL 9000 (2001: A
Space Odyssey), il cruento delirio di Gomer
Pyle/Palla di Lardo (Full Metal Jacket).
Raccomandabile anche il secondo capitolo (Out Louder),
pubblicato dallo stesso quartetto nel 2006. - B.A.
JOHN SCOFIELD - BUMP
(2000)
JOHN SCOFIELD - WORKS
FOR ME (2001)
JOHN SCOFIELD -
ÜBERJAM (2002)
JOHN SCOFIELD -
UP ALL NIGHT (2003)
JOHN SCOFIELD -
EnROUTE (2003) 
SCOFIELD / LOVANO
/ HOLLAND / FOSTER - OH!
(2003)
SCOFIELD, MEDESKI,
MARTIN & WOOD - OUT
LOUDER (2006)
JOHN SCOFIELD -
THIS MEETS THAT (2007)
JOHN SCOFIELD /
VINCE MENDOZA - 54
(2010)
JOHN SCOFIELD - A
MOMENTS PEACE (2011)
JOHN SCOFIELD - ÜBERJAM
DEUX (2013)
SCOFIELD, MEDESKI, MARTIN & WOOD - JUICE
(2014)
JOHN SCOFIELD - PAST
PRESENT (2015)
JOHN SCOFIELD - COUNTRY
FOR OLD MEN (2016)
SCOFIELD /
DeJOHNETTE / MEDESKI / GRENADIER - HUDSON
(2017)
JOHN SCOFIELD - COMBO
66 (2018)
JOHN SCOFIELD - SWALLOW
TALES (2020) 
BUD SHANK - THE
BUD SHANK QUARTET (1956)
BUD SHANK - BUD
SHANK QUARTET FEATURING CLAUDE WILLIAMSON (1956)
BUD SHANK - BUD
SHANK PLAYS TENOR (1957)
BUD SHANK / BILL
PERKINS - BUD SHANK / BILL PERKINS
(1955/1958)
BUD SHANK - NEW
GROOVE (1961)
BUD SHANK - THE
PACIFIC JAZZ BUD SHANK STUDIO SESSIONS
(1956-61)
WOODY SHAW - BLACKSTONE
LEGACY (1970)
WOODY SHAW - SONG
OF SONGS (1972)
WOODY SHAW - THE
MOONTRANE (1974)

 Pepper Adams, Al Cohn, Phil Woods, Mark
Murphy: sono solo alcuni dei fuoriclasse che, rimasti in
braghe di tela negli anni '70 ed emarginati
dallavvento del rock,
continuarono a registrare la propria musica grazie
alletichetta indipendente di Joe Fields. In
particolare, sotto le benemerite insegne della Muse,
Woody Shaw
compilò il suo manifesto estetico, intitolato a una
composizione - tra le più belle della storia del jazz - che il trombettista aveva
inciso per la prima volta insieme a Larry
Young nel 1965 (Unity).
Adottando una formula strumentale prediletta ed
efficiente (tromba, trombone, sax tenore/soprano, sezione
ritmica, percussioni), Shaw ripropone il meraviglioso
tema di The Moontrane valorizzandone le sontuose
armonie in un sublime amalgama di ricercatezza e
comunicativa. Assistito da
improvvisatori del calibro di Azar
Lawrence e Steve
Turre, con Onaje
Allan Gumbs al pianoforte (acustico/elettrico), Victor
Lewis alla batteria, Guilherme
Franco alle rifiniture e Cecil
McBee o Buster
Williams che si alternano al contrabbasso, il leader
cavalca gli arrangiamenti con gagliarda autorevolezza,
sparando raffiche di assoli al fulmicotone e issando
lidioma hard-bop
al suo stadio evolutivo più avanzato. Ciascun membro
della prima linea partecipa alla scaletta con una propria
composizione: gli aromi latini di Sanyas (Turre),
la foga strumentale di Tapscotts Blues
(Lawrence), il fascino onirico di Are They Only
Dreams? (Gumbs). Woody torna protagonista con la
splendida melodia di Katrina Ballerina, di cui
offrirà una versione più sofisticata (e migliore) sul
magnifico United.
Lalbum fu dapprima ristampato su CD dalla 32 Jazz,
per poi essere incluso nel prezioso cofanetto Mosaic The
Complete Muse Sessions. - B.A.
WOODY SHAW - LITTLE
REDS FANTASY (1976)
WOODY SHAW /
ANTHONY BRAXTON - THE IRON MEN (1977)
Due integerrimi
fuoriclasse degli anni Settanta si alleano per tributare
un omaggio (sottinteso) a Eric
Dolphy, comune modello di riferimento.
Linfluenza esercitata del fiatista californiano su
entrambi consiste, rispettivamente, nellingaggio di
Woody Shaw per le
sedute prodotte da Alan
Douglas nel 1963 (Conversations; Iron Man),
e nel debito espressivo contratto da Anthony
Braxton verso quel tipico fraseggio
parlato. A capo di un superlativo sestetto
che annovera Arthur
Blythe (sax alto), Muhal
Richard Abrams (pianoforte), Cecil
McBee (contrabbasso), Joe
Chambers e Victor
Lewis (batteria), Shaw e Braxton celebrano i fasti
della più creativa stagione del jazz
col diligente recupero di Iron Man e Jittergbug
Waltz dai suddetti album: le acrobazie dello
sfortunato trombettista e gli assoli
dellintellettuale afro-americano squassano la
disciplina degli arrangiamenti, mantenendone lo sviluppo
in bilico tra isteria e controllo. Laltra
interpretazione di rilevo è Symmetry, intricata
partitura ripresa da uno dei capolavori Blue Note di Andrew
Hill (Andrew!!!),
in cui Abrams plasma il proprio intervento ispirandosi
allo spigoloso stile dellautore. - B.A.
WOODY SHAW - LIVE
VOLUME ONE / TWO / THREE / FOUR (1977)
WOODY SHAW - THE
COMPLETE CBS STUDIO
RECORDINGS OF WOODY SHAW (1977/1981)

WOODY
SHAW - ROSEWOOD (1977)

WOODY SHAW - WOODY
III (1979)
WOODY SHAW - FOR
SURE! (1979/1980)
WOODY SHAW - UNITED
(1981)
Come racconta Michael
Cuscuna, curatore delle ristampe Blue Note, guru della
Mosaic,
responsabile editoriale di questo prezioso cofanetto ed
estensore dellaustero booklet incluso, Woody Shaw raggiunse
la maturità artistica nel momento sbagliato. Alla fine
degli anni Settanta, infatti, il jazz era ormai ridotto a
un organismo in putrefazione e se oggi la sacra fiamma
arde ancora lo dobbiamo a incorruttibili templari come Phil
Woods e Woody
Shaw. Deciso a non salire sul traballante carrozzone fusion, ma non abbastanza fortunato
da incidere per la ECM,
Shaw strappò un contratto alla CBS grazie a una
raccomandazione del produttore Bruce Lundvall. Lo scarso
interesse delletichetta per quellinvestimento
esiguo consentì a Woody unampia libertà
espressiva. Da creativo autentico, egli seppe
trarre profitto anche dai pochi soldi disponibili,
organizzando prima folti organici strumentali per gli
ambiziosi Rosewood, Woody III e For
Sure!, poi un superlativo quintetto/sestetto di
virtuosi per lo splendido United. Il suo
linguaggio armonicamente evoluto, stilisticamente moderno
e tecnicamente complesso era il risultato di un duro
tirocinio alla corte di maestri come Eric Dolphy (Iron
Man), Horace Silver (The Cape Verdean Blues) e
Larry Young (Unity).
Una sezione fiati a nove voci viene impiegata per
elaborare gli arrangiamenti di The Legend Of Cheops,
Rosewood e Sunshowers (Rosewood):
lungo gli spaziosi corridoi del pentagramma si susseguono
le spericolate fughe del leader rincorso da Joe Henderson
(tenore) e Carter Jefferson (soprano).  Le due ballad
propongono letture assai diverse della medesima formula
musicale: luso del piano elettrico su Everytime
I See You è chiaramente ispirato al sound della
scuola CTI,
allora in auge; allopposto, una sobria dimensione
acustica esalta il profilo melodico di Theme For
Maxine. Spinta ad alta velocità dalla batteria di
Victor Lewis, Rahsaans Run è una sentita
dedica a Roland Kirk che verrà ripresa più volte dal
leader, sia dal vivo che in studio: superbi gli
interventi del trombettista e degli altri solisti.
Lambiziosa suite in tre movimenti di Woody III
celebra lenergia vitale della famiglia,
rappresentata in copertina da altrettante generazioni di
Shaw (patriarca, figlio, nipote). Laspro sax alto
di James Spaulding balena lungo le iridescenti polifonie
della trilogia, per poi lottare a colpi di assoli
sullaffollato ring di To Kill A Brick. La
splendida esecuzione in quartetto di Organ Grinder,
scritta in memoria del compianto Larry Young, è
contraddistinta da un ambiguo riff esposto
allunisono dal contrabbasso (Buster Williams) e
dalle note gravi del pianoforte (George Cables). Più
disorganico a causa delle ridondanti parti cantate da
Judi Singh (Time Is Right; Why) For
Sure! trova i suoi momenti migliori nel clima
amazzonico di Isabel The Liberator e nel raffinato
mainstream di Ginseng People e OPEC.
Alla fine del 1979 era entrato in formazione il
formidabile Stafford James (contrabbasso) che, insieme al
giovane Tony Reedus (batteria) e al fenomeno Mulgrew
Miller (piano), formerà larchitrave ritmico di United
e, lanno dopo, delleccellente Lotus Flower
(Enja). Linedita front-line a due ottoni si
giova della vulcanica inventiva di Steve Turre
(trombone). Le doti del combo brillano soprattutto su
quattro episodi: un geniale tema di Wayne Shorter (United)
risalente alla militanza dellautore nei Jazz
Messengers, un astratto collage metrico (Pressing The
Issue) firmato da Miller, un incantevole valzer (Katrina
Ballerina) già inciso da Woody sul classico The
Moontrane, unelegante variazione
sullimmortale partitura di On Green Dolphin
Street (The Greene Street Caper), in cui la
sordina evoca lo spirito di Miles Davis. Gli ultimi anni
di Shaw saranno segnati da eventi drammatici, culminanti
nel tragico incidente che lo porterà alla morte. Per chi
avrà la gioia di ascoltarla, rimane la sua tromba. Non
è poco. - B.A.
WOODY SHAW - LOTUS
FLOWER (1982) 
WOODY SHAW -
TIME IS RIGHT (1983)
Quando londata elettrica degli anni '70
travolse anche il jazz, il quintetto di Woody Shaw (insieme alla band di Phil Woods) tenne alto il
vessillo del suono acustico con alcuni album che accanto
a un'avanzatissima concezione musicale conservavano
unimmacolata integrità artistica. Nel gruppo
militavano i più creativi stilisti afro-americani del
momento: la futura superstar del piano Mulgrew Miller,
Steve Turre al trombone, Tony Reedus alla batteria, e uno
dei più grandi contrabbassisti moderni, Stafford James.
Questa eccellente registrazione live offre lo spunto per
andare a riscoprire anche gli altri gioielli discografici
di una splendida e sottovalutata formazione. - B.A.
WOODY SHAW / TONE JANA
- WOODY SHAW WITH TONE
JANA QUARTET (1985)
WOODY SHAW /
TONE JANA - Dr. CHI
(1986)
 A volte capita di
scovare dischi che dietro una confezione anonima celano
autentici tesori musicali. È il caso di questa gemma del
catalogo Timeless: il titolare
è Woody Shaw, ma autore e arrangiatore di tutto il
materiale è il sassofonista Tone Jana, leader del
formidabile quartetto europeo che affianca il
trombettista americano: Renato Chicco (piano), Peter
Herbert (contrabbasso) e Dragan Gajic (batteria),
sensibile interprete di una scansione ritmica costruita
sui piatti. Il primo indizio incoraggiante è
lassenza di standard, espediente tipico della blowin
session frettolosa. I brani originali di Jana
offrono perlopiù brevi spunti tematici, semplici tracce
modali finalizzate a creare un percorso ciclico per le
fughe dei solisti: dotato di una sonorità che alterna
limpidezza e raucedine, capace di un fraseggio
torrenziale, a tratti grufolante, Jana è un
autentico tornado al tenore e al soprano. Di Shaw
sappiamo già tutto. Aggiungiamo solo che questo album è
al livello dei suoi capolavori CBS degli anni Settanta. -
B.A.
Lo stesso discorso vale per
leccellente Dr. Chi, inciso lanno dopo
in Jugoslavia. Alexander Deutsch sostituisce Dragan Gajic
alla batteria. - B.A.
WOODY SHAW - THE
COMPLETE MUSE SESSIONS (1965/1987)
WAYNE SHORTER - INTRODUCING
WAYNE SHORTER (1959)
WAYNE SHORTER - SECOND
GENESIS (1960)
WAYNE SHORTER - WAYNING
MOMENTS (1962)
WAYNE SHORTER - NIGHTDREAMER
(1964)
WAYNE SHORTER - JU
JU (1964) 
WAYNE SHORTER
- SPEAK NO EVIL
(1964) 
Ancor prima di
fondare i Weather Report, Wayne Shorter era già stato
discepolo di Art Blakey, delfino di Miles Davis e
titolare di una corposa, straordinaria discografia
personale. In effetti, i suoi temi di bellezza metafisica
e il caratteristico fraseggio ancheggiante del suo tenore
- cardini estetici dei Jazz Messengers e del più evoluto
combo acustico di Davis - si svilupparono proprio negli
album incisi per la Blue
Note. Non è dato sapere se e quanto Miles ascoltò
questa musica, ma le intuizioni presenti su Speak No
Evil diverranno componenti essenziali di capolavori
come E.S.P., Miles Smiles e Nefertiti. Se da un
lato Herbie Hancock, Ron Carter e lo stesso sassofonista
anticipano la genesi del quintetto per eccellenza,
dallaltro Freddie Hubbard si cala con disinvoltura
nel ruolo che di lì a poco verrà requisito dal
divino, mentre Elvin Jones ripristina
laffannoso battito cardiaco delle sedute
coltraniane. Protetti da quei numi tutelari
(Davis/Coltrane), i solisti elaborano le suggestive
melodie di Shorter ispirate a fiabe, leggende e arti
occulte: Witch Hunt, incalzante caccia alle
streghe condotta in un susseguirsi di inquietudine e
frenesia; Dance Cadaverous, che a dispetto del
titolo macabro mette in scena un fascinoso valzer carico
di lirismo; Fee-Fi-Fo-Fum, col piano di Hancock
intriso di funk e la pirotecnica tromba di Hubbard memore
delle collaborazioni con Ornette Coleman (Free Jazz), Oliver
Nelson (The Blues And
The Abstract Truth) ed Eric Dolphy (Out To Lunch!); Speak
No Evil, ossessivo riff modale che scatena una gara
di improvvisazione tra i membri della prima linea
(Shorter, Hubbard, Hancock); Infant Eyes, eterea
ballad da tarda notte, di cui Steve Khan arrangiò una
magistrale versione per chitarra (Evidence); Wild
Flower, acquerello floreale in 6/4, dipinto
accentuando il contrasto tra le tinte accese dei fiati e
le morbide pennellate della batteria. Ignota
lidentità della donna orientale ritratta in
copertina (in assenza di dati certi, preferiamo non
congetturare). - B.A.
WAYNE SHORTER - THE
SOOTHSAYER (1965)
WAYNE SHORTER - ET
CETERA (1965) 
WAYNE SHORTER - THE
ALL SEEING EYE (1965)
WAYNE SHORTER - ADAMS
APPLE (1966) 
WAYNE SHORTER - SCHIZOPHRENIA
(1967)
WAYNE SHORTER - FOOTPRINTS
LIVE! (2002)
HORACE SILVER - HORACE
SILVER & THE JAZZ MESSENGERS (1954)
HORACE SILVER - SIX
PIECES OF SILVER (1956)
HORACE SILVER - FINGER
POPPIN (1958)
HORACE SILVER - BLOWIN
THE BLUES AWAY (1959)
HORACE SILVER - HORACE-SCOPE
(1960)
HORACE SILVER - SONG
FOR MY FATHER (1964)
HORACE SILVER - THE
CAPE VERDEAN BLUES (1965)
HORACE SILVER - IN
PURSUIT OF THE 27th
MAN (1972)
HORACE SILVER - SILVER
N BRASS (1975)
HORACE SILVER - SILVER
N WOOD (1976)
HORACE SILVER - SILVER
N PERCUSSION (1976)
ZOOT SIMS - DOWN
HOME (1960)
ZOOT SIMS - ZOOT
AT EASE (1973)
ZOOT SIMS - ZOOT
SIMS PARTY (1974)
SIX SAX - HOMENAJE
STEVE SLAGLE - OUR
SOUND! (1995)
JIMMY SMITH - HOUSE
PARTY (1957)
JIMMY SMITH - THE
SERMON! (1958)
JIMMY SMITH - MIDNIGHT
SPECIAL (1960)
JOHNNY SMITH - MOONLIGHT
IN VERMONT (1953)
MARVIN SMITTY
SMITH - KEEPER OF THE DRUMS
(1987)
MARVIN SMITTY
SMITH - THE
ROAD LESS TRAVELED (1989)
 Modello
di riferimento è il miglior Art Blakey,
quello che registrò per Blue Note e Riverside
(Buhainas Delight, Mosaic,
Caravan, Free For All, Indesctructible),
ma anche quello della maturità artistica trascorsa in
Europa (Album Of The Year).
Rispetto allinarrivabile archetipo, Marvin
Smitty Smith si giova dei progressi hi-fi
garantiti dalla Concord
e adotta una sezione fiati a quattro voci invece che a
tre, affidate su entrambe le session ai fuoriclasse Wallace Roney
(tromba), Robin
Eubanks (trombone), Steve
Coleman (sax alto), Ralph
Moore (sax tenore). La ricetta è semplice ma sempre
appetitosa: jazz ad alto tasso
calorico, spunti melodici concisi ma efficaci, fraseggi
degni dei maestri a cui si ispirano i vari solisti, pari
attenzione per forma e sostanza. I momenti più eccitanti
sono quelli in cui limmane potenza della batteria
alimenta gli unisoni di ance e ottoni (Just Have Fun,
The Creeper, Miss Ann, The Neighborhood,
Concerto In B.G.), creando un colossale volume sonoro
e una travolgente forza cinetica. In effetti, il
contrassegno stilistico di Smith consiste proprio nel
coniugare la finezza dello swing con lenergia del rock. Lo stupendo arrangiamento di Gothic
17, memorabile pagina post-progressive
di Bill Bruford
(Gradually Going Tornado), dimostra
unapertura mentale non comune, confermando il
valore assoluto del grande batterista inglese e il gusto
sopraffino del collega americano: il nitore della tromba
di Roney esalta la bellezza del tema. Tra un album e
laltro cambia solo il reparto propulsivo e, accanto
a Smitty, si avvicendano Lonnie Plaxico e
Robert Hurst
(contrabbasso), Mulgrew
Miller e James Williams (pianoforte): come è
evidente, tra le due formazioni cè solo
limbarazzo della scelta. [P.S. - Su The Road
Less Traveled è presente anche il percussionista
Kenyatte Abdur-Rahman.] - B.A.
TOMMY SMITH - BLUE
SMITH (2000)
PAUL SMOKER TRIO /
ANTHONY BRAXTON - QB (1984)
GARY SMULYAN - THE
LURE OF BEAUTY (1990)
GARY SMULYAN - HOMAGE
(1991)
GARY SMULYAN - SAXOPHONE
MOSAIC (1993)
GARY SMULYAN - BLUE
SUITE (1999)
GARY SMULYAN - HIDDEN
TREASURES (2006)
GARY SMULYAN - SMULS
PARADISE (2012)
SPONTANEOUS MUSIC
ENSEMBLE - CHALLENGE (1966/1967)
STEPS - SMOKIN
IN THE PIT (1979)
STEPS - STEP
BY STEP (1979)
STEPS - PARADOX
(1980)
BILL STEWART
- THINK BEFORE YOU THINK (1989)
Insieme a Matt Wilson,
Bill Stewart è il più interessante batterista jazz emerso tra la fine del secolo
scorso e gli inizi del nuovo millennio. Applicandosi alla
scienza ritmica in chiave tradizionale, cioè partendo da
una delicata pulsazione swing, entrambi i colleghi di
strumento ne aggiornano la sintassi per assecondare le
riforme espressive proprie e altrui. In particolare,
Stewart si metterà in luce alla corte di John Scofield,
partecipando ad alcuni dei suoi album migliori (Meant To Be; What We Do; EnRoute),
incluso il clamoroso summit con Pat Metheny (I Can See Your House From Here).
Lo stile di Bill è fatto di morbidi, veloci rintocchi su
timpano, rullante e piatto ride, alternati a
improvvisi rimbombi esplosi dalla grancassa. Per
lesordio da leader, egli può già permettersi una
squadra di fuoriclasse [Joe Lovano (sax
tenore), Dave Holland (contrabbasso), Marc Cohen
(pianoforte)], cui affidare lo squisito repertorio
composto di standard antichi e moderni. Think Before
You Think intitola il disco con uno brioso
arrangiamento in trio (senza piano) che, lanno
successivo, ispirerà Lovano per lanalogo,
splendido Sounds Of Joy. Lo stesso sassofonista
porta in dote la vibrante energia di Dewey Said,
già registrata a proprio nome sullo stupendo Village
Rhythm. I due pezzi firmati da Holland (Faces;
Processional) sprigionano una comune, evocativa
atmosfera latina: poche settimane dopo, il bassista
inglese inciderà la versione autografa del
secondo brano, pubblicandola per lECM
sullottimo Extensions.
Lintramontabile esotismo di Little Niles,
classico di Randy Weston, stimola le inesauste,
poliedriche improvvisazioni di Cohen e Lovano. Il
quartetto interpreta gli evergreen in crescendo, passando
dalla formula ballad di Goodbye, al suadente tempo
medio di When Youre Smiling, alla frenesia
hard-bop di Im Getting Sentimental Over You.
- B.A.
BILL STEWART - SNIDE
REMARKS (1995)
BILL STEWART - TELEPATHY
(1997)
GRANT STEWART - DOWNTOWN
SOUNDS (1992)
GRANT STEWART - MORE
URBAN TONES (1995)
GRANT STEWART - GRANT
STEWART + 4 (2004)
STRING TRIO OF NEW
YORK - FIRST STRING (1979)
STRING TRIO OF NEW
YORK - AREA CODE 212 (1980)
STRING TRIO OF NEW
YORK - COMMON GOAL (1981)
STRING TRIO OF NEW
YORK - REBIRTH OF A FEELING (1983)
STRING TRIO OF NEW
YORK - NATURAL BALANCE (1986)
DAVE STRYKER - PASSAGE
(1991)
DAVE STRYKER - BLUE
DEGREES (1992)
DAVE STRYKER - FULL
MOON (1994)
DAVE STRYKER - BIG
ROOM (1996)
DAVE STRYKER - ALL
THE WAY (1997)
JOHN SURMAN /
BARRE PHILLIPS / STU MARTIN - THE
TRIO (1970)
JOHN SURMAN - HOW
MANY CLOUDS CAN YOU SEE? (1970)
JOHN SURMAN / JOHN
WARREN - TALES OF THE ALGONQUIN (1971)
JOHN SURMAN - WESTERING
HOME (1972)
JOHN SURMAN - UPON
REFLECTION (1979)
Quel che sorprende,
ascoltando Upon Reflection, è lolimpica
noncuranza con cui da quasi mezzo secolo Manfred
Eicher asfalta le mode: vivesse pure su un altro
pianeta, egli continuerebbe a produrre la musica che ama
senza curarsi di quel che accade nel resto della galassia
insomma, una personalità forte
Lesordio di John
Surman per lECM è un altro
grande classico delletichetta tedesca. Fin da
subito, il fiatista inglese assurge al gotha
del prestigioso catalogo. Prima di reclutare Surman,
Eicher aveva probabilmente ascoltato e apprezzato il suo Westering
Home, al punto che per il nuovo progetto discografico
gli propose un album da registrare con la stessa formula:
le ance e le tastiere del titolare sovraincise in
completa solitudine. Il fattore ECM - qualità
audio immacolata, lussuosa accuratezza editoriale -
agevolò il successo artistico delloperazione.
Impiegando tre strumenti più uno (sax soprano e
baritono, clarinetto
basso, sintetizzatori) per creare sezioni polifoniche
e trame elettroacustiche, Surman ottiene un seducente,
inedito ibrido espressivo in cui precipitano suggestioni folk (Caithness To Kerry, Prelude
And Rustic Dance), echi accademici (Constellation),
spunti seriali
(Filigree, Following Behind) mai disgiunti
da una rigorosa prassi jazz
fondata sullimprovvisazione. Predilezioni
personali: la sinistra sequenza armonica lacerata dal
baritono su Beyond A Shadow, lo stupendo fraseggio
del clarone
su The Lamplighter, lonirico tema di Edges
Of Illusion, la cui essenza artificiale convive con
gli assoli biologici dei due sax. {P.S. - John Surman aveva
già registrato per lECM, collaborando
con lex-partner (The Trio) Barre
Phillips (Mountainscapes), con Mick
Goodrick [In Pas(s)ing] e, nello stesso mese
delle sedute per Upon Reflection (Maggio 1979),
con Miroslav
Vitous (First Meeting)} - B.A.
JOHN SURMAN - THE
AMAZING ADVENTURES OF SIMON SIMON (1981)
JOHN SURMAN - WITHHOLDONG
PATTERN (1984)
JOHN SURMAN - PRIVATE
CITY (1987)
JOHN SURMAN - ROAD
TO SAINT IVES (1990)
JOHN SURMAN - ADVENTURE
PLAYGROUND (1991)
JOHN SURMAN - STRANGER
THAN FICTION (1993)
JOHN SURMAN - A
BIOGRAPHY OF REV. ABSALOM DAWE (1994)
JOHN SURMAN - FREE
AND EQUAL (2003)
JOHN SURMAN - BREWSTERS
ROOSTER (2006)
STEVE SWALLOW - REAL
BOOK (1993)
Real Book
rade al suolo tutte le fregnacce sulla presunta crisi
del jazz tante volte profetizzata
dagli addetti ai lavori per riempire le
pagine dei loro screditati giornaletti
finché
solisti di questo calibro saranno in grado di cinguettare
e tamburellare così, vorrà dire che il
genere gode ancora di ottima salute. Forte di
un prestigio che gli derivava da composizioni assurte al
rango di standard (Eiderdown) e dalla
partecipazione ad album storici (Fusion,
Thesis, Basra), Steve
Swallow assembla il quintetto perfetto - sicuramente
il migliore possibile nel 1993 - facendosi affiancare da Tom
Harrell, Joe Lovano,
Mulgrew
Miller, Jack
DeJohnette. La prodigiosa sintonia in seno alla
sezione ritmica è galvanizzata dallinnesco
elettrico del basso, a tutto beneficio di una prima linea
che esalta il proprio potenziale su Bite Your
Grandmother e Muddy In The Bank, i due pezzi
più dinamici della scaletta, per poi sprigionare un
seducente aroma latino sul trittico Outfits, Thinking
Out Loud, Lets Eat. Se Better Times
e Ponytail privilegiano il versante cantabile
della penna di Swallow, il blues Second Handy Motion
e la ballad (in quartetto senza Lovano) Wrong Together
colmano, rispettivamente, altrettanti spazi canonici
della tipica blowing session. Willow
è un elegante valzer in trio, ricamato dal leggiadro
tocco di Miller. - B.A.
STEVE SWALLOW - DECONSTRUCTED
(1995)
STEVE SWALLOW - ALWAYS
PACK YOUR UNIFORM ON TOP (1999)
STEVE SWALLOW /
OHAD TALMOR - LHISTOIRE DU
CLOCHARD (2002)
JOHN SWANA - INTRODUCING
JOHN SWANA (1990)
JOHN SWANA -
JOHN SWANA & FRIENDS (1991)
JOHN SWANA - IN
THE MOMENT (1995)
JOHN SWANA - TUG
OF WAR (1998)

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