JAZZ
JOE MAGNARELLI - Mr. MAGS (2000) LANFRANCO MALAGUTI - SOUND INVESTIGATIONS (1987) LANFRANCO MALAGUTI - SYNTHETISMOS (1989) LANFRANCO MALAGUTI - SOMETHING (1989) LANFRANCO MALAGUTI - AZZURRO (1991) LANFRANCO MALAGUTI - PAROLE, PAROLE ... (1992) LANFRANCO MALAGUTI - CAMPO GRANDE (1992) LANFRANCO MALAGUTI - INSIDE MEANING (1993) LANFRANCO MALAGUTI
/ UMBERTO PETRIN - PERCORSI: MICHAEL MANTLER - THE JAZZ COMPOSERS ORCHESTRA (1968) LAWRENCE MARABLE featuring JAMES CLAY - TENORMAN (1956) Album dallintestazione curiosa - il titolare sfocato sullo sfondo, lospite ripreso in primo piano - ma fedele a una formula tradizionale, Tenorman è un piccolo, misconosciuto capolavoro che vale quanto qualsiasi classico di Stan Getz o Sonny Rollins degli anni Cinquanta. Oltre ai due protagonisti ufficiali [Lawrence Marable (batteria), James Clay (sax tenore)], il quartetto schiera Sonny Clark (pianoforte) e Jimmy Bond (contrabbasso), propiziando lincontro tra una sezione ritmica tipicamente cool, un fuoriclasse hard-bop e un mattatore di scuola texana. Il risultato è uno splendido saggio jazz che amalgama le diverse visioni estetiche riconducibili a decisive aree dinfluenza americane (California, New York, Texas mancherebbero solo Kansas City, Chicago e New Orleans). Lesuberante stile espressivo di James Clay, affine a quello del conterraneo Booker Ervin, immette masse di energia sonora negli arrangiamenti, coniugando un timbro nerboruto e chiassoso con fraseggi nitidi e perentori. Tra gli otto brani, tutti eccellenti, segnaliamo a casaccio lindefessa spinta cinetica di Airtight, Minor Meeting e Marbles, la ruvida sensualità delle ballad Easy Living e Lover Man, linfuocato assolo del leader su Three Fingers North. - B.A. RICK MARGITZA - COLOR (1989) RICK MARGITZA - THIS IS NEW (1991) RICK MARGITZA - WORK IT (1994) RICK MARGITZA - HANDS OF TIME (1994) RICK MARGITZA - GAME OF CHANCE (1996) RICK MARGITZA / BERT VAN DEN BRINK - CONVERSATIONS (1999) RICK MARGITZA - HEART OF HEARTS (2000) RICK MARGITZA - MEMENTO (2001) WYNTON MARSALIS - THINK OF ONE (1983) WYNTON MARSALIS - BLACK CODES (FROM THE UNDERGROUND) (1985) WYNTON MARSALIS - J MOOD (1985) Gli amanti della
musica per tromba e sezione ritmica aprano le orecchie:
nel piccolo scrigno in cui custodiamo i classici della
categoria [Quartet (Chet Baker / Russ Freeman), Candy
(Lee Morgan), Portrait
Of Art Farmer (Art Farmer), Live In
Tokyo (Charles Tolliver),
Gnu High (Kenny Wheeler), Ah
(Enrico Rava), Tribute To The Trumpet Masters
(Brian Lynch)]
vanno aggiunti due album stilisticamente analoghi, anche
se diversi per origine, retroterra e fama dei rispettivi
titolari: Flabula
e J Mood. WYNTON MARSALIS - CRESCENT CITY CHRISTMAS CARD (1989) WYNTON MARSALIS - CITI MOVEMENT (1992) WYNTON MARSALIS - LIVE AT THE VILLAGE VANGUARD (1999) WYNTON MARSALIS / LINCOLN CENTER JAZZ ORCHESTRA - A LOVE SUPREME (2003) WYNTON MARSALIS / LINCOLN CENTER JAZZ ORCHESTRA - DONT BE AFRAID ... (2003) WYNTON MARSALIS - THE MAGIC HOUR (2004) WARNE MARSH - LIVE IN HOLLYWOOD (1952) WARNE MARSH - JAZZ OF TWO CITIES (1956) WARNE MARSH - MUSIC FOR PRANCING (1957) WARNE MARSH - RELEASE RECORD - SEND TAPE (1959/1960) WARNE MARSH - JAZZ FROM THE EAST VILLAGE (1960) WARNE MARSH - NE PLUS ULTRA (1969) WARNE MARSH / PETE CHRISTLIEB - APOGEE (1978) A.D. MCMLXXVIII prestate attenzione agli indizi e unite i punti: 1) scoppia la febbre delle balere ma, volendo, lantidoto era disponibile in tempo reale (Pat Metheny Group, Of Queues And Cures, Masques, Another Fine Tune Youve Got Me Into, Out Of The Woods, Arcade etc.); 2) nel caso di un ascoltatore più ostinatamente legato alla tradizione - cool, hard-bop - il soggetto avrebbe comunque potuto ricorrere a questo album recante il nome di Warne Marsh in copertina; 3) lintestazione del disco era condivisa con Pete Christlieb, eroe delle notti dal vivo di Tom Waits (Nighthawks At The Diner), il cui interminabile fraseggio su Deacon Blues degli Steely Dan (Aja) è lequivalente A.O.R. dellassolo di Jimmy Page su Stairway To Heaven [Led Zeppelin (IV)]; 4) dal superbo combo live del cantautore beone proveniva anche Jim Hughart, presente pure su One Step Ahead Of The Blues, memorabile instant classic di Marc Jordan (Mannequin); 5) la scaletta conteneva Rapunzel, composizione scritta dai produttori per caso Walter Becker e Donald Fagen sulla falsariga di un tema di Burt Bacharach (In The Land Of Make Believe), ripresa dieci anni dopo da Joe Roccisano con la Hoops McCann Band (Plays The Music Of Steely Dan); 6) lo stesso Roccisano portava in dote Tenors Of The Time, splendida pagina di jazz moderno poi riletta da Phil Woods e Tom Harrell sullindispensabile Gratitude; 7) aggiungete un tandem di specialisti ispirati come Lou Levy (pianoforte) e Nick Ceroli (batteria) ed ecco che latmosfera in studio coniuga lincontenibile urgenza espressiva di New York con la paciosa rilassatezza della West Coast, generando un flusso ininterrotto di improvvisazioni ad alto tasso di euforia; lintroduzione a cappella di Magna-Tism prelude a un esilarante unisono dei sax tenori, cui segue il duello allancia bianca erede di quelli inscenati in California da Bill Perkins e Richie Kamuca (Just Friends, Tenors Head-On); la firma di Lennie Tristano nobilita 317 E. 32nd, ratificandone linterpretazione offerta dal suo allievo; dato il prestigio della regia, lomaggio a Charlie Parker di Donna Lee evoca inevitabilmente quello appena reso dai due supervisori con Parkers Band (Prezel Logic); in base a usi, costumi, latitudini personali, la magnifica versione dello standard Im Old Fashioned suggerirà luno o laltro ricordo: a noi torna in mente la sublime cover registrata da Cybill Shepherd insieme a Stan Getz (Mad About The Boy) insomma, capito? resistere si poteva [P.S. - Ledizione CD recuperò e incluse tre inediti di pari livello rispetto alla selezione del vinile (Lunarcy, Love Me, How About You?).] - B.A. WARNE MARSH - WARNE OUT (1969) WARNE MARSH / RED MITCHELL - BIG TWO, VOL. 1/2 (1980) WARNE MARSH - I GOT A GOOD ONE FOR YOU (1980) WARNE MARSH - STAR HIGHS (1982) WARNE MARSH - A BALLAD ALBUM (1983) PAT MARTINO - EAST! (1968) PAT MARTINO - DESPERADO (1970) PAT MARTINO - THE VISIT! / FOOTPRINTS (1972) PAT MARTINO - LIVE! (1972) PAT MARTINO - CONSCIOUSNESS (1974) Chi cavolo vi conosce? Che ne sappiamo di voi? Come vivete, che gente frequentate, le vostre abitudini boh e tuttavia, se per caso in cima ai vostri gusti svettassero gli album più squisitamente jazz di John Abercrombie (Timeless, Arcade, Abercrombie Quartet), Pat Metheny (Bright Size Life, 80/81, Rejoicing, Question And Answer), Steve Khan (Eyewitness, Lets Call This, Headline), John Scofield (Time On My Hands, Meant To Be, What We Do, EnRoute), allora dovreste assolutamente procurarvi prima di subito questi tre dischi di Pat Martino niente fronzoli, copertine anonime, immagine dimessa, formazione ridotta allessenziale, travolgenti assoli di taglio boppistico che ripagano lammirazione incondizionata dei succitati fuoriclasse a causa di un aneurisma (1980) e della conseguente, grave amnesia che ne derivò, Pat non approderà in piena efficienza alla stagione fusion, perdendo loccasione di proporre la propria musica alle generazioni rock più curiose e avvedute ad esse, tuttavia, rimane la preziosa eredità degli album incisi per la Muse, di cui la trilogia registrata in quartetto rappresenta lacme espressivo. Se è vero che chi mena per primo mena due volte, partite senza tanti complimenti con louverture di Consciousness, una spaventosa versione di Impressions che illustra allistante la statura artistica di Martino, improvvisatore incontenibile in grado di tradurre con naturalezza sulla chitarra la storica pagina modale di John Coltrane. Un lodevole interesse per lo squisito repertorio di Benny Golson si concretizza nelle interpretazioni di due classici del grande sassofonista/arrangiatore: dallaccattivante melodia di Along Came Betty (Consciousness) Pat estrae con sagacia una suggestiva eco latina, mentre I Remember Clifford (Exit) è riproposta come sofisticata ballad scandita in crescendo. La solida sezione ritmica composta da Tyrone Brown (basso) e Sherman Ferguson (batteria, qualcuno lo ricorderà con i Catalyst), affiancata da Ron Thomas (Live!) ed Eddie Green (Consciousness) al piano elettrico, esalta linventiva del titolare, innescando unavvincente gara di fraseggi che si dipana sugli oltre 17 minuti di Special Door, sulle lunghe divagazioni strumentali di The Great Stream e Consciousness, sulle sferzanti scosse elettriche di On The Stairs. Su Exit il combo cambia per ¾, schierando Gil Goldstein (pianoforte / piano elettrico), Richard Davis (contrabbasso), Billy Hart (batteria) a beneficio di una nuova ma coerente rielaborazione stilistica di venerati standard [Blue Bossa (Kenny Dorham), Come Sunday (Duke Ellington)], colonne sonore memorabili [Days Of Wine And Roses (Henry Mancini)], pregevoli temi autografi (Exit, Three Base Hit). Un trittico indispensabile in qualsiasi collezione seria. - B.A. PAT MARTINO - STARBRIGHT (1976) PAT MARTINO - JOYOUS LAKE (1976) Dai preziosi archivi in bianco e nero degli
anni Settanta affiorano due gioielli sepolti,
reciprocamente analoghi per formula strumentale,
retroterra inteso in senso lato (il jazz
del decennio precedente), singolare simmetria dei ruoli
di rinomato titolare (Tony
Williams / Pat
Martino) e comprimario principale (Allan
Holdsworth / Kenwood
Dennard): i collezionisti affetti da trauma
radiofonico trarranno sicuro giovamento dallascolto
regolare di Believe It
e Joyous Lake. PAT MARTINO - WELL BE TOGETHER AGAIN (1976) PAT MARTINO - THINK TANK (2003) Il cast produttivo schierato dalla Blue Note (Joseph Donofrio, Eli Wolf, Gordon H. Jee, Perry Greefield etc.) lasciava già intendere le serie intenzioni delletichetta: bisognava raccontare alle giovani generazioni chi fosse Pat Martino e perché Steve Khan, Pat Metheny, John Scofield e altri fuoriclasse della semiacustica lo considerassero un venerabile maestro. La prodigiosa riabilitazione cui si sottopose a seguito dellaneurisma (1980) ce lo riconsegna in piena efficienza creativa e in grado di misurarsi con la stratosferica band assemblata per loccasione: un classico quintetto hard-bop comprendente Joe Lovano, Gonzalo Rubalcaba, Christian McBride, Lewis Nash, in cui il tradizionale ruolo della tromba è svolto dalla sei corde del leader. Lesito artistico del progetto si configura in un album ideale per quel tipo di ascoltatore/collezionista che ama la sostanza, ricerca la qualità, schiva la retorica. Il fantasma di John Coltrane - nume tutelare di chiunque improvvisi con uno strumento - aleggia su tre episodi decisivi della scaletta: a) The Phineas Trane, esplicita dedica scritta da Harold Mabern e condotta dai fraseggi mozzafiato di Martino, Lovano, Rubalcaba; b) Think Tank, contorto blues alimentato da unossessiva pulsazione modale tipica di tante performance del maestro di Hamlet; c) Africa, storica pagina Impulse! (Africa Brass) di cui il combo pentagonale filtra e riassume loriginario, solenne arrangiamento per sezione fiati. I battiti al cardiopalma di Dozen Down ed Earthlings esaltano la mirabile simbiosi tra le sinusoidi dipinte dalla prima linea (chitarra, sax tenore, pianoforte) e le strutture metriche erette del reparto propulsivo (contrabbasso, batteria). Lalternanza di cupi rintocchi minori e precipitoso swing collettivo definisce la squisita cifra espressiva di Quatessence. Alla fine, la lunga conversazione Martino/Rubalcaba di Sun On My Hands e la ballad a tre voci senza sezione ritmica di Before You Ask risultano belle ma vagamente fuori contesto. Note di copertina entusiastiche firmate da Béla Fleck ( he has created his own language on the guitar he walks among us but down different paths ). - B.A. NICK MAZZARELLA - AVIARY (2009) Inutile girarci attorno: pubblicando questo ottimo esordio discografico, Nick Mazzarella si misura senza complessi con gli storici album Atlantic di Ornette Coleman. Embè? Che cè di sconveniente nellispirare il proprio stile a un modello prestigioso, soprattutto se, come in questo caso, lesito espressivo è fresco e spontaneo? Sostenuto con entusiasmo da Anton Hatwich (contrabbasso) e Frank Rosaly (batteria), il sassofonista di Chicago adotta una formula antica e genuina che, tuttavia, mantiene intatta la propria efficacia anche nel terzo millennio: suono acustico, temi cantabili, libertà armonica, assoli pregiati, affiatamento reciproco. Il timbro del sax alto, ora gemebondo ora euforico, rimanda inevitabilmente al padre del free, sebbene Mazzarella esibisca una (discontinua) propensione a sporcare la propria voce strumentale secondo lestro del momento. I sei pezzi si equivalgono, per cui citeremo a caso lassorto mood di Eternal Return, lelaborata melodia di Quarantine, limpalpabile fremito ritmico di Free Dance, in cui si apprezza la fuga solitaria di Rosaly. Nick Mazzarella fa parte di quella schiatta di nuovi improvvisatori - Matt Wilson, Gianluca Petrella, Joel Frahm, Ben Allison, Donatello DAttoma, Fiorenzo Bodrato, Matthew Parrish, Ernesto Cervini etc. - che, con le rigorose scelte musicali, la dimestichezza con Internet e la qualità delle registrazioni, sta proteggendo il jazz dal virus dellI.C.S. (Indottrinamento Collettivo Sistematico). - B.A. NICK MAZZARELLA - THIS IS ONLY A TEST: LIVE AT HUNGRY BRAIN (2011) CECIL McBEE - UNSPOKEN (1996) PAUL McCANDLESS - ALL THE MORNINGS BRING (1979) PETE McCANN - PARABLE (1998) PETE McCANN - YOU REMIND ME OF SOMEONE (2000) KEN McINTYRE with ERIC DOLPHY - LOOKING AHEAD (1960) PAUL McKEE - GALLERY (1995) JACKIE McLEAN - LIGHTS OUT! (1956) JACKIE McLEAN - NEW SOIL (1959) JACKIE McLEAN - SWING SWANG SWINGIN (1959) JACKIE McLEAN - JACKIES BAG (1959/1960) JACKIE McLEAN - BLUESNIK (1961) JACKIE McLEAN - CAPUCHIN SWING (1960) JACKIE McLEAN - A FICKLE SONANCE (1961) In quei giorni fecondi ed esaltanti, alfieri dellavanguardia jazz abbigliati in modo formale, ordinario, forse anche conformista (si vedano le splendide foto in bianco e nero di Francis Wolff), esprimevano la propria foga eversiva solo con larte - musica, nella fattispecie - senza il bisogno di vestirsi come disadattati o di sparare cazzate in TV. Come poteva accadere? Semplice: la radio era ancora il principale mezzo di comunicazione - dunque, lelemento sonoro prevaleva su quello visivo - e al microfono parlavano con autorevolezza e competenza sofisticatissimi dandy in grado di cambiare (in meglio) la vita di un ascoltatore proponendo il tale, misterioso, recondito brano. Figure, per capirci, molto simili allinsonne disc-jockey impersonato da Donald Fagen sulla copertina di The Nightfly che, alle 4:10 del mattino, intrattiene i nottambuli della costa orientale trasmettendo Sonny Rollins And The Contemporary Leaders. Quel patrimonio discografico comprende tutti gli album Blue Note di Jackie McLean: A Fickle Sonance e Capuchin Swing, in particolare, gettano un ponte tra i titoli più squisitamente hard-bop (New Soil, Swing Swang Swingin, Jackies Bag, Bluesnik) e gli audaci esperimenti successivi (Let Freedom Ring, One Step Beyond, Destination ... Out!) registrati a suo nome. Il contrassegno stilistico di McLean risiede nel perfetto equilibrio tra legame con le radici ed ebbrezza del rischio, evidente nei temi autografi (Francisco, Capuchin Swing, A Fickle Sonance) così come in quelli firmati dai pianisti Walter Bishop Jr. (On The Lion) o Sonny Clark* (Five Will Get You Ten): in essi non manca mai la dissonanza creativa o la digressione inattesa. Grazie alla versatilità dei trombettisti (Blue Mitchell, Tommy Turrentine) e dei due tandem propulsivi [Paul Chambers, Butch Warren* (contrabbasso), Art Taylor, Billy Higgins* (batteria)], leccitazione trasuda da ciascuna seduta, mentre il caustico sax alto di Jackie esalta le ballad (Subdued), i blues (Sundu) e le melodie più orecchiabili (Just For Now, Enitnerrut, Lost). [P.S. - *Un anno dopo (Agosto 1962), la superba sezione ritmica di A Fickle Sonance accompagnerà Dexter Gordon nella sua clamorosa resurrezione professionale (Go; A Swingin Affair)] - B.A. JACKIE McLEAN - LET FREEDOM RING (1962) La piena maturità di McLean è documentata dalla serie di incisioni a suo nome effettuate per la Blue Note. Il suo timbro si fece sempre più espressivo, soprattutto nei registri estremi: aspro, stridente, incalzante. Il suo fraseggio spigoloso è spesso ritmicamente imprevedibile. Non più ossessionato dal fantasma di Parker, McLean si fa secco, essenziale. Tutte queste caratteristiche si delineano chiare verso il volgere del decennio (New Soil; Bluesnik; Capuchin Swing; A Fickle Sonance). Bluesnik contiene un assolo esplosivo, dotato di uno slancio poderoso e con passaggi di distorsione timbrica dallesito quasi selvaggio. Francisco (Capuchin Swing) è un brano di intensità bruciante. Tutte le sue migliori esecuzioni, sono trascinate da grandi batteristi: Pete LaRoca, Billy Higgins, Art Taylor, Clifford Jarvis. Esse appaiono preparate con molta cura, sia per le composizioni di McLean, sia per linterazione di gruppo. Lallestimento teatrale del dramma di Jack Gelber, The Connection, impegnò McLean sia come attore sia nellorchestra: la musica è ricreata in un eccellente album del pianista Freddie Redd (The Music From The Connection). Nel 1962, sotto linflusso degli sviluppi del free jazz di Ornette Coleman, McLean annunciò un mutamento di direzione: The search is on, dichiarò. Il primo album della sua nuova maniera, più libera (Let Freedom Ring), possiede tutte le antiche qualità di inventiva, con in più una sonorità intensamente vocalizzante che spazia da note basse, quasi oboistiche, fino a penetranti sibili. La sua collaborazione con gli sperimentatori della scuderia Blue Note, quali Grachan Moncur III, Tony Williams e Bobby Hutcherson, produsse diversi album di pregio (Destination ... Out!; One Step Beyond; Evolution). - E.I.J. JACKIE McLEAN - TIPPIN THE SCALES (1962) JACKIE McLEAN - ONE STEP BEYOND (1963) JACKIE McLEAN - DESTINATION ... OUT! (1963) Accomunati dallo stesso tipo di formazione - sax alto, trombone, sezione ritmica col vibrafono a posto del piano - One Step Beyond e Destination Out! sono episodi fondamentali dellestetica Blue Note, oltre che capolavori assoluti del jazz moderno. Nei tardi anni '90 Dave Holland si cimenterà brillantemente con un organico analogo, rinnovando i fasti di quella stagione in una serie di splendidi album incisi per la ECM (Points Of View; Prime Directive; Not For Nothin; Extended Play). Quasi quarantanni addietro, liniziativa di Jackie McLean confermava la svolta free di Let Freedom Ring, disco concepito con il chiaro intento di aderire alla rivoluzione musicale di Ornette Coleman. Forte di un co-leader come Grachan Moncur III, superbo trombonista e compositore, e ampliata la front-line al versatile Bobby Hutcherson (vibrafono), McLean impiega due diverse coppie motrici nelle rispettive session [Tony Williams, Roy Haynes (batteria); Eddie Khan, Larry Ridley (contrabbasso)] per imbastire un tessuto sonoro effettivamente fresco e variopinto. Nelle note di copertina di One Step Beyond, egli rievoca il senso di stupore e scetticismo che provò durante il suo primo incontro col diciassettenne Williams che però, a dispetto delle apparenze, era già un artista maturo e personale: di lì a poco verrà convocato da Miles Davis nello storico quintetto di E.S.P. e Nefertiti. Il suo stile percussivo libero, imprevedibile e polifonico introduceva un inedito concetto di scansione metrica, ideale per proporre nuovi spunti ai solisti più intrepidi. Al tempo stesso, il riverbero smorzato di Hutcherson era antitetico al fraseggio esuberante di un Milt Jackson, ma proprio quel contrappunto così sobrio e razionale, che un mattatore come Bags non poteva concedere, forniva il necessario spazio espressivo agli sperimentatori della Blue Note (Eric Dolphy, Andrew Hill etc.). Sullinstabile piattaforma armonica eretta da Hutcherson, trombone e sax dialogano adottando un linguaggio in cui si alternano il suono denso, succoso di Moncur e quello aspro, al limite della tonalità di McLean. Lefficace contrasto tra i due timbri genera, alternativamente, il clima sinistro di Love And Hate, Frankenstein e Ghost Town e lo swing futurista di Saturday And Sunday, Blue Rondo, Kahlil The Prophet, Riff Raff ed Esoteric. Rimedio prodigioso contro lo stress da terzo millennio. - B.A. JACKIE McLEAN - ITS TIME! (1964) JACKIE McLEAN - ACTION (1964) JACKIE McLEAN - RIGHT NOW! (1965) JACKIE McLEAN - JACKNIFE (1965) JACKIE McLEAN - THE COMPLETE BLUE NOTE 1964/66 SESSIONS (1964/1966) JACKIE McLEAN - DEMONS DANCE (1967) JACKIE McLEAN - LIVE AT MONTMARTRE (1972) JACKIE McLEAN / GARY BARTZ - ODE TO SUPER (1973) JACKIE McLEAN / DEXTER GORDON - THE MEETING (1973) JACKIE McLEAN / DEXTER GORDON - THE SOURCE (1973) JACKIE McLEAN - A GHETTO LULLABY (1974) JIM McNEELY - RAINS DANCE (1976) JIM McNEELY - THE PLOT THICKENS (1979) JIM McNEELY - FROM THE HEART (1985) JIM McNEELY - WINDS OF CHANGE (1989) JIM McNEELY - EAST COAST BLOW OUT (1989/1991) Inspiration: Thad Jones, Gil Evans, Chick Corea, Gerry Mulligan, Igor Stravinsky. A style that crosses instrumental boundaries, stacks chords on top of chords, makes complexity swing, and sweeps from an avalanche of sound to a shadow of pianissimo. The composer and arranger is a balding white man in middle age who resembles a stockbroker. His previous work with Stan Getz, Mel Lewis and Phil Woods has been solid, but this is something else. Magnificent is the word for it. Recorded in 1989 with Colognes WDR Big Band, this music integrates McNeelys American quartet as fully as it displays the composers orchestral scope. The first piece (Do You Really Think ...?), initially built on a one-chord vamp, shows Scofields ability to dance through the dense ensemble. Skittish (an apt description of the composers piano work here) superimposes Evans-like chords on Jones-like chords, and in its lighter moments the ensemble line suggests Mulligans humor. More Questions is a lush ballad, with the trumpets merely a hint of sound behind Johnsons lyrical bass solo. Cantus Infirmus, which begins light and skippy, climaxes in a glorious up-the-scale horn line behind Scofield. The last title (Finally) could mean finally the drums, as Nussbaum takes it home between chordal exclamation points by the band. - Owen Cordle JIM McNEELY - MAYBECK RECITAL HALL, VOL. 20 (1992) JIM McNEELY / STOCKHOLM JAZZ ORCHESTRA - SOUND BITES (1997) JIM McNEELY / VANGUARD JAZZ ORCHESTRA - LICKETY SPLIT: MUSIC OF JIM McNEELY (1997) JIM McNEELY / DANISH RADIO JAZZ ORCHESTRA - NICE WORK (1998) JIM McNEELY / VANGUARD JAZZ ORCHESTRA - THAD JONES LEGACY (1999) JIM McNEELY - THE DANISH RADIO JAZZ ORCHESTRA & JIM McNEELY PLAY BILL EVANS (2000) JIM McNEELY - GROUP THERAPY (2001) JIM McNEELY - IN THIS MOMENT (2003) JIM McNEELY / SWISS JAZZ ORCHESTRA - PAUL KLEE (2006) CHARLES McPHERSON - CON ALMA! (1965) CHARLES McPHERSON - FROM THIS MOMENT ON! (1968) CHARLES McPHERSON - HORIZONS (1969) CHARLES McPHERSON - McPHERSONS MOOD (1969) CHARLES McPHERSON - SIKU YA BIBI (DAY OF THE LADY) (1972) CHARLES McPHERSON - TODAYS MAN (1973) CHARLES McPHERSON - BEAUTIFUL! (1975) Ancora la Xanadu. E ancora un artista che, grazie al mecenatismo del produttore Don Schlitten, riuscì a documentare la propria musica in un periodo di vacche magre come pure accadde, sotto le stesse insegne, ad Al Cohn (Play It Now, Al Cohns America, No Problem) e Joe Farrell (Skate Board Park). Chi pretendesse il curriculum consideri che, a tavola coi nipoti, Charles McPherson potrebbe raccontare di quando partecipò alla seduta parigina di Charles Mingus per letichetta America (Blue Bird, Pithycanthropus Erectus*). Questa registrazione in studio del 1975 lo coglie in stato di grazia, col suo sax alto parkeriano intento a disporre in scaletta una ghirlanda di venerati evergreen. Oltre al leader, il quartetto schiera unimpeccabile sezione ritmica composta da Sam Jones (contrabbasso) e Leroy Williams (batteria), accanto al misconosciuto Duke Jordan (pianoforte) che, nonostante un prestigioso Flight To Jordan per la Blue Note (1960), trascorse più di dieci anni senza fare dischi alla guida di un taxi. A fronte di arrangiamenti in equilibrio tra eleganza e tradizione, scegliere tra classici come They Say Its Wonderful, It Could Happen To You, Lover, This Cant Be Love, Body And Soul diventa una mera faccenda di gusto personale: noi azzardiamo una preferenza per It Had To Be You - qualcuno ricorderà la versione definitiva che Frank Sinatra incluse nel monumentale Trilogy: Past, Present & Future - per via del sublime connubio tra essenzialità del tema e magnificenza dei fraseggi. Lo squisito amalgama di melodie eterne, suoni immacolati, intesa collettiva e virtuosismo individuale fa di Beautiful! un CD (sì, è stato ristampato ) senza tempo e per tutte le stagioni: sostanza, concretezza, talento, stile jazz. [P.S. - 1) Beautiful! non va confuso col quasi omonimo But Beautiful, inciso nel 2003 per la giapponese Venus: a complicare ulteriormente uneventuale ricerca in rete, entrambi contengono lo standard di Jimmy Van Heusen e Johnny Burke (But Beautiful). 2) *La stessa distinzione va operata tra Pithycanthropus Erectus e Pithecanthropus Erectus che, a dispetto del titolo, sono due album diversi di Charles Mingus.] - B.A. CHARLES McPHERSON - LIVE IN TOKYO (1976) CHARLES McPHERSON - NEW HORIZONS (1978) CHARLES McPHERSON - FREE BOP! (1979) CHARLES McPHERSON - FIRST FLIGHT OUT (1994) CHARLES McPHERSON - COME PLAY WITH ME (1995) CHARLES McPHERSON - MANHATTAN NOCTURNE (1997) MIKE MELILLO - ALTERNATE CHANGES FOR BUD (1987) MIKE MELILLO - BOPCENTRIC (1998) PAT METHENY - BRIGHT SIZE LIFE (1975) PAT METHENY - WATERCOLORS (1977) PAT METHENY - PAT METHENY GROUP (1978) Negli anni Settanta il jazz rischiò lestinzione. Stretto in una morsa micidiale tra lo slancio eversivo del progressive, i venti del cambiamento fusion e larresto encefalico provocato da disco e punk, il genere era ridotto a un vezzo snob per intellettuali da salotto in giacca di velluto, pipa ed erre moscia. In buona sostanza, del jazz non fregava più niente a nessuno. Quasi a nessuno. Recluso nella sua fortezza in Baviera, incurante del mondo esterno in putrefazione, Manfred Eicher teneva vivo lo spirito della musica afro-americana fondando la ECM e pubblicando dischi di bellezza assoluta come Conference Of The Birds, Deer Wan e Sargasso Sea. Verso la metà del decennio, in cerca di un nuovo chitarrista da affiancare ai veterani John Abercrombie, Ralph Towner e Terje Rypdal, il produttore chiese consiglio allamico Gary Burton, docente al Berklee College ed egli stesso artista delletichetta, il quale raccomandò un giovanotto originario di Lees Summit (Missouri). Il resto è storia, ma proprio questo album consacrò definitivamente il talento di Pat Metheny. Solista ineguagliabile, estimatore dichiarato di Ornette Coleman, egli confessa il legame ideale col rock adulto degli Steely Dan e lurlo amazzonico di Milton Nascimento, rivelando una sana indole anarcoide nascosta dietro le rassicuranti sembianze casual. Taciturno alter ego del leader, Lyle Mays elabora gli arrangiamenti col sapiente uso dei sintetizzatori e un tocco pianistico ispirato a Keith Jarrett. Costruita sulle risonanze armoniche della 12 corde acustica, San Lorenzo si dilata in una suite percorsa da sonorità policrome e baluginanti. Phase Dance fu scelta subito come sigla di apertura dei concerti, in funzione di autentica liturgia propiziatoria: buio in sala, Pat eseguiva larpeggio introduttivo su una Guild sorretta da un treppiede, per poi imbracciare la Gibson ES 175, indossata a tracolla, pronto a lanciarsi nellassolo di rito. Chi cera lo ricorderà per sempre. Sul saltellante, splendido tema di Jaco, il basso elettrico di Mark Egan, rigorosamente fretless, evoca il compianto destinatario della dedica (Pastorius aveva collaborato con Metheny su Bright Size Life). Con un prodigioso crescendo strumentale, Aprilwind ed April Joy suggeriscono immaginari paesaggi animati dal risveglio primaverile: da annoverare tra i massimi capolavori di Pat. I dinamici fraseggi di Lone Jack dispiegano la quintessenza linguistica dei due autori (Metheny/Mays): maestria tecnica, intuito melodico, gusto dellimpromptu. LABC del jazz. Ormai salvo. [P.S. - Il primo incontro tra Burton e Metheny è raccontato dallo stesso vibrafonista nelle note di copertina di Bright Size Life.] - B.A. PAT METHENY - AMERICAN GARAGE (1979) PAT METHENY - 80/81 (1980) Ormai anche i detrattori più ottusi gli riconoscono il merito - certo, condiviso con altri - di aver salvato il jazz da un destino crudele: la morte per oblio cui il genere fu prossimo durante la stagione del riflusso. Recuperando una combinazione strumentale allora caduta in desuetudine - il quartetto con la Gibson semiacustica a posto del piano - Pat Metheny si affranca in un colpo solo dallalgido suono ECM e dalla fortunata band di American Garage. I compagni di avventura stavolta sono veterani in cerca di nuovi stimoli: Jack DeJohnette, ex-davisiano (Bitches Brew; On The Corner; Live-Evil) che alla corte di Manfred Eicher diventerà il più acclamato batterista di fine millennio; Charlie Haden, storico bassista di Ornette Coleman, anomalo caso di provinciale statunitense in odore di comunismo; Michael Brecker, virtuoso del sax tenore e campione della fusion meno annacquata. Sostenuto da questi giganti, Metheny elabora uninedita formula stilistica che, partendo dalla lezione di Coleman, ne amplia lo spettro espressivo con influenze country/folk e un talento melodico degno di Wayne Shorter e Charles Mingus. 80/81 incoraggerà schiere di giovani ascoltatori a uscire dal recinto rock per esplorare le sconfinate praterie dellimprovvisazione. La presenza di Dewey Redman (80/81; Open; Pretty Scattered) - gagliardo avanguardista texano - e la magistrale interpretazione di un classico di Ornette (Turnaround) sottolineano laffinità elettiva di Metheny con il padre del free (il legame verrà ribadito sui magnifici Rejoicing e Song X). Un paio di cartoline dal Missouri (Two Folk Songs; Goin Ahead), due temi di indescrivibile bellezza [Everyday (I Thank You); The Bat] e una serie di assoli straordinari fanno di questo album il capolavoro del chitarrista. Brecker fu così entusiasta del risultato che, per il suo esordio da leader (Michael Brecker), riunì 4/5 della comitiva (se stesso, Metheny, Haden, DeJohnette). [P.S. - 1) Nessuna persona per bene prenderebbe sul serio gli anni Ottanta in quanto tali, 80 e 81 erano solo i numeri di catalogo consecutivi del doppio vinile. 2) Allinsegna della parsimonia più spinta la copertina disegnata da Barbara Wojirsch.] - B.A. PAT METHENY - OFFRAMP (1981) PAT METHENY - REJOICING (1983) Non siamo in grado di prevedere che futuro avrà il jazz, ma conosciamo bene chi lo salvò dalloblio alla fine degli anni Settanta: tra gli altri, Pat Metheny. Con la fusion ormai rancida, punk e disco dilaganti e la lobotomia collettiva imposta dalla radio, una forma darte appena complessa o autentica era diventata intollerabile. In nostro soccorso, limpavido chitarrista di Lees Summit scavò una via di fuga praticamente sotto il culo di lor signori, presentandosi in completo zazzera/jeans/T-shirt e riproponendo il genuino spirito dellimprovvisazione con lo strumento rock per eccellenza. Capito il trucchetto? Un capellone che suonava free. Leffetto era spiazzante, ma funzionò. Linteresse per il repertorio di Ornette Coleman aveva già prodotto due splendide interpretazioni in trio: 1) il medley Round Trip / Broadway Blues, inciso con Jaco Pastorius sullesordio ECM Bright Size Life; 2) il blues libero di Turnaround ripreso sul capolavoro 80/81. Affidandosi a una sezione ritmica di per sé rappresentativa [Charlie Haden (contrabbasso); Billy Higgins (batteria)], nel 1983 Metheny redige il manifesto delle proprie principali influenze: tre classici di Ornette Coleman e uno standard del catalogo Blue Note. Apparse per la prima volta su Tomorrow Is The Question!, le meravigliose Tears Inside e Rejoicing rivivono sulle corde della Gibson ES-175, tramandando ai posteri la sovversiva teoria armolodica concepita dallautore. Dal sublime This Is Our Music riemerge lineffabile tema di Humpty Dumpty, riletto con maestria dallepigono e dai due allievi del maestro texano. Lonely Woman* è una ballad di Horace Silver tratta dal suo album più famoso (Song For My Father), in cui il pianoforte della versione originale è sostituito dalla chitarra acustica, per un arrangiamento di inarrivabile profondità espressiva. Blues For Pat, Story From A Stranger, The Calling sanciscono, rispettivamente, la padronanza del fraseggio, linnato senso della melodia, il gusto della ricerca che anticipa le temerarie cacofonie di Zero Tolerance For Silence e The Sign Of 4. [P.S. - *Da non confondere con lomonima, celebre pagina di Ornette Coleman (The Shape Of Jazz To Come).] - B.A. PAT METHENY - FIRST CIRCLE (1984) PAT METHENY - QUESTION AND ANSWER (1989) PAT METHENY / ORNETTE COLEMAN - SONG X (1985) PAT METHENY - TRIO 99 -> 00 (1999) PAT METHENY - TRIO -> LIVE (2000) NANDO MICHELIN - FACING SOUTH (1996) NANDO MICHELIN - COMMON GROUNDS (1998) NANDO MICHELIN - ART (1999) NANDO MICHELIN - CHANTS (A CANDOMBLÉ EXPERIENCE) (2000) NANDO MICHELIN - WHEN EINSTEIN DREAMS (2001) CHARLES MINGUS - PITHECANTHROPUS ERECTUS (1956) I laboratori che Mingus condusse nei primi anni '50 rivelano già, in embrione, il suo interesse per i cambiamenti di tempo, per la polifonia e per limprovvisazione collettiva. Nel 1956 aveva ormai compiuto lunghi passi verso una forma compositiva più organica, e le splendide esecuzioni di Pithecanthropus Erectus, A Foggy Day, Love Chant ebbero larga eco: in esse Mingus impiega risorse timbriche e strutturali espressioniste, ed entrambi i fiati [Jackie McLean (alto); J.R. Monterose (tenore)] si spingono ripetutamente verso lestremo registro acuto. - E.I.J. CHARLES MINGUS - THE CLOWN (1957) CHARLES MINGUS - TONIGHT AT NOON (1957/1961) CHARLES MINGUS - TIJUANA MOODS (1957) Nel 1956 Mingus incontrò il batterista Dannie Richmond, luomo ideale per la sua musica: sarebbe rimasto con lui oltre ventanni. Lanno dopo si aprì la prima grande stagione creativa del contrabbassista, con una serie di album in cui si ascoltano il notevole trombettista Clarence Shaw e gli eccitanti interventi del sassofonista Shafi Hadi e del trombonista Jimmy Knepper. Il ritratto in musica della cittadina di Tijuana, al confine col Messico, è un classico. Dizzy Moods e Los Mariachis sono esecuzioni eccezionali. Ysabels Table Dance è esplosivo e lascivo. Tijuana Gift Shop è un capolavoro di strumentazione. - E.I.J. CHARLES MINGUS - MINGUS AH UM (1959) CHARLES MINGUS - BLUES & ROOTS (1959) Il metodo di lavoro mingusiano, senza parti scritte, con prove condotte al piano e istruzioni gridate durante lesecuzione, dà ragione del senso di spontaneità che promana dalle incisioni. Assoli simultanei, riff incrociati, improvvisazione collettiva e brutali cambiamenti di tempo danno forma alla composizione, secondo lestetica personale del tempestoso leader. Culmini di tensione vulcanici erompono dai suoi brani che, per le tecniche impiegate e laffannoso clima espressivo, anticipano molte delle risorse formali del free. Mingus testimoniò più volte il suo enorme rispetto della tradizione, per la musica di Jelly Roll Morton (My Jelly Roll Soul), per il gospel (Better Git It In Your Soul; Wednesday Night Prayer Meeting; Moanin; Es Flat Ahs Flat Too), per Lester Young (Goodbye Pork Pie Hat), per Charlie Parker (Bird Calls), per Ellington (Open Letter To Duke). Brillantemente servito da collaboratori come il sax tenore Booker Ervin, il trombonista Jimmy Knepper e il sempre vigile Dannie Richmond, Mingus produsse album fitti di assoli pregevoli a cavallo tra anni gli anni '50 e '60. Con la forza ruvida e passionale del suo sax, Ervin si inserì alla perfezione nel vulcanico universo mingusiano, sfoderando unautorità ritmica tale da cavalcare di forza le movimentate trame dei collettivi (Boogie Stop Shuffle). Jackie McLean irrobustì la sua sonorità, e il leader lo espose a situazioni improvvisative più libere, in brani espressionisti quali Tensions e in blues furiosi quali Moanin. - E.I.J. CHARLES MINGUS - CHARLES MINGUS PRESENTS CHARLES MINGUS (1960) I numerosi cofanetti antologici pubblicati nellera del CD hanno rivelato i macchinosi processi di preparazione che si celano dietro un prodotto discografico: esecuzioni provenienti da sedute diverse assemblate nello stesso album, brani tagliati o addirittura eliminati del tutto, e così via. Il fenomeno ha dato vita a una noiosa disputa fra giornalisti, che si dividono tra chi auspica la ristampa delle incisioni in ordine rigorosamente cronologico, e chi invece preferirebbe venisse mantenuta le sequenza dei titoli originali. Questo disco aggira il problema, perché contiene tutto il materiale registrato in ununica giornata da questa particolare formazione. In uno studio vuoto, Mingus presenta i brani a un pubblico immaginario, con brevi introduzioni parlate. Sfruttando la libertà assoluta concessa dal lungimirante critico-produttore Nat Hentoff, il quartetto si scatena in una serie di improvvisazioni memorabili, rese ancor più vibranti dal rovente clima artistico-culturale di unepoca in cui nulla sembrava impossibile. Le rivoluzionarie teorie armolodiche introdotte da Ornette Coleman si fondono con le rivendicazioni del popolo afro-americano, e il furore creativo del gruppo trova sfogo nella versione integrale e originale di Fables Of Faubus, feroce caricatura del governatore razzista dellArkansas (Orval Faubus). La Columbia aveva censurato la sezione recitata del brano, considerandola politicamente troppo audace, e costringendo Mingus a realizzarne una versione esclusivamente strumentale per Mingus Ah Um. What Love contiene il celeberrimo diverbio strumentale tra Mingus e Dolphy, uno scontro fra titani che raggiunse inusitati vertici di espressività. Il dolente tema del pezzo è seguito da unassorta improvvisazione della tromba di Curson, sospinta da un ribollente accompagnamento multi-ritmico, che si interrompe di colpo per lasciare spazio a un vero e proprio dialogo tra contrabbasso e clarone. Nelle note di copertina, Hentoff cercò di tradurre la conversazione, sostenendo che Dolphy dichiarava di voler abbandonare il complesso, mentre Mingus lo pregava di restare. Le altre due composizioni offrono a Curson e Dolphy ampio spazio per assoli intensi e infuocati: tromba e sax alto volteggiano senza posa sugli agitati fondali percussivi dellimpetuosa Folk Forms, N°1 e della delirante All The Things You Could Be By Now If Sigmund Freuds Wife Was Your Mother. - B.A. Nel 1960 Eric Dolphy si unì a Mingus, e con lui la sua volontà di sfidare le convenzioni del jazz trovò terreno fertile. Dolphy spinge agli estremi limiti la sua tecnica sul clarinetto basso: simili oscure sonorità sembrano dischiudere minacciose la porta di un sotterraneo (What Love). - E.I.J. CHARLES MINGUS - REINCARNATION OF A LOVEBIRD (1960) CHARLES MINGUS - OH YEAH (1961) CHARLES MINGUS - THE BLACK SAINT AND THE SINNER LADY (1963) Composizioni estese di grande complessità, costruite a strati sovrapposti, e innervate dal solismo dei suoi abituali collaboratori, con in più i brillanti contributi dellaltoista Charlie Mariano. - E.I.J. CHARLES MINGUS - MINGUS MINGUS MINGUS MINGUS MINGUS (1963) CHARLES MINGUS - CHARLES MINGUS IN PARIS: THE COMPLETE AMERICA SESSION (1970) CHARLES MINGUS - BLUE BIRD (1970) CHARLES MINGUS - PITHYCANTHROPUS ERECTUS (1970) CHARLES MINGUS - MINGUS MOVES (1973) CHARLES MINGUS - CHANGES ONE / CHANGES TWO (1975) Changes è un caposaldo della produzione mingusiana che resterà nel tempo. Jack Walrath (tromba); George Adams (sax tenore); Don Pullen (piano); Charles Mingus (contrabbasso); Dannie Richmond (batteria). I due CD (Changes One; Changes Two) sono in vendita separati, ma costituiscono unopera unica. Remember Rockefeller At Attica può facilmente esemplificare lo stile del compositore: il tema è composto di frammenti tematici di lunghezze diverse, che di volta in volta richiamano alla mente altri temi, in un beffardo collage. I solisti sono George Adams, inconfondibile anche se molto controllato, Don Pullen, che con un autentico corpo a corpo con la tastiera costruisce il solito, epico crescendo, e Mingus. Sues Changes è, se possibile, ancora più asimmetrico: si compone di una specie di moto perpetuo che sfocia nellimprovvisazione totale, per poi riprendere di colpo il giro dallinizio. Ad ognuno dei segmenti tematici corrisponde un diverso ritmo e una diversa armonizzazione, per cui ciascun assolo deve necessariamente passare attraverso tutte le situazioni sonore predisposte da Mingus. Il disegno generale del ritornello è un gigantesco accelerando progressivo, con brevi ripiegamenti qua e là, e in questi passaggi Richmond dà un saggio della sua abilità nelluso delle spazzole. È probabilmente il brano più riuscito dei due album, e uno dei capolavori del contrabbassista, per la ricchezza di contrasti, di luci e ombre cui il tema dà vita: Pullen mostra una maggiore duttilità espressiva (lo stupendo perlato del pianista, al tempo stesso energico e suadente, è in evidenza nel subitaneo attacco che segue bruscamente la precedente improvvisazione collettiva), mentre Adams conferisce al sax tenore timbri quasi umani. Changes One si chiude col delicato, intimistico Duke Ellingtons Sound Of Love. Lassolo di Pullen coglie perfettamente il clima singolare di questo brano, scritto di getto subito dopo la morte di Duke: lirico, denso di arpeggi, armonicamente avanzato, dolce ma non smielato, affettuoso ma non lacrimevole. Adams, per loccasione, contiene le proprie sfuriate, giungendo fino al pianissimo in delicati svolazzi sui sopracuti, così tenui da far percepire laria non sonorizzata che esce dal sassofono: un omaggio ai due grandi tenori ellingtoniani specialisti dello stile soffiato, appunto, cioè Ben Webster e Paul Gonsalves. Il dolente assolo di contrabbasso del leader chiude il pezzo. Changes Two si apre con il bis delle esibizioni mingusiane, un tema che porta laggressivo e intricato titolo di Free Cell Block F, 'Tis Nazi U.S.A. - La frase iniziale, in mezzo alla scansione normale in 4/4, contiene due battute in 5/4, che provocano un inatteso effetto di caduta in avanti, mantenuto rigorosamente anche nel corso delle improvvisazioni. Il clima più estroverso mette a suo agio soprattutto Adams, che si riconferma il primo sassofonista free, dopo i maestri degli anni '60 (Coltrane, Coleman, Dolphy), a possedere uno stile davvero originale. Classico da anni del repertorio mingusiano, Orange Was The Color Of Her Dress, Then Blue Silk è stato inciso in decine di versioni differenti (fece epoca soprattutto quella realizzata dal vivo a Parigi, con Eric Dolphy al clarinetto basso). Anche qui, come in Sues Changes, si alternano climi e situazioni differenti, tuttavia solo alcuni passaggi paiono sommariamente scritti. È senzaltro, per ciò stesso, il pezzo più fluido, magmatico e complesso del disco, ed è magistrale. Se volessimo cercare un denominatore comune nella lunga e travagliata carriera mingusiana, non potremmo che trovarlo nella continua ricerca di equilibrio tra tradizione e rivoluzione, tra antico e moderno, un occhio allavanguardia e uno a Ellington. La musica di Mingus è lincarnazione ideale di questo contrasto-equilibrio tra passato e futuro, tra le radici culturali afro-americane e le ansie, le incertezze delluomo di oggi. - Marcello Piras CHARLES MINGUS - THREE OR FOUR SHADES OF BLUE (1977) CHARLES MINGUS - CUMBIA & JAZZ FUSION (1976/1977) CHARLES MINGUS - SOMETHING LIKE A BIRD (1978) CHARLES MINGUS - LET MY CHILDREN HEAR MUSIC (1971) CHARLES MINGUS - ME MYSELF AN EYE (1978) Tener dietro alla discografia di Charles
Mingus è impresa ardua: un carattere difficile e
lindisponibilità al compromesso gli hanno impedito
di stabilizzare il rapporto con almeno unetichetta.
Una sciagura editoriale conseguente fu che il sestetto
del 1964 con Eric
Dolphy e Clifford
Jordan - uno dei più grandi complessi jazz di ogni tempo - non mise mai
piede in studio, per cui i collezionisti devono
raccattare qua e là le frattaglie registrate dal vivo
(la solita Mosaic
ha provato a mettere un po dordine con il
cofanetto The Jazz Workshop
Concerts 1964-1965). Tuttavia, anche in un
repertorio così complesso, a prescindere da occasioni
mancate e gusti personali, alcuni punti fermi si possono
individuare: Pithecanthropus
Erectus*, Tijuana
Moods, Mingus Ah Um,
Blues & Roots, Charles Mingus Presents
Charles Mingus, Mingus Mingus Mingus Mingus
Mingus, Blue Bird, Pithycanthropus Erectus*,
Changes One/Two.
Una volta compilato e acquisito questo florilegio,
andrebbero aggiunti allelenco Let My Children
Hear Music e Me Myself An Eye, il primo
rilevante per la dichiarata predilezione del
contrabbassista, laltro indispensabile per chiunque
ami (o suoni) la batteria. BOB MINTZER - INCREDIBLE JOURNEY (1985) BOB MINTZER - CAMOUFLAGE (1986) BOB MINTZER - SPECTRUM (1988) BOB MINTZER - URBAN CONTOURS (1989) BOB MINTZER - ART OF THE BIG BAND (1990) BOB MINTZER - ONE MUSIC (1991) Entrambi incisi nel 1991, classificabili
come fittizio doppio album nella discografia degli YellowJackets, Greenhouse e One
Music sono volumi reciprocamente complementari
perché, grazie alla presenza di Bob Mintzer - già
effettiva anche se non formalizzata (diventerà ufficiale
su Live Wires) - schierano un quartetto feticcio
dellintera epopea fusion. [ ] City Of Hope possiede lappeal dei brani scritti da Russell Ferrante [ ]; firmata Kennedy/Haslip/Ferrante, Navajo esibisce il solito apparato di trucchi ritmici (è in 6/4, con una sezione in 6/8 caratterizzata da un pattern del pianoforte che deriva da Mr. Sims di John Coltrane), mentre su The Song Is You, celebre standard di Jerome Kern e Oscar Hammerstein II, il sax tenore di Mintzer dialoga col piano elettronico di Ferrante [ ] - Vincenzo Martorella BOB MINTZER - I REMEMBER JACO (1991) BOB MINTZER - DEPARTURE (1992) BOB MINTZER - ONLY IN NEW YORK (1993) BOB MINTZER - BIG BAND TRANE (1995) BLUE MITCHELL - THE THING TO DO (1964) BLUE MITCHELL - DOWN WITH IT! (1965) BLUE MITCHELL - BOSS HORN (1966) BLUE MITCHELL - BRING IT HOME TO ME (1966) BLUE MITCHELL - THE COMPLETE BLUE MITCHELL BLUE NOTE SESSIONS ROSCOE MITCHELL - SOUND (1966) Mitchell riesce a conferire al sax alto una sonorità piatta, apparentemente impassibile e inespressiva. In realtà, tra i sassofonisti emersi dopo Albert Ayler, egli è lunico che abbia trovato una voce del tutto originale, i cui modelli (Parker, Ornette etc.) sono ormai labili: lha costruita con pazienza, partendo dai difetti dello strumento, e assemblando via via un campionario di lapsus, i quali, allineati uno dopo laltro tra silenzi enigmatici, fanno della sue esecuzioni unesperienza dascolto impressionante. Ogni pagina vanta un saldo inquadramento formale. Mitchell usa parecchio la scrittura, montando castelli di cellule ritmiche a incastro e dilettandosi a concepire gli impasti acustici più impensabili: dalla valanga percussiva di Ornette, alla sfilata di assoli che appaiono e scompaiono in un clima di freddezza cosmica in Sound, alla tremula bolla daria di The Little Suite, illuminata da barlumi di violoncello, armonica, fischietto etc. - Questo album è il simbolo stesso del suo universo sonoro puntuto, isterico e scostante: un capolavoro assoluto della musica afro-americana. - E.I.J. ROSCOE MITCHELL - ROSCOE MITCHELL QUARTET (1975) HANK MOBLEY - HANK MOBLEY WITH DONALD BYRD AND LEE MORGAN (1956) HANK MOBLEY - HANK (1957) HANK MOBLEY - HANK MOBLEY AND HIS ALL STARS (1957) HANK MOBLEY - HANK MOBLEY QUINTET (1957) HANK MOBLEY & LEE MORGAN - PECKIN TIME (1958) HANK MOBLEY - SOUL STATION (1960) HANK MOBLEY - ROLL CALL (1960) HANK MOBLEY - WORKOUT (1961) Definito da Leonard Feather peso medio del sax tenore, in effetti Hank Mobley è un solista dotato di forza, sensibilità ed eleganza: «not a big sound, not a small sound, just a round sound» era uso egli stesso descrivere con acume il proprio stile. Benché i numerosi dischi incisi per la Blue Note siano invariabilmente splendidi, per apprezzare meglio che altrove il suo timbro, amabile ma deciso, sono indispensabili due album: Soul Station, classico hard-bop in cui il leader è affiancato dalla sola sezione ritmica, e Workout, inconsueto capolavoro in cui la prima linea è divisa con lagile chitarra di Grant Green. Proprio Green introduce un decisivo effetto sorpresa rispetto alle abituali sedute coi trombettisti di turno (Lee Morgan, Freddie Hubbard, Art Farmer, Donald Byrd, Blue Mitchell etc.). Linesauribile dinamo alimentata dai davisiani Wynton Kelly (piano), Paul Chambers (contrabbasso) e Philly Joe Jones (batteria) fornisce la necessaria energia agli assoli, mentre lalternanza tra il suono felpato del sax e lo squillo pungente della semiacustica elettrizza la tipica dimensione espressiva della blowin session. Vietato piluccare qua e là tra i diversi brani: Workout, Uh Huh, Smokin e Greasin Easy vanno ascoltati tutti dun fiato, ad alto volume, possibilmente su un buon impianto a valvole. The Best Things In Life Are Free illustra, se mai ce ne fosse bisogno, la classe di Mobley come superbo interprete di standard. Un CD fondamentale in qualsiasi collezione jazz. - B.A. HANK MOBLEY - ANOTHER WORKOUT (1961) HANK MOBLEY - NO ROOM FOR SQUARES (1963) HANK MOBLEY - DIPPIN (1965) HANK MOBLEY - THE TURNAROUND! (1965) HANK MOBLEY - A CADDY FOR DADDY (1965) HANK MOBLEY - STRAIGHT NO FILTER (1966) HANK MOBLEY - A SLICE OF THE TOP (1966) HANK MOBLEY - HI VOLTAGE (1967) HANK MOBLEY - FAR AWAY LANDS (1967) GRACHAN MONCUR III - EVOLUTION (1963) Evolution completa la trilogia degli album incisi nel 1963 da Grachan Moncur III e Jackie McLean in collaborazione con Bobby Hutcherson. Dopo One Step Beyond e Destination ... Out!, la formula del quintetto viene aumentata a sei elementi con la voce morbida di Lee Morgan (tromba), ma il mood complessivo non cambia: le quattro composizioni del leader si fondano su cellule tematiche elementari ma solidissime, in grado di fornire ai solisti una quantità di idee pressoché illimitata. Leffervescente batteria di Tony Williams fa il resto e, nel dettaglio, vale quanto scritto per i due album a nome del sassofonista. - B.A. GRACHAN MONCUR III - SOME OTHER STUFF (1964) GRACHAN MONCUR III - NEW AFRICA (1969) THELONIUS MONK - THE COMPLETE BLUE NOTE RECORDINGS (1947/1958) THELONIUS MONK - BRILLIANT CORNERS (1956) THELONIUS MONK - MONKS MUSIC (1957) THELONIUS MONK - MONKS DREAM (1964) J.R. MONTEROSE - J.R. MONTEROSE (1956) WES MONTGOMERY - THE INCREDIBLE JAZZ GUITAR OF WES MONTGOMERY (1960) WES MONTGOMERY - SO MUCH GUITAR! (1961) WES MONTGOMERY / MILT JACKSON - BAGS MEETS WES! (1961) WES MONTGOMERY - BOSS GUITAR (1963) WES MONTGOMERY - PORTRAIT OF WES (1963) JACK MONTROSE
- ARRANGED / PLAYED /
COMPOSED JACK MONTROSE - BLUES AND VANILLA (1957) Jack
Montrose o J.R.
Monterose? Oltre che alla somiglianza tra i nomi, al
comune strumento (sax tenore) e al rimarchevole valore
dei rispettivi ingegni, la difficoltà di distinguere i
due sassofonisti dipende dai dati anagrafici molto simili
(entrambi nati a Detroit, Monterose nel 1927, Montrose
lanno dopo). Tuttavia Jack
Montrose, pioniere della fusione tra stili e veterano
della West Coast, non va confuso con J.R.
Monterose, che suonò con Charles
Mingus (Pithecanthropus
Erectus) e incise per la Blue Note (J.R.
Monterose). Il nostro Montrose partecipò
ai fermenti californiani degli anni '50 con alcuni album
che rimangono tra i classici del genere. In particolare,
le collaborazioni con Bob
Gordon (sax baritono) e Red Norvo
(vibrafono) si giovano di una proficua sintonia
espressiva tra il leader e gli ospiti. JACK MONTROSE - THE HORNS FULL (1956) JEMEEL MOONDOC - JUDYS BOUNCE (1981) JEMEEL MOONDOC - NEW WORLD PYGMIES (1998) RALPH MOORE - ROUND TRIP (1985) RALPH MOORE - 623 C STREET (1987) RALPH MOORE - REJUVENATE! (1988) RALPH MOORE - THE COMPLETE LANDMARK RECORDINGS (1988/1990) RALPH MOORE - FURTHERMORE (1990) RALPH MOORE - WHO IT IS YOU ARE (1993) JUSTIN MORELL - THE MUSIC OF STEELY DAN (2002) LEE MORGAN - INTRODUCING LEE MORGAN (1956) LEE MORGAN - INDEED! (1956) LEE MORGAN - LEE MORGAN (1956) LEE MORGAN - CITY LIGHTS (1957) LEE MORGAN - VOLUME THREE (1957) LEE MORGAN - THE COOKER (1957) LEE MORGAN - CANDY (1957/1958) LEE MORGAN - THE SIDEWINDER (1963) Ci sia consentito confessare una personale idiosincrasia per la moda, tutta italiota, che identifica il marchio Blue Note col repertorio più corrivo della gloriosa etichetta di Alfred Lion. Ma dove sta scritto che per divulgare su vasta scala una forma darte incontaminata bisogna per forza annacquarne la ricetta? Sia come sia, dopo il ritiro del fondatore (1967) la svolta stilistica verso il funk determinò un lento ma inesorabile declino finanziario, a dispetto delle ambizioni nutrite dalla nuova dirigenza. Il paradosso è che quellinfelice strategia editoriale fu ispirata da uno dei capolavori assoluti del catalogo Blue Note. Accadde, infatti, che uno spot televisivo della Chrysler adottasse come jingle proprio The Sidewinder, procurando allipnotico rhythm n blues di 24 battute una risonanza internazionale e conseguenti vendite record per un disco jazz. Ma lalbum omonimo conteneva ben altro. La presenza di Joe Henderson (sax tenore) in forma smagliante e la sezione ritmica condotta dalla batteria di Billy Higgins inquadrano le esecuzioni in una preziosa cornice strumentale, nella quale Lee Morgan disegna le sue nitide figure melodiche. Il timbro scuro e il fraseggio cogitabondo di Henderson si combinano a meraviglia con la pirotecnica esuberanza espressiva di Morgan che, anche nelle composizioni più elaborate, immette limmancabile ingrediente blues. Brian Case e Stan Britt (The Illustrated Encyclopedia Of Jazz) indicano lassolo di tromba su Totem Pole come il migliore mai inciso da Lee e, in effetti, si tratta di un colossale monumento allarte dellimprovvisazione. Ispirandosi a un suo amico descritto come a basic guy, but kind of deep, Morgan elabora la struttura blues di Garys Notebook articolandola in una sfiancante maratona hard-bop. Il valzer di Boy, What A Night viene trasfigurato in 12/8 per accentuarne la spinta cinetica, mentre il cantabile tema di Hocus Pocus colloca Lee Morgan tra i grandi autori moderni. È inconcepibile anche solo immaginare una collezione CD priva di questo titolo. - B.A. LEE MORGAN - SEARCH FOR THE NEW LAND (1964) Search For The New Land è un dei capolavori meno noti dellalbo doro Blue Note. Inciso pochi mesi dopo il clamoroso successo di The Sidewinder, al contrario delle aspettative il nuovo album non cavalcava londa funk di quellexploit, restando invece fedele al verbo hard-bop e conducendone lidioma al suo culmine evolutivo. Lee Morgan assembla una formazione inedita e brillante, affiancando Grant Green ad alcuni campioni passati alla storia per i rispettivi incontri con Miles Davis (Wayne Shorter, Herbie Hancock), John Coltrane (Reggie Workman) e Ornette Coleman (Billy Higgins): la Gibson del sesto uomo aggiunge uneversiva nota di elettricità alla collaudata dimensione strumentale del quintetto a due fiati. Su tutto, imperversa la straordinaria tromba di Lee, ora acrobatica (Mr. Kenyatta), ora giocosa (The Joker; Morgan The Pirate), sempre inconfondibile. Nella lunga suite che dà il titolo al disco - interpretata anche da Joe Lovano (Tribute To Lee Morgan) e Brian Lynch (Tribute To The Trumpet Masters) - un solenne intermezzo melodico ricorre tra ciascun assolo, dilatando i tempi e offrendo a Shorter, Morgan, Green e Hancock lo spazio necessario per sviluppare i fraseggi. La splendida Melancholee deve molto alle passionali orchestrazioni con cui Charles Mingus arrangiava le ballad: Steve Khan la immortalerà con una memorabile versione per chitarra acustica (Evidence). - B.A. LEE MORGAN - TOM CAT (1964) LEE MORGAN - THE RUMPROLLER (1965) LEE MORGAN - THE GIGOLO (1965) LEE MORGAN - CORNBREAD (1965) LEE MORGAN - CHARISMA (1966) LEE MORGAN - CARAMBA! (1968) LEE MORGAN - LIVE AT THE LIGHTHOUSE (1970) FABIO MORGERA - TAKE ONE (1988) Per il suo esordio in veste di titolare, inciso a Boston nel dicembre del 1988, il trombettista Fabio Morgera ha assemblato un classico quintetto hard-bop, due fiati + sezione ritmica. Sembrerebbe la scoperta dellacqua calda, eppure Take One è un disco sorprendente. La comprensibile diffidenza dellascoltatore che esitasse ad accostarsi a un nome poco conosciuto, verrà spazzata via in pochi istanti. Il leader firma tutti i pezzi, rivelandosi autore sensibile e in grado di proporre soluzioni armonico-melodiche aggiornate e moderne. Conquistati dallincantevole tema di 15A, dovrete attendere appena un minuto e 12 secondi perché limprovvisazione della tromba inizi a fugare i dubbi residui. Lautorevole intervento del tenore di George Garzone aggiunge concretezza al reparto avanzato della formazione. Rimarchevole anche il contributo complessivo del pianista Christian Jacob: eccellenti i suoi assoli su Aphrodite, shorteriana fin dal titolo (si pensi a Virgo, Penelope, Venus Di Mildew) e su Fourth Dimension, evidente tributo ai tempi doro della Blue Note. Chi ha amato quel sound, non si neghi lopportunità di apprezzare questo album delizioso. - B.A. FABIO MORGERA - THE PURSUIT (1991) FABIO MORGERA - SLICK (1998) MOTIAN / LOVANO / FRISELL - IT SHOULDVE HAPPENED A LONG TIME AGO (1984) PAUL MOTIAN - JACK OF CLUBS (1984) PAUL MOTIAN - MISTERIOSO (1986) MOTIAN / LOVANO / FRISELL - ONE TIME OUT (1987) PAUL MOTIAN - MONK IN MOTIAN (1988) PAUL MOTIAN - ON BROADWAY VOLL. 1, 2, 3 (1988/1989/1993) PAUL MOTIAN - BILL EVANS (1990) PAUL MOTIAN - MOTIAN IN TOKYO (1991) MOTIAN / LOVANO / FRISELL - TRIOISM (1993) MOTIAN / LOVANO / FRISELL - SOUND OF LOVE (1998) GERRY MULLIGAN / CHET BAKER - REUNION (1957) GERRY MULLIGAN - THE GENIUS OF GERRY MULLIGAN (1960) GERRY MULLIGAN - JERU (1962) GERRY MULLIGAN & PAUL DESMOND - TWO OF A MIND (1962) GERRY MULLIGAN - BUTTERFLY WITH HICCUPS (1964) DAVID MURRAY - LOW CLASS CONSPIRACY (1976) DAVID MURRAY - ORGANIC SAXOPHONE (1978) DAVID MURRAY - SUR-REAL SAXOPHONE (1978) DAVID MURRAY - CONCEPTUAL SAXOPHONE (1978) DAVID MURRAY - SWEET LOVELY (1979) DAVID MURRAY - MING (1980) Col terzo album per la Black Saint David Murray consegue un molteplice trionfo artistico, realizzando un disco unanimemente considerato un capolavoro, prodotto da un lungimirante mecenate italiano (Giovanni Bonandrini), inciso in pieno tripudio fusion e, a distanza di anni, assurto al rango di classico. Impostosi appena ventenne come il più credibile apostolo del verbo coltraniano, sebbene nel suo fraseggio isterico si rinvengano anche conati idiomatici di Albert Ayler ed Eric Dolphy, Murray propone una musica a tratti opaca e carica di scorie, eppure sempre straordinariamente eccitante. Affidate a un ottetto in cui militano almeno tre fuoriclasse dellavanguardia afro-americana - Henry Threadgill (alto), Butch Morris (cornetta), George Lewis (trombone) - le partiture di Ming sono altamente rappresentative del talento del sassofonista. La frenetica partenza di The Fast Life sprigiona una forza travolgente, in mirabile equilibrio fra tradizione e innovazione: il tema polifonico lancia i solisti che, durante la fuga, vengono saldamente tenuti in carreggiata dalla sezione fiati. Lo stesso metodo mingusiano di abbinare vivaci melodie esposte dal collettivo a convulse improvvisazioni individuali si ritrova nei policromi arrangiamenti di Jasvan e Deweys Circle. Lomonima ballad che Murray dedica alla propria moglie - Ming, la fanciulla ritratta in copertina - offre a Lewis loccasione di integrare la sua immagine di severo jazzista col registro più romantico del suo strumento. Con The Hill Murray firma una delle pagine più emblematiche del suo repertorio, riletta dallo stesso autore in momenti e con organici diversi (Flowers For Albert; Let The Music Take You; Sweet Lovely; The Hill): divisa in una prima parte quasi dissonante e in una seconda più euforica, la composizione si apre con un fitto dialogo clarone/contrabbasso per poi evolvere in una mini-sinfonia free. In definitiva, anche David Murray ha contribuito a salvarci dagli anni Ottanta. - B.A. / E.I.J. DAVID MURRAY - HOME (1981) DAVID MURRAY - I WANT TO TALK ABOUT YOU (1986) DAVID MURRAY - THE HILL (1986) DAVID MURRAY - DEEP RIVER (1988) DAVID MURRAY - LOVERS (1988) DAVID MURRAY - TENORS (1988) DAVID MURRAY - BALLADS (1988) MURRAY / TYNER / HOPKINS / JONES - SPECIAL QUARTET (1990) DAVID MURRAY - BALLADS FOR BASS CLARINET (1991) DAVID MURRAY / MILFORD GRAVES - REAL DEAL (1991) DAVID MURRAY - OCTET PLAYS TRANE (1999) |
| A | B | C | D | E-F | G | H-I | J-K | L | M | N-Q | R | S | T | U-Z |
| HOME | NEW | A.O.R. | SOUL | FUSION | JAZZ | ROCK | PROGRESSIVE | FOLK | 20th CENTURY |
| RADIO | BEATLES | 10cc | FRANK ZAPPA | SINATRA &
Co. | CINEMA | FOREVER YOUNG | LINKS |