A.O.R.
SAMUEL PURDEY - MUSICALLY ADRIFT (1999) DICK St. NICKLAUS - MAGIC (1979) DICK St. NICKLAUS - SWEET AND DANDY (1980) SANFORD &
TOWNSEND - THE SANFORD/TOWNSEND BAND Un esordio folgorante, a livello di Careless (Stephen Bishop) o Mannequin (Marc Jordan), e dopo 30 anni conserva inalterata la stessa detonante potenza di un Montepulciano dAbruzzo vecchio. Ed Sanford e John Townsend avevano già lasciato un segno su Native Sons, firmando le cose migliori - Wasting Our Time; Peacemaker - dellultimo disco di Loggins & Messina, ma con laccurato restauro di alcuni stereotipi ormai consunti (R&B, 'southern rock', soul) stavano tracciando le coordinate di un nuovo codice espressivo, forse senza neanche rendersene conto. Una band formidabile, due autori di levatura straordinaria e la voce di Townsend, una delle più belle di tutti gli anni Settanta, sicuramente la più sottovalutata: estensione incredibile, impeto mascolino e un timbro stentoreo che deve qualcosa a Daryl Hall, Glen Campbell e Tom Jones. A dispetto della scarsa popolarità, lalbum custodisce alcuni documenti essenziali dellarchivio A.O.R. e almeno un paio di classici (Smoke From A Distant Fire; Does It Have To Be You) che hanno dimostrato ben altra longevità rispetto alle produzioni di moda allepoca. Dal perfetto amalgama di organo e piano elettrico emergono i briosi interventi del batterista Jim Varley e delleccentrico Otis Hale, che passa con naturalezza dalla chitarra al sax. Ideale per resuscitare i cadaveri, Shake It To The Right diffonde una contagiosa voglia di muoversi (... I got ants in my pants and I just might dance all night ...). Leffervescente ottimismo che trasuda dalla musica si infrange sul testo di Moolah Moo Mazuma (Sin City Wahh-Oo), torbido commentario a base di splendori e miserie in scena a Los Angeles. Oriental Gate (No Chance Of Changin My Mind) è una focosa serenata tinta di gospel, turbata da passioni proibite e interpretata con ardore da John Townsend e Kenny Loggins. Registrato nei mitici Muscle Shoals in Alabama. Prodotto da Jerry Wexler e Barry Beckett. Sponsorizzato da Loggins. Censurato dalla radio e dai giornalisti. - B.A. SANFORD & TOWNSEND - DUO GLIDE (1977) LEO SAYER - ENDLESS FLIGHT (1976) LEO SAYER - THUNDER IN MY HEART (1977) BOZ SCAGGS - SLOW DANCER (1974) BOZ SCAGGS - SILK DEGREES (1976) Tutto dun tratto, lestate. Sappiamo qual è il vostro assillo. Vi serve un album concreto, ottimista, intelligente, che la conquisti alla prima nota di autoradio. Noi vi suggeriamo i Toto in procinto di fondare i Toto: è durante queste sedute di registrazione che David Paich, David Hungate e Jeff Porcaro maturano lidea di mettersi in proprio ma certo, la sezione ritmica più ambita del mondo, laccorta regia di Joe Wissert, due chitarre di lusso (Fred Tackett, Louie Shelton), alcuni specialisti che si alternano (Plas Johnson, Jim Horn, Tom Scott, Chuck Findley, Bud Shank etc.) ed ecco la magica formula degli Steely Dan (il batterista italo-americano era reduce dalla memorabile esperienza di Katy Lied) applicata con successo anche da Boz Scaggs. Impostate i controlli di tono con cura, appena un po di treble, i bassi vanno bene flat, volume alto ma senza esagerare fate partire Lowdown seguite ladagio babilonese ( drive west on sunset to the sea ) e guidate verso il mare da irrecuperabili fregnoni incapaci di battere un chiodo vi sentirete addosso il fascino di George Clooney calma! lasciate che lipnotica pulsazione slap/groove e il seducente amalgama di flauto e cori lavorino per voi ( whooooo, I wonder wonder wonder wonder who ), poscia irretitela con What Can I Say, Georgia, Its Over per lindispensabile sfoggio di cultura cè What Do You Want The Girl To Do, allorquando osserverete con nonchalance che Boz coglie bene la dolente, premurosa dedica al gentil sesso del capolavoro di Allen Toussaint, pur senza insidiare la stratosferica, definitiva versione di Lowell George (Thanks Ill Eat It Here) procedete implacabili con Lido Shuffle, servirà a farle capire che dietro il tenero faccione da Cicciobello palpita un ruvido cuore rock (senza offesa, ma chi vi conosce? stiamo solo congetturando) il soave clima marittimo di Harbor Lights smantella le difese residue e quando arriva Were All Alone - romantica ballad ripresa da Rita Coolidge (Anytime Anywhere) e di cui Bob James offrirà uno strepitoso arrangiamento fusion (Heads) - è già ora di alzare la capote unultima avvertenza: non fate la cazzata di ostinarvi con lA.O.R. in caso di rigetto, proponete una bella compilation di X-Factor per affinare i gusti cè sempre tempo - B.A. BOZ SCAGGS - DOWN TWO THEN LEFT (1977) Ray-Ban modello Aviator, camicia aperta sul collo, abito di taglio italiano, statue di ghiaccio in copertina a simboleggiare un impeccabile stile cool: nel 1977 Boz Scaggs impersonava larchetipo A.O.R. statunitense, affine e simmetrico alleuropeo Robert Palmer, al cui timbro meticcio opponeva un personalissimo falsetto nasale. Reduce dal trionfo di Silk Degrees, con Down Two Then Left egli concepì un sequel persino più bello del disco precedente, pur senza ripeterne gli incassi stratosferici. Subentrato a David Paich nel ruolo di supervisore musicale, Michael Omartian accentua ulteriormente la virata espressiva dal rock al soul, suonando le tastiere e affidandosi al prezioso supporto di Jeff Porcaro: linesauribile propulsore tricilindrico del batterista (rullante/charleston/grancassa) traina tutto lalbum. La canzone pop diventa adulta grazie alleleganza degli arrangiamenti e alla classe degli assoli, ma la confezione lussuosa contiene sempre unidea brillante: la chitarra di Steve Lukather (A Clue), il flicorno di Chuck Findley (Were Waiting), le splendide aperture melodiche (Still Falling For You; Whatcha Gonna Tell Your Man; Hollywood) e le atmosfere ad alta tensione (Hard Times; Gimme The Goods; 1993). Con levocativo titolo di Tomorrow Never Came, Boz ripropone una ballad sulla falsariga dellindimenticabile Were All Alone (Silk Degrees) che, però, resta insuperata. Produzione del saggio Joe Wissert (Gordon Lightfoot, Helen Reddy etc.). - B.A. BOZ SCAGGS - MIDDLE MAN (1980) DIANE SCHUUR - SCHUUR THING (1985) MARILYN SCOTT - DREAMS OF TOMORROW (1979) MARILYN SCOTT - WITHOUT WARNING (1983) MARILYN SCOTT - SKY DANCING (1991) MARILYN SCOTT - SMILE (1992) MARILYN SCOTT - TAKE ME WITH YOU (1996) MARILYN SCOTT - AVENUES OF LOVE (1998) MARILYN SCOTT - WALKING WITH STRANGERS (2001) SEA LEVEL - SEA LEVEL (1977) SEA LEVEL - CATS ON THE COAST (1978) SEALS & CROFTS - YEAR OF SUNDAY (1972) SEALS & CROFTS - SUMMER BREEZE (1973) SEALS & CROFTS - DIAMOND GIRL (1974) SEALS & CROFTS - ILL PLAY FOR YOU (1975) SEALS & CROFTS - GET CLOSER (1976) SEALS & CROFTS - SUDAN VILLAGE (1976) SEALS & CROFTS - ONE ON ONE (1977) SEALS & CROFTS - TAKIN IT EASY (1978) SEALS & CROFTS - THE LONGEST ROAD (1980) DARA SEDAKA - IM YOUR GIRLFRIEND (1982) BEN SIDRAN - FEEL YOUR GROOVE (1971) BEN SIDRAN - I LEAD A LIFE (1972) BEN SIDRAN - PUTTIN IN TIME ON PLANET EARTH (1973) BEN SIDRAN - DONT LET GO (1974) BEN SIDRAN - FREE IN AMERICA (1976) BEN SIDRAN - THE DOCTOR IS IN (1977) BEN SIDRAN - A LITTLE KISS IN THE NIGHT (1978) Ben Sidran ha
compiuto il miracolo di convertire i profani e recuperare
i disillusi al jazz. Quando un
minimo di attenzione rappresenta una fatica eccessiva o
la noia della routine provoca una crisi di rigetto, ecco
che il suo approccio fondato sulla concretezza suscita un
interesse inatteso o riaccende lentusiasmo sopito.
Neanche dopo tanti anni di carriera, tuttavia, gli è
stato adeguatamente riconosciuto il merito di aver
connesso due generi così diversi come hard-bop
e canzone dautore in un idioma spontaneo e
godibile. Brillante epigono di Mose
Allison, egli si è ritagliato una nicchia di
visibilità - in convergenza parallela con Michael Franks -
nellimpegnativo cimento di accostare la platea pop
a una musica più sofisticata. The Doctor Is In e A
Little Kiss In The Night segnano il passaggio a un
livello di rifinitura formale superiore rispetto ai pur
ottimi album pubblicati fino a quel momento. Consulenza / Assistenza: Lorenzo 7Panella BEN SIDRAN - LIVE AT MONTREUX (1979) BEN SIDRAN - THE CAT AND THE HAT (1980) Il progetto era rischioso: amalgamare hard-bop e fusion con liriche dautore, senza annacquare nessuno dei tre ingredienti. Una solida cultura letteraria e il retroterra di ex-critico musicale - autorevole e competente - consentirono a Sidran di non combinare pasticci. Sebbene egli non abbia fatto proseliti (a meno di non considerare epigono Gegè Telesforo siamo seri) la qualità elevata e costante dei suoi dischi è prova di un talento indiscutibile. Con The Cat And The Hat egli perfeziona la collaudata formula degli standard jazz riproposti con le parole, aggiunte o ritoccate. Gli adattamenti sono così eleganti che si ha limpressione di ascoltare delle splendide canzoni nate già come tali: due esempi da 10 e lode sono Ask Me Now di Monk e Girl Talk di Neal Hefti. Un piccolo drappello di virtuosi (Michael Brecker, Joe Henderson, Tom Harrell, Mike Mainieri etc.) maneggia il materiale con grande confidenza, sfruttando gli ampi spazi disponibili per immettere assoli a volontà. Seven Steps To Heaven, il capolavoro scritto da Victor Feldman per Miles Davis, è percorso dalle crepitanti rullate di Steve Gadd, che dimostra la veridicità dellassunto - invero abusato - secondo cui la batteria può diventare uno strumento melodico. Il recupero filologico continua con Like Sonny, un classico firmato da Coltrane su imbeccata di Rollins: allintrigante tema di sapore esotico, esposto dal sintetizzatore, segue una gustosa divagazione funk che evidenzia la sbalorditiva modernità del pezzo. Hi-Fly e Give It To The Kids traggono beneficio dalle più lucide tendenze stilistiche di fine anni Settanta. - B.A. BEN SIDRAN - OLD SONGS FOR THE NEW DEPRESSION (1981) BEN SIDRAN - BOP CITY (1983) Eddie Gomez e Peter Erskine colonne della sezione ritmica, Mike Mainieri virtuoso del vibrafono (Big Nick, It Didnt All Come True, City Home, Monks Mood) e sagace co-produttore, Phil Woods [Solar, Bop City (Theme From Jazz Alive!), Up Jumped Spring] e Steve Khan (Little Sherry, Nardis) che si alternano come ospiti di lusso chi non vorrebbe fare un disco con questa band? Il prestigio di Ben Sidran come studioso serio*, esperto autorevole, pianista egregio e cantautore sofisticato agevolò un così impegnativo reclutamento. Se lo stupendo The Cat And The Hat era il manifesto della canzone fusion, Bop City ripiegava su cool e hard-bop, elaborando una brillante parafrasi vocale dellintegerrimo mainstream proposto dallo stesso Phil Woods dal 1977 (Song For Sisyphus) e per tutti gli anni Ottanta (European Tour Live, Birds Of A Feather, Heaven, Integrity, Gratitude, Evolution, Heres To My Lady, Flash, Real Life etc.). Laristocrazia del jazz (Miles Davis, John Coltrane, Charlie Rouse, Freddie Hubbard, Thelonius Monk) contribuisce alla scaletta a propria insaputa: il folgorante incipit di Solar ( time isnt passing, it just keeps going round ), un buffo motivetto estrapolato dalla coltraniana Big Nick, poi ricondotto al legittimo rango dai fraseggi del contrabbasso, latipico blues di Little Sherry scandito dalle spazzole, i ricami della chitarra acustica sulla tenebrosa Nardis, il valzer primaverile di Up Jumped Spring, le dolenti note di Monks Mood illustrano con chiarezza come Sidran sappia tradurre venerati standard strumentali in preziosi arrangiamenti canori. Con lintensa interpretazione di City Home egli rende omaggio a Mose Allison, suo principale ispiratore. A conferma del momento felice, uno delle pagine più belle è lautografa It Didnt All Come True. Insieme a Steely Dan e Michael Franks, Ben Sidran è lartista che meglio ha saputo accostare limprovvisazione alla pop-song. [P.S. - *Libri: Black Talk. Radio: Jazz Alive!; Sidran On Record; Talking Jazz.] - B.A. BEN SIDRAN - ON THE COOL SIDE / HEAT WAVE (1985) BEN SIDRAN - TOO HOT TO TOUCH / ENIVRE DAMOUR (1988) BEN SIDRAN - DYLAN DIFFERENT (2009) PAT SIMMONS - ARCADE CARLY SIMON - NO SECRETS (1972) CARLY SIMON - HOTCAKES (1974) CARLY SIMON - PLAYING POSSUM (1975) CARLY SIMON - ANOTHER PASSENGER (1976) CARLY SIMON - BOYS IN THE TREES (1978) CARLY SIMON - SPY (1979) CARLY SIMON - COME UPSTAIRS (1980) CARLY SIMON - TORCH (1982) PAUL SIMON - STILL CRAZY AFTER ALL THESE YEARS (1975) PAUL SIMON - GRACELAND (1986) Reggetevi forte: esiste una canzone scritta da Walter Becker e Donald Fagen incisa nel 1981 da un gruppo non esattamente rinomato ... gli Sneaker. Dont Let Me In risale allepoca pre-Steely Dan, quando i due fricchettoni cercavano ancora di affermarsi come autori. La loro versione, alquanto acerba, può essere rintracciata nel doppio CD Catalyst, una pubblicazione di straordinario valore documentale. La cover realizzata da questo gruppo - oscuro ma valoroso - dona alla canzone i necessari ritocchi estetici: chi fosse cresciuto con le note di Rose Darling e Barrytown al primo ascolto rischia una crisi acuta di nostalgia. Quelle progressioni armoniche così inequivocabili, e quel tocco di romantico cinismo che nelle parole di Donald e Walter è sempre presente: ... I hear you found a brand new friend / well if I try to take you back again / if I decide to make a mend / dont let me in ... you hear a knocking on your door / a pounding of a heart you cant ignore / soon it isnt there no more / dont let me in .... Daccordo, ma gli arrangiamenti? Scusate se il produttore e chitarrista dellalbum è Jeff Baxter, veterano degli anni Settanta a cui va il merito di aver disseppellito questa gemma inestimabile. Se le coronarie avranno retto lemozione di un inedito così prezioso, e dopo uniniziale, legittima sottovalutazione degli altri brani, si rimarrà piacevolmente sorpresi dal livello del materiale originale: non cè nulla che meriti meno di 8½. Dal tipico sound A.O.R. di Jaymes, One By One, No More Lonely Days e Get Up, Get Out, alla morbida ballad More Than Just The Two Of Us, al retrogusto pop di In Time, che evoca alcune cose dei Beatles psichedelici. Il debito col miglior rock inglese si fa ancora più ingente su Looking For Someone Like You e Millionaire. - B.A. Consulenza: Lorenzo 7Panella PHOEBE SNOW - PHOEBE SNOW (1974) Vero nome Phoebe Laub. Nata e cresciuta a New York. Figlia del Greenwich Village, si esibiva come folk-singer al Bitter End, dove fu scovata da un lungimirante emissario della Shelter Records. Scritturata seduta stante, pubblicò un esordio discografico di raro spessore, rivelando subito unanima divisa tra soul e jazz. La sua voce coniuga unestensione illimitata con un timbro di gola seducente, vespertino, che in termini di potenziale espressivo evoca le figure di Aretha, Gladys e altre grandi sacerdotesse del tempio Atlantic/Motown/Stax. Appena ventiduenne, Phoebe firmava già canzoni in cui la profondità dei testi combaciava con una straordinaria consistenza musicale. Gli arrangiamenti sono concisi ma ideali per mettere in risalto la bellezza dei temi. La chitarra acustica dellautrice dialoga, di volta in volta, con il piano di Teddy Wilson (Harpos Blues), il sax tenore di Zoot Sims (It Must Be Sunday), il dobro di David Bromberg (Either Or Both), le chitarre elettriche di Dave Mason (No Show Tonight) e Steve Burgh (I Dont Want The Night To End). Sulla classica Good Times di Sam Cooke, il gruppo vocale dei Persuasions duetta con Phoebe in uninconsueta, trascinante versione gospel-blues. Poetry Man, suggestiva melodia sospesa su un arpeggio di accordi raffinatissimi, arrivò al quinto posto nella classifica dei singoli e ottenne una nomination al Grammy Award, quando quel premio significava ancora qualcosa. - B.A. PHOEBE SNOW - SECOND CHILDHOOD (1976) A pari merito con The Royal Scam e Songs In The Key Of Life, è il più bel disco americano del 1976. Provate ad ascoltarlo partendo dallultimo brano - Theres A Boat Thats Leavin Soon For New York, classico di George Gershwin da Porgy And Bess - introdotto dal piano elettrico di Don Grolnick a cui, con discrezione, si affianca unelegante sezione fiati che, nel finale, lancia la spettacolare fuga jazz guidata da Jerome Richardson (flauto) e Grady Tate (batteria): difficile restare indifferenti di fronte a tanta classe e a una voce di tale levatura. Non basta: linterprete magistrale possiede anche eccellenti doti di autrice. Lo stile abbozzato nel primo album è ormai maturo, e il suo sviluppo istologico raggiunge uno stadio evolutivo in cui i generi pre-esistenti vengono sublimati in unautentica fusion canora, peculiare corrente espressiva che non vanta riconoscimenti ufficiali né eredi ma che, prima di essere assorbita dal movimento A.O.R., lascerà reperti inestimabili in pochi, splendidi album (From A Whisper To A Scream, Perfect Angel, Fathoms Deep, The Art Of Tea, To The Heart, Raw Silk, Stonechaser). I ritmi disco e i sussulti rock - tipici di alcune produzioni coeve - lasciano spazio ad arrangiamenti che privilegiano il suono policromo della Gibson 335, la rotonda duttilità del Fender Rhodes, leloquio sinuoso del sax, le oscillazioni ipnotiche dei tempi medi. La chitarra acustica di Phoebe - ultima reliquia delle origini folk - si limita ad assecondare con diligenza le raffinate orchestrazioni di Pat Williams e gli ispirati interventi di noti strumentisti del giro newyorkese (Steve Gadd, David Sanborn, John Tropea etc.). Musicalmente omogeneo, perfettamente conservato in unimpermeabile bolla temporale, Second Childhood allevia i tormenti delluomo moderno con massicce iniezioni di estasi pura: le ampie volte melodiche di All Over e Two-Fisted Love; gli echi della scuola CTI che risuonano su Sweet Disposition, prima che le metropoli americane venissero devastate dal rap; una versione di No Regrets che entusiasmerebbe Ella Fitzgerald; le riflessioni a cuore aperto di Isnt It A Shame, Inspired Insanity e Pre-Dawn Imagination; il riuscito adattamento di Goin Down For The Third Time, grintoso standard di Holland-Dozier-Holland. Alcuni passaggi lirici di inebriante sensualità completano il rito della seduzione: when Im insecure and cant give you enough / I watch Mother Nature doing her stuff (Cash In). Se non funziona, consultate uno specialista. - B.A. PHOEBE SNOW - IT LOOKS LIKE SNOW (1976) PHOEBE SNOW - NEVER LETTING GO (1977) PHOEBE SNOW - AGAINST THE GRAIN (1978) Phoebe Snow se nè andata il 26 Aprile 2011. Laffettuoso necrologio firmato da Donald Fagen descrive unartista capace di superare le amarezze della vita con la forza del talento più puro. Per noi appassionati, il suo addio cancella dal mosaico rock lennesimo, inestimabile tassello di una stagione mai troppo rimpianta. Unautrice/inteprete in grado di comporre canzoni di successo (Poetry Man) e realizzare opere sublimi (Second Childhood), dotata di unestensione di quattro ottave veicolata da un lussurioso timbro meticcio (voce, chioma, fisionomia e penuria di immagini ci convinsero a lungo che fosse afro-americana, invece era unebrea newyorchese). In quei giorni nulla pareva impossibile: 1) reclutare Sua Altezza Phil Woods per un assolo su Never Letting Go e intitolare lintero LP come lo standard di Stephen Bishop tratto da Careless; 2) rileggere magistralmente la stupenda Something So Right del mentore Paul Simon (There Goes Rhymin Simon); 3) duettare con Kenny Loggins sul gioiello autografo Were Children; 4) promuovere senza rivalità la collega Patti Austin registrandone una pop-song (In My Life) del catalogo CTI (End Of A Rainbow)*; 5) avvalersi del sax di Michael Brecker per il brillante remake di Love Makes A Woman, classico soul dallomonimo album di Barbara Acklin; 6) sfidare Cher (3614 Jackson Highway) e Aretha Franklin (I Never Loved A Man The Way I Love You) con una superba versione dellevergreen Do Right Woman, Do Right Man; 7) ribadire lamore per i Beatles, dopo lomaggio a tributato a John Lennon con Dont Let Me Down (It Looks Like Snow), recuperando una preziosa Every Night dallesordio individuale di Paul McCartney (McCartney); 8) esibire lispirazione di unepoca felice firmando di proprio pugno il diario emotivo di Majesty Of Life, lacquerello californiano di Oh L.A., lautoritratto esistenziale di Random Time ( made a fool of and laughing ). In sostanza, due dischi belli ma discontinui che, presi insieme, ne fanno uno indispensabile. [P.S. - *Dal repertorio di Patti Austin avevamo già apprezzato almeno due pagine: Were In Love, dal suo secondo capitolo CTI (Havana Candy) e Ive Got The Melody (Deep In My Heart), incisa in coppia con Kenny Loggins (Celebrate Me Home).] - B.A. PHOEBE SNOW - ROCK AWAY (1981) PHOEBE SNOW - SOMETHING REAL (1989) TOM SNOW - TAKING IT ALL IN STRIDE (1975) TOM SNOW - TOM SNOW (1977) TOM SNOW - HUNGRY NIGHTS (1982) Nonostante comporti spesso cocenti delusioni, talvolta la fatica di spulciare limmenso archivio A.O.R. ripaga con sorprese sbalorditive. Apprezzato da colleghi e interpreti del calibro di Diana Ross, Valerie Carter, Randy Crawford, Dionne Warwick, Melissa Manchester, Air Supply, Kenny Loggins etc., Tom Snow è un talento puro, autore dotatissimo in grado di comporre strofe, ritornelli e bridge di micidiale coerenza ed efficacia, e di abbinare alla musica parole di raro spessore lirico. Il suo capolavoro, Hungry Nights, è uno di quegli album, ormai sempre più inconsueti, in cui non si scarta nulla. Forse Straight For The Heart e Love Hangs By A Thread sono solo pop-song, ma il tasso creativo impiegato per concepirle fa della prima lallarmante ritratto rock di una mangiatrice di uomini e dellaltra un impetuoso crescendo dedicato agli amori appesi a un filo. Voto a entrambe: 10. I migliori strumentisti dellepoca [Ed Greene, Jeff Porcaro, Tris Imboden, Mike Baird (batteria); Lee Sklar, Abe Laboriel (basso), Dean Parks (chitarre, produttore)] esaltano gli arrangiamenti con un suono nitido e affilato che ha reso grande il genere. Sublime con la penna, Tom Snow è straordinariamente espressivo anche al microfono, ove esibisce un curioso timbro a metà tra Don Henley e Russell Mael. Dagli orecchiabili refrain di Our Song, Soon, Dont Call It Love spunta comunque il guizzo brillante a nobilitare le armonie. Il retroterra dellalunno di Berklee si coglie sulla sofferta intensità di I Almost Let You Go, sullirresistibile passo ritmico di Hungry Nights e sullo spunto narrativo di I Think I Know Too Much, in cui il protagonista è atterrito dalla troppa esperienza di una fanciulla. Meravigliose le due ballad per piano e voce, Time Of Our Lives e Somewhere Down The Road, questultima incisa lanno prima da Barry Manilow (If I Should Love Again): entrambe le versioni sono indispensabili. - B.A. DAVID SOUL - DAVID SOUL (1976) DAVID SOUL - PLAYING TO AN AUDIENCE OF ONE (1977) JOHN DAVID SOUTHER - JOHN DAVID SOUTHER (1972) JOHN DAVID SOUTHER - BLACK ROSE (1976) JOHN DAVID SOUTHER - YOURE ONLY LONELY (1979) JOHN DAVID SOUTHER - HOME BY DAWN (1984) SOUTHER / HILLMAN / FURAY - THE SOUTHER / HILLMAN / FURAY BAND (1974) SOUTHER / HILLMAN / FURAY - TROUBLE IN PARADISE (1975) SHEILA SOUTHERN - DIDNT WE / THE JIMMY WEBB SONGBOOK (1966/1969) JIMMIE SPHEERIS - ISLE OF VIEW (1971) JIMMIE SPHEERIS - THE ORIGINAL TAP DANCING KID (1973) JIMMIE SPHEERIS - THE DRAGON IS DANCING (1975) JIMMIE SPHEERIS - PORTS OF THE HEART (1976) DUSTY SPRINGFIELD - A GIRL CALLED DUSTY (1964) DUSTY SPRINGFIELD - STAY AWHILE / I ONLY WANT TO BE WITH YOU (1964) DUSTY SPRINGFIELD - OOOOOOWEEEE!!! (1965) DUSTY SPRINGFIELD - EVRYTHINGS COMING UP (1965) DUSTY SPRINGFIELD - WHERE AM I GOING (1967) Si legge spesso e si dice in giro che Dusty In Memphis sarebbe il più bel disco della Springfield. A sostegno dellassunto, nulla più che il fascino subliminale esercitato da un sito geografico, crogiuolo di stili, santuario della Stax e sepolcro di Elvis Aaron Presley. Se da una parte, dunque, va stigmatizzato il vezzo di riempirsi la bocca con le ovvietà, dallaltra si deve ammettere che quellalbum è davvero un capolavoro. Ma, aggiungiamo noi, A PARI MERITO CON LINTERO CATALOGO DI DUSTY. Pertanto, qualsiasi ristampa CD riusciste a scovare (antologie, compilation, frattaglie etc.), non date retta ai maniaci del cavillo e arraffatela senza indugi. Nel caso di Where Am I Going, ladorabile mise esibita in copertina dalla diva inglese è indicativa di unepoca mai troppo rimpianta. Affidate alle cure di arrangiatori fidati e sensibili, canzoni famose o prossime a diventarlo esaltano la sua classe immensa: una voce squillante, argentina, sexy ma tenera, colma di passione, appena increspata nellottava più bassa, il che suggeriva quella spontanea, sottile lusinga erotica. Suprema interprete di Bacharach, a livello di una Dionne Warwick, con (They Long To Be) Close To You Dusty sfida la musa del grande autore (Make Way For Dionne Warwick) e anticipa di ben tre anni la popolare versione dei Carpenters (pure splendida). Talento puro e coscienza dei propri mezzi la spingevano a misurarsi con modelli apparentemente inavvicinabili: standard collaudati come Sunny, o tratti da celebri musical come Come Back To Me [On A Clear Day (You Can See Forever)], entrambi incisi da Sinatra con lorchestra di Ellington (Francis A. & Edward K.); una pagina poco nota ma straordinaria come Dont Let Me Lose This Dream, scritta da Aretha Franklin e inclusa nel testo sacro I Never Loved A Man The Way I Love You. Credeteci o no, Dusty regge il confronto con the Voice e addirittura supera the Queen of Soul, entrando in pompa magna nellélite delle ugole doro. Selezionato con fiuto infallibile e gusto squisito, il repertorio passa dalla foga R&B di Bring Him Back, ripresa anche da Cissy Sissie Houston (madre di Whitney), alla struggente poesia pacifista di Broken Blossoms, attraverso la romantica impazienza di I Cant Wait Until I See My Babys Face fino alla stupenda curva melodica di Welcome Home. Laddio di If You Go Away provoca un diluvio di lacrime: alla sublime traduzione inglese di Rod McKuen, Dusty aggiunge una strofa con le parole originali di Jacques Brel (Ne Me Quitte Pas), insidiando da vicino la versione definitiva di Glen Campbell (Wichita Lineman). Sul ritmo trotterellante di Where Am I Going va in scena il delicato tema del bilancio esistenziale: levidente partecipazione emotiva con cui Dusty, allora appena ventottenne, confessa ansie, sconfitte e debolezze assume la valenza di una sofferta autobiografia. Composta da Cy Coleman e Dorothy Fields per Sweet Charity, amara commedia di Neil Simon ispirata a Le Notti Di Cabiria di Fellini e diretta da Bob Fosse prima a teatro e poi al cinema, la title-track è unesplosione di sensazioni agrodolci, magistralmente riprodotte dallorchestra di Wally Stott. Nel 1975 Gino Vannelli avrebbe affrontato lo stesso argomento con una memorabile suite omonima [Where Am I Going (Storm At Sunup)]. Cara, dolce, amatissima Mary OBrien, perchè ci hai lasciato così presto? Non vogliamo restare soli con Antonio Socci e Lanfranco Pace. Abbi misericordia, veglia su di noi. - B.A. DUSTY SPRINGFIELD - DUSTY ... DEFINITELY (1968) DUSTY SPRINGFIELD - DUSTY IN MEMPHIS (1969) Aprire la scaletta con un valzer lento è scelta audace, ma chiudete gli occhi e lasciatevi sedurre dal capolavoro* di Barry Mann e Cynthia Weil: la sensuale curva melodica e le sublimi parole di Just A Little Lovin intonate da una voce letteralmente irresistibile vi faranno ululare di passione riducendovi, secondo la tempra, a depressi cronici in dolcevita nero, ansimanti onanisti con le occhiaia cave, allupati cascamorti della porta accanto o, magari, a entusiasti cultori di Dusty Springfield. In un modo o nellaltro, dopo aver ascoltato Mary OBrien, si cambia. La diva inglese era già famosa in America, ma desiderava esaltare la propria squisita vocazione soul in un ambiente diverso da Londra e, anche in termini geografici, più prossimo alle radici di quel suono. Ecco allora la stipula del contratto con la Atlantic, la regia affidata a tre guru della produzione - Jerry Wexler, Arif Mardin, Tom Dowd - e la trasferta presso lAmerican Sound Studio, dove Aretha Franklin aveva appena inciso I Never Loved A Man The Way I Love You. Wexler fu messo in croce dal bizzarro connubio di insicurezza (il confronto con i maestri afro-americani) e perfezionismo (la ricerca di unemozione autentica) con cui Dusty scartava decine di canzoni proposte in fase di selezione del repertorio. La severa cernita distillerà, infine, alcune preziose pagine di Carole King (Dont Forget About Me, No Easy Way Down, I Cant Make It Alone), Randy Newman (I Dont Want To Hear It Anymore, Just One Smile), Burt Bacharach (In The Land Of Make Believe), Eddie Hinton (Breakfast In Bed), Michel Legrand (The Windmills Of Your Mind), rilette da Dusty con intensità e convinzione straordinarie: il suo stile consisteva nel perfetto equilibrio tra pura bellezza del timbro, accento dal retrogusto british, realistica interpretazione del testo, intima vulnerabilità sentimentale, sex appeal sottinteso. Laltro vertice dellalbum è Son Of A Preacher Man, instant classic di John Hurley e Ronnie Wilkins, in cui la cotta per il figlio di un predicatore narrata in chiave rhythm n blues ispirerà e sarà ripresa da Quentin Tarantino per la scena dellinterfono su Pulp Fiction, perfetta sintesi cinematografica dellattrazione fatale ma impraticabile tra la pupa del boss (Uma Thurman) e il sicario piacione (John Travolta): memorabile il groove impostato dalla ritmica di Tommy Cogbill (basso elettrico), Reggie Young (chitarra), Gene Chrisman (batteria) e dal coro delle Sweet Inspirations. A un certo punto qualcuno iniziò a definire Dusty Springfield icona gay: sebbene lespressione sia francamente al di là del bene e del male, a Neil Tennant dei Pet Shop Boys si deve comunque il merito di aver rilanciato a sorpresa la carriera di unartista immensa con due ottime canzoni (What Have Done To Deserve This?, Nothing Has Been Proved). Ledizione CD del 2002 è la migliore: il booklet contiene un appassionato saggio critico scritto da Elvis Costello. [P.S. - 1) *A pari merito con Never Gonna Let You Go, possibilmente nella versione di Dionne Warwick (Friends In Love). 2) La Continuum ha dedicato a Dusty In Memphis un volume della collana 331/3.] - B.A. DUSTY SPRINGFIELD - A BRAND NEW ME (1970) DUSTY SPRINGFIELD - FROM DUSTY ... WITH LOVE (1970) DUSTY SPRINGFIELD - SEE ALL HER FACES (1972) DUSTY SPRINGFIELD - CAMEO (1973) DUSTY SPRINGFIELD - IT BEGINS AGAIN (1978) DUSTY SPRINGFIELD - LIVING WITHOUT YOUR LOVE (1979) DUSTY SPRINGFIELD - LOVE SONGS (1967/1979) STEELY DAN - CITIZEN STEELY DAN (1972/1980) Il fenomeno più esecrabile che abbia caratterizzato il mondo del giornalismo musicale nostrano negli ultimi trentanni è stato, e continua ad essere, il trasformismo. Chi non ricorda linsopportabile tormentone sugli Steely Dan? La cura negli arrangiamenti era pignoleria; per la loro estrema dedizione nella stesura dei brani erano considerati maniaci e perfezionisti; il risultato di ore e ore di appassionato lavoro in sala di registrazione veniva liquidato come freddo o lezioso. Improvvisamente, con lineluttabile riconoscimento del genio di Donald Fagen, alla luce degli esiti artistici raggiunti con lalbum The Nightfly, tutti quei cattivi maestri (dossier I / II / III) si sono affrettati a indicare gli Steely Dan come lemblema stesso della musica americana degli anni Settanta, e così è cominciata la riscoperta. Non cè tempo per rammaricarsi del ritardo. È il caso, semmai, di salutare positivamente lavvenuto riconoscimento della loro superiorità. «Donald Fagen e Walter Becker sono colti, amano il jazz e frequentano i club del Village, scrivono testi velenosi e sceneggiature gialle e nere su una generazione di intellettuali che non vuole arrendersi al conformismo rock». Questa descrizione, estratta nientemeno che da una guida televisiva, si attaglia perfettamente alla loro monumentale opera omnia pubblicata dalla MCA. Un elegante cofanetto di 4 CD, contenente i sette album degli Steely Dan, più un inedito dalle session di The Royal Scam (Here At The Western World), il tema conduttore del film FM e un demo di esclusivo interesse documentaristico (Everyones Gone To The Movies). È un peccato che i testi non siano stati inclusi nella confezione, per altro ricca di articoli e ritagli depoca. Contrariamente a quanto sostenuto più volte dai soliti esperti, le liriche degli Steely Dan sono profonde, evocative e tuttaltro che impenetrabili. La raccolta integrale delle canzoni di Becker & Fagen consente di aggirare improbabili distinguo tra un titolo e laltro. Qui è contenuta la quintessenza del rock americano adulto, la sintesi perfetta e definitiva degli umori più genuini di Los Angeles e New York, realizzata da questo gruppo fantasma, veicolo ideale per le composizioni di Becker e Fagen i quali, grazie a produzioni sempre dispendiosissime, arruolano i più grandi fuoriclasse in circolazione. La lista dei nomi è impressionante: Jeff Porcaro, Larry Carlton, Steve Gadd, Wayne Shorter (Weather Report), Steve Khan, Phil Woods, Jay Graydon (Airplay), Michael McDonald (Doobie Brothers), Tom Scott e tanti altri. Innumerevoli i momenti memorabili di questo lungo racconto musicale. Per una disamina più dettagliata dei sette capitoli si consultino le voci relative ai singoli album. [P.S. - Imperdonabile la scelta di escludere Dallas e Sail The Waterway, i due lati del singolo pubblicato prima di Cant Buy A Thrill.] - B.A. STEELY DAN - CANT BUY A THRILL (1972) Il più grande esordio* discografico della storia del rock: dieci canzoni senza difetti avvolte in una copertina esplicita e introdotte da un titolo memorabile (non si compra unemozione). Cosaltro bisogna proporre al giovane indottrinato dalle radio italiane per convincerlo a procurarsi Cant Buy A Thrill prima di subito? Trainato da un successo per tutte le stagioni come Do It Again - strofa ipnotica, ritornello infallibile, mirabolante fraseggio di sitar - lalbum presenta al mondo una misteriosa non-band diretta da un supervisore geniale come Gary Katz, impersonata da due colti, dispotici fuoriclasse cresciuti a beat e jazz - Walter Becker, Donald Fagen - che infatti scipparono il nome a un vibratore citato da William Burroughs nel Pasto Nudo. Nasceva il mito Steely Dan: melodie complesse ma orecchiabili, parole enigmatiche ma suggestive, armonizzazioni sofisticate, arrangiamenti raffinatissimi, assoli di chitarra entrati nella leggenda. Nel 1972 quella di Donald Fagen non era ancora lunica voce ufficiale e i brani cantati da David Palmer (cori) e Jim Hodder (batteria) sono altrettanti capolavori: 1) Dirty Work, grido di rivolta sentimentale che istigò il gentil sesso, se è vero che poi produsse ben tre cover al femminile [Melissa Manchester (Help Is On The Way), Pointer Sisters (Energy), Lauren Wood (Lauren Wood)]; 2) Midnite Cruiser, evocativa road ballad guidata con polso fermo da Jeff Skunk Baxter; 3) Brooklyn (Owes The Charmer Under Me), toccante ode al popolare quartiere di Long Island ( a piece of island cooling in the sea ). Quando poi Donald si accosta al microfono, il prodigio converte anche gli ultimi scettici: la seducente eco latina di Only A Fool Would Say That, il bizzarro amalgama stilistico di Reelin In The Years, in cui i riff elettrici di Elliott Randall incorniciano brandelli di rap e tarantella, le dolenti riflessioni di un fallito che risuonano nelle note del pianoforte su Fire In The Hole ( a womans voice reminds me to serve and not to speak ), lambiguo inno al cambiamento - sociale, emotivo, anagrafico? - di Change Of The Guard, con quel memorabile nah nah nah nah nah nah nah nah che conduce il tema in tuttaltra direzione. Come accadeva per i Beatles (Tomorrow Never Knows, All You Need Is Love, A Day In The Life, Good Night etc.), anche con gli Steely Dan (King Of The World, Throw Back The Little Ones, Josie, Third World Man) lepilogo di unopera deve lasciare il segno: Turn That Heartbeat Over Again è una rutilante rapsodia di variazioni e fughe racchiusa nel formato della pop-song. Tutta da leggere la finta recensione scritta da Donald Fagen col fantastico pseudonimo di Tristan Fabriani. [P.S. - 1) *Senza firmarsi ancora come Steely Dan, lanno prima Becker e Fagen avevano inciso e pubblicato la colonna sonora di un film di Peter Locke [You Gotta Walk It Like You Talk It (Or Youll Lose That Beat)]. 2) Ispirato a un celebre testo di Bob Dylan (It Takes A Lot To Laugh, It Takes A Train To Cry). 3) In veste di assistant engineer, nei credits è indicato Tim Weston, futuro leader dei Dr. Strut e dei Wishful Thinking.] - B.A. STEELY DAN - COUNTDOWN TO ECSTASY (1973) STEELY DAN - PRETZEL LOGIC (1974) Il più bel disco americano del 1974 - a pari merito con Reunion quello inglese era Sheet Music - vive del contrasto espressivo tra il disilluso realismo in bianco e nero della foto di copertina (RaeAnne Rubenstein) e la rutilante ricchezza cromatica delle invenzioni musicali. Con Walter Becker e Donald Fagen saldamente al comando del brand e il secondo ormai designato come unico cantante, le registrazioni furono coordinate da Gary Katz e Roger Nichols al Village Recorder, affiancando allorganico stabile di Countdown To Ecstasy i migliori specialisti di Los Angeles (Timothy B. Schmit, Michael Omartian, Chuck Rainey, Ernie Watts, Wilton Felder, Jim Gordon etc.). Destinata a sparire dalle opere degli Steely Dan, sopravvive un ultimo istante la chitarra acustica - qui in mano a Dean Parks - per caratterizzare tre gioielli senza tempo: 1) un ipnotico riff letteralmente rubato a Song For My Father di Horace Silver, dallomonimo classico Blue Note, introduce Rikki Dont Lose That Number, romantica elaborazione di una cotta irrisolta, raccontata dallo struggente assolo di Jeff Skunk Baxter e da memorabili passaggi lirici*, con quel numero a cui si aggrappa lo spasimante - malgrado le implicazioni pratiche anteriori allavvento della telefonia mobile - nella speranza che prima o poi lei lo richiami ( you tell yourself youre not my kind, but you dont even know your mind, and you could have a change of heart, Rikki dont lose that number, you dont want to call nobody else, send it off in a letter to yourself its the only one you own, you might use it if you feel better, when you get home ); 2) Any Major Dude Will Tell You, ballad di sapore West Coast condotta dal piano elettrico di David Paich e intercalata dal celebre refrain barocco di Denny Dias, in cui un veterano saggio consola lamico pivello in merito a non meglio precisate beghe personali, versando a propria volta le lacrime dello squonk, mitologico animale dei boschi statunitensi a cui i Genesis intitolarono una famosa canzone di A Trick Of The Tail (Squonk); 3) With A Gun, lesto country & western contraddistinto da immacolate armonie vocali e da un testo che mette in guardia limbranato di turno dalla tentazione di usare le armi, perfetto avvertimento per gli infausti giorni del decreto sicurezza. Come accadeva con i Beatles - altra band che a metà carriera smise di suonare dal vivo - le sorprese si susseguono senza posa: Night By Night, cronaca di unesistenza bohemien raffigurata per enigmatiche allegorie e scandita dalle stoccate ritmiche della sezione fiati, con Jeff Porcaro alla batteria; la soave, cantabile melodia di Barrytown, misteriosa città dove accadono cose e si aggirano persone molto strane finché il coro dellinciso suggerisce che in the beginning we recall that the word was hurled, Barrytown people got to be from another world; Pretzel Logic, blues steelyzzato poi incluso stabilmente nella scaletta dei concerti dopo il ritorno, per recitare davanti al pubblico lamatissimo, indecifrabile verso «I stepped upon the platform, the man gave me the news, he said, you must be joking son, where did you get those shoes?»; Parkers Band, tributo della coppia a un proprio indiscusso modello di riferimento, con citazioni di etichette (Savoy Records), titoli (Groovin High, Relaxin At Camarillo), capiscuola (Charlie Parker, Dizzy Gillespie), luoghi (52nd Street) legati alla rivoluzione Be-Bop e duello finale di sax tra Plas Johnson e Jerome Richardson; Charlie Freak, tragico ritratto di un emarginato esposto in una cornice di accordi minori per pianoforte cui, presto, sarebbero seguite altre indimenticabili figure di perdenti [Kid Charlemagne (The Royal Scam), Deacon Blues (Aja), Third World Man (Gaucho) etc.]; Through With Buzz, abbagliante fotogramma di appena un minuto e mezzo decorato da un inconsueto ricamo darchi diretti da Jimmie Haskell; Monkey In Your Soul, disinvolto shuffle che traccerà una falsariga ripercorsa lanno successivo da Daddy Dont Live In That New York City No More (Katy Lied). Lo standard di Duke Ellington (East St. Louis Toodle-Oo) serve a ribadire le comuni radici dei due autori. Nostro CD per lestate 2019 (P.S. - *Dapprima - e a lungo - intese come una losca metafora relativa allimpiego clandestino di marijuana, le parole si riferivano semplicemente a una ragazza di cui si era invaghito Fagen allepoca del college.) - B.A. STEELY DAN - KATY LIED (1975) Un perfezionismo proverbiale e quasi famigerato avrebbe fatto degli Steely Dan i massimi virtuosi - insieme a Beatles e 10cc - dello studio di registrazione inteso come strumento creativo. È pertanto bizzarro che proprio Walter Becker e Donald Fagen, in un habitat così familiare, siano incorsi in due clamorosi incidenti sul lavoro: le canzoni perdute di Gaucho (Heartbreak Souvenir; The Second Arrangement) e i danni collaterali subiti dai nastri di Katy Lied [lingegnere del suono Roger Nichols eseguì il missaggio attraverso uno speciale filtro anti-rumore (DBX), che appannò irrimediabilmente il master originale]. E tuttavia, la ristampa CD di Katy Lied vanta una qualità hi-fi superba per unincisione del 1975: al fine di riprodurre le frequenze tagliate dal congegno difettoso - gli audiofili più incalliti non ce ne vorranno - è sufficiente tarare un po lequalizzatore. Finalmente liberi dallo stress dei tour, Becker e Fagen possono concentrarsi sullattività prediletta: scrivere e registrare musica. I nuovi arrangiamenti ruotano attorno a un meraviglioso pianoforte a coda Bösendorfer, scelto appositamente da Michael Omartian per lo studio ABC di Hollywood, su incarico degli autori. Gli altri ruoli chiave sono coperti da Michael McDonald (cori), Jeff Porcaro (batteria) e dai più ispirati chitarristi mai apparsi in un disco rock: Dean Parks che brucia di passione per Rose Darling, Rick Derringer che stravolge lalgido blues di Chain Lightning, Denny Dias rapito dallenigmatico valzer di Your Gold Teeth II [ripreso nel 1996 da Herbie Hancock (The New Standard)], Elliott Randall immerso nei segreti di Throw Back The Little Ones, Larry Carlton che debutta a corte su Daddy Dont Live In That New York City No More, lo stesso Walter Becker che cesella i temi di Black Friday e Bad Sneakers. Il mito Steely Dan si consolidò anche grazie a questi assoli: brandelli di jazz (cool, hard-bop) magistralmente integrati a melodie sublimi e liriche sibilline, a beneficio di racconti beat che ciascuno può interpretare secondo la propria indole. Phil Woods è lospite donore dellalbum: dopo lemozionante fraseggio del sax alto e gli elegiaci flashback del testo, ci interessa davvero sapere chi era il Doctor Wu*? La grafica dei credits debitrice dello stile Prestige e Contemporary. Il calembour suggerito dalla foto di copertina, che ritrae un grillo detto katydid. La forza espressiva dei personaggi immaginari (la perfida Snake Mary, il depravato Mr. LaPage). Linsopprimibile anelito alla fuga di Any World (That Im Welcome To). Tutto concorre a fare di Katy Lied un classico americano, allaltezza di qualsiasi grande libro o film coevo. [P.S. - Oscene le recensioni dei critici John Mendelsohn (Rolling Stone) e Nick Kent (New Musical Express) che, allepoca, stroncarono Katy Lied così, tanto per darsi un contegno: ci piacerebbe potervi riferire che un simile sfregio abbia esposto entrambi al pubblico ludibrio, ma non siamo aggiornati in merito. Coi tempi che corrono, anzi, cè il rischio che gli esperti abbiano fatto carriera.] - B.A. *Doctor Jing Nuan Wu (1933-2002) - An acupuncturist and artist based in Washington D.C., emigrated from China to the U.S.A. at a young age and graduated from Harvard to become a Wall Street venture capitalist, finally setting up a Taoist clinic in Washington in 1973. Apparently helped one of the band to overcome drug addiction in the mid-70's, hence the lyrical tribute.] - Dan OMalley STEELY DAN - THE ROYAL SCAM (1976) Dopo lincidente occorso ai nastri di Katy Lied, Becker e Fagen ritornano con unopera darte che conferma il loro status di intellettuali del rock e la loro capacità di trarre il massimo dai diversi musicisti coinvolti. Ogni assolo di chitarra è una canzone nella canzone, ogni colpo sul rullante un perfetto connubio tra classe e sentimento. I mascalzoni che per anni hanno ingannato il pubblico con la presunta freddezza degli Steely Dan vengono messi a tacere da Everything You Did, Dont Take Me Alive, Kid Charlemagne e Green Earrings. La sezione fiati si abbandona ad acrobatiche contorsioni per inseguire gli accordi di The Caves Of Altamira, mentre lo splendido fraseggio di Paul Griffin (piano acustico) su Sign In Stranger tradisce un inequivocabile retroterra jazz. Il reggae beffardo di Haitian Divorce e il sinuoso tema di The Fez penetrano agevolmente la cortina di ferro di un ascolto distratto. In seguito alla pubblicazione dellantologia Citizen Steely Dan, lacquisto dei singoli CD anni '70 non ha più senso: in generale, perché la qualità audio del cofanetto è decisamente superiore a quella delle prime ristampe digitali MCA, e in particolare perché nella copia di The Royal Scam manca linedito Here At The Western World, un capolavoro inciso durante le stesse sedute, ma allepoca escluso dallalbum perché non affine al resto del materiale. Rinunciare a quel brano sarebbe una follia. - B.A. STEELY DAN - AJA (1977) Aja è la più grande esperienza di koiné della musica pop: difficile e facile, godibile e indecifrabile, tormentato e lineare. - Enrico Sisti Ajas only Grammy Award was for engineering, which is a bit like giving the ceiling of the Sistine Chapel a trophy for best matte finish. - Don Breithaupt* La
brillante metafora della Cappella Sistina ci rivela che
dietro linvolucro lussuoso di una manifattura
tecnicamente impeccabile cè la sostanza delle
grandi opere darte. Dopo un gioiello come The Royal Scam, gli Steely Dan avevano
raggiunto linvidiabile status di chi non deve
dimostrare più nulla a nessuno. Eppure, proprio in quei
momenti si manifesta il segno dellispirazione più
spontanea, quando un artista al culmine della parabola
creativa partorisce il capolavoro che trascende i suoi
stessi, presunti limiti. Perdonate liperbole ma ...
musica strumentale a parte, categoria in cui per ovvi
motivi la formula canzone non può rientrare, Aja
è il migliore e più importante album degli anni
Settanta - dunque, anche dei miserabili decenni
successivi - probabilmente di gran lunga. Portando alle
estreme conseguenze il dispendioso metodo di mettere
insieme la band ideale per ciascun brano, Walter Becker e Donald Fagen
impiegano con profitto i soldi della ABC
per reclutare la crema dei fuoriclasse di entrambe le
coste statunitensi, elaborando una sintesi perfetta dello
spirito e delle atmosfere di New York e Los Angeles. Con Aja,
il rock diventa maggiorenne. Il
lento battito funk di Black Cow imposta un clima
notturno, sofisticato, chandleriano, percorso dalle
inquadrature cinematografiche del testo, da seducenti
voci femminili e dagli splendidi fraseggi di Victor
Feldman (piano elettrico) e Tom Scott (sax
tenore): la ridicola scopiazzatura rap di
Lord Tariq e Peter Gunz [Deja Vu (Uptown Baby)]
subirà il giusto dileggio da parte degli autori nel
documentario di Alan Lewens.
Larrangiamento della title-track si espande agli
otto minuti di una piccola rapsodia istoriata dai ricami
di tre chitarre e culminante nellepico duello tra Steve Gadd
(batteria) e Wayne Shorter (sax tenore):
lex-davisiano e co-fondatore dei Weather Report
accettò linvito in studio con qualche esitazione,
subito rimossa dalla solida dimestichezza col jazz dei padroni di casa. Per
ammissione dello stesso Donald Fagen, la
sceneggiatura di Deacon Blues (nel 2007 provammo
il brivido di ascoltarne le note alla radio americana
appena varcato il confine tra Québec e Vermont) rievoca
poeticamente sogni, ambizioni e inquietudini di un
loser cresciuto nei quartieri suburbani della
metropoli: lo struggente sax tenore di Pete Christlieb
parla a nome di una generazione che, delusa dal '68, non
aveva ancora trovato il senso della vita. Gli Steely Dan
suggerivano di cercare le risposte nei cataloghi Blue Note e Contemporary.
Celeberrima ode a unaspirante diva del cinema, Peg
ottiene limmortalità con lelastica scansione
di Rick Marotta, i cori armonizzati di Michael McDonald,
lo slap invisibile di Chuck Rainey e il
meraviglioso assolo hawaiiano di Jay Graydon (prima
di lui, tra gli altri, si cimentarono senza successo
Robben Ford, Elliott
Randall, Rick Derringer etc.). Cullata dalla
fenomenale sezione ritmica di Bernard
Pretty Purdie (batteria), Chuck Rainey
(basso) e Victor Feldman (pianoforte), Home At Last
adatta liberamente il mito omerico del ritorno a una
sublime ballad sospesa tra il sollievo dellapprodo
e il desiderio di salpare ancora. Il capriccioso riff del
piano acustico catapulta il fantasma di Thelonius Monk
nel fermento soul di I Got The
News: superbe le chitarre di Walter Becker e Larry Carlton,
emozionante lintermezzo vocale di Michael McDonald
(... Broadway Duchess ...),
spettacolare la batteria di Ed Greene. Trainata dallinfallibile beat del
veterano Jim Keltner (batteria), Josie procede in
bilico tra crude allegorie liriche ed eleganti soluzioni
espressive: lefficace contrasto
trasgressione/finezza ne farà unintramontabile,
scintillante pop-song per tutte le stagioni. Memorabile
la misteriosa foto di copertina scattata da Hideki Fujii
alla modella giapponese Sayoko
Yamaguchi. STEELY DAN - GAUCHO (1980) Lattesa creata dal successo dellalbum precedente (Aja) darà vita allevento discografico di fine decennio. Le indiscrezioni più fantasiose si accavallarono, fino a lasciar filtrare un titolo provvisorio - Metal Leg - che resterà come bizzarra testimonianza di un parto assai travagliato. A noi preme ricordare che Gaucho a) segna lo scioglimento temporaneo degli Steely Dan, che però si protrarrà fino al 2000; b) sarà uno dei primi LP interamente registrati con tecnica digitale; c) darà un contributo decisivo al suono della musica fusion, rock, soul, A.O.R.: nulla di ciò che è venuto dopo ha eguagliato - e tanto meno superato - la perfezione di questi arrangiamenti. Louverture è grandiosa: Bernard Purdie imposta un 'beat' in levare lento ma articolatissimo, Don Grolnick dispone una scacchiera di accordi misteriosi sul piano elettrico, mentre le Babylon Sisters - moderna versione del coro nella tragedia greca - piangono il destino di un poveraccio travolto da una passione senza speranza: « My friends say no dont go for that cotton candy / Son youre playing with fire / The kid will live and learn / as he watches his bridges burn / from the point of no return ». Labisso siderale che separa Becker e Fagen dal resto del mondo trova qui una scioccante epifania. Hey Nineteen ci riporta sulla Terra: con la sua voce analgesica e impassibile Donald Fagen interpreta la controversa figura di un aspirante Humbert Humbert, riproponendo leterno caso delluomo maturo che ci prova con una teen-ager. Lamara constatazione che i due non hanno nulla in comune si stempera su un ritmo dolce e ballabile: « Hey Nineteen, thats Retha Franklin / She dont remember the 'Queen of Soul' She thinks Im crazy / but Im just growing old ». Lo stesso personaggio riapparirà ventanni dopo nei panni del depravato Cousin Cupree (Two Against Nature). Quasi a smentire il presunto dispotismo di Becker e Fagen nei confronti dei session-men, Steve Khan improvvisa a lungo con la sua Telecaster sopra lammaliante sezione fiati di Glamour Profession: un intervento che lascerà il segno. Lassolo su Time Out Of Mind - virtuosismo 'dance' stimolato da intriganti allegorie erotiche - è la cosa migliore mai realizzata da Mark Knopfler, il quale in seguito si dimostrerà incapace di rendersene conto. My Rival lambisce il tema della gelosia alla maniera degli Steely Dan, con un approccio sghembo, liricamente imperscrutabile, musicalmente geniale. Un autentico 'dream-team' - Joe Sample (tastiere), Larry Carlton (chitarra), Chuck Rainey (basso), Steve Gadd (batteria) - mette in scena la solenne melodia di chiusura (Third World Man), tra le cui note si scorgono i mille volti della sconfitta esistenziale: il protagonista è un reduce, un emarginato, un perdente, o forse solo uno come noi. Due canzoni non vedranno mai la luce: 1) Heartbreak Souvenir fu accantonata per sfinimento, poiché non cera modo di eseguirla come volevano gli autori; 2) The Second Arrangement - mancato sequel per il romanzo/film di Elia Kazan - era ormai pronta, ma venne accidentalmente cancellata da un tecnico che si era assopito sul banco del mixer. Per i dettagli sulla sciagura vi rimandiamo allaccurata ricostruzione storica di Brian Sweet (Reelin In The Years - Omnibus Press). Walter e Donald dovettero anche affrontare una causa per plagio intentata da Keith Jarrett, che li accusò di aver utilizzato parte di una sua vecchia composizione - 'Long As You Know Youre Living Yours - in un passaggio della title-track. Il pianista fu a dir poco villano nei confronti di due sinceri amanti del jazz. Ammettiamo pure qualche analogia fra i brani e allora? Cera bisogno di chiedere i danni? Caro Keith, radix enim omnium malorum est cupiditas. - B.A. STEELY DAN - TWO AGAINST NATURE (2000) Gli anni '70 sono lontanissimi e la rivoluzionaria fusione stilistica di Aja è un ricordo indissolubilmente legato a quellepoca. Ma se il clamoroso ritorno in scena di Walter Becker e Donald Fagen non consente di tracciare paralleli con i precedenti album degli Steely Dan, anche tra le pieghe di questo nuovo capitolo emergono alcuni aspetti familiari della loro musica. Innanzitutto la sensazione di apparente uniformità trasmessa inizialmente dalle canzoni. In un primo momento è persino difficile distinguere un brano dallaltro: i ritmi si assomigliano, le armonizzazioni si fanno sfuggenti, la voce di Donald risulta monocorde per un po non accade nulla. Poi, quando ascolti il CD per lennesima volta, magari mentre sfogli distrattamente una rivista, ecco che il prodigio si ripete: Almost Gothic svela allimprovviso tutta la perfezione del suo disegno melodico, ispirato a una logica ferrea e illuminato dai bagliori del genio. Il testo della trasgressiva Cousin Dupree tradisce lindole ribelle di chi è cresciuto leggendo Burroughs, Kerouac, ma anche Nabokov. Mentre ti chiedi in quale remoto angolo di Terzo Mondo abbiano scovato lincastro metrico di Two Against Nature (6/4), il riff ipnotico di Jack Of Speed ti paralizza: davanti agli occhi scorre limmagine pallida di unemaciata Negative Girl, che va ad aggiungersi alla memorabile galleria di ritratti femminili collezionati da Fagen (Rikki Dont Lose That Number; Rose Darling; Peg; Josie; Babylon Sisters; Hey Nineteen; Maxine; Tomorrows Girls). Ancora donne in primo piano su Janie Runaway, Gaslighting Abbie, What A Shame About Me: controverse, sarcastiche, arrivate, sempre protagoniste di contorti sviluppi narrativi commentati con acume dalla chitarra di Becker, talmente espressiva da sembrare viva. Gli arrangiamenti recuperano quellinimitabile crossover tra rock e jazz che ha fatto da colonna sonora alle nostre vite, e labilità della coppia nellindividuare il solista più in forma del momento è confermata dalla presenza di Chris Potter: il giovane sassofonista aggiunge la propria firma a un registro degli ospiti sempre più prestigioso (Phil Woods, Wayne Shorter, Michael Brecker etc.). Come prova di lucidità è inconfutabile, ma le prime impressioni valgono poco o nulla: come noto, per valutare un disco degli Steely Dan con cognizione di causa debbono trascorrere almeno dieci anni. Arrivederci al 2010*. [P.S. - Two Against Nature ha vinto 4 Grammy Awards: cè vita intelligente sulla Terra!] - B.A. *10 Anni Dopo - Tutto confermato, Two Against Nature è allaltezza del cofanetto Citizen Steely Dan e, come tale, indispensabile. - B.A. 20 Anni Dopo - Come un pregiato Aglianico del Vulture, Two Against Nature è invecchiato accrescendo il proprio valore, evidenziando altresì limbarazzante pochezza delle produzioni coeve. - B.A. STEELY DAN - EVERYTHING MUST GO (2003) Disco del Mese Luglio/Agosto 2003, JAM n°95 [ ] Come scrive il mio amico Bruno Anastasi, Two Against Nature ha vinto 4 Grammy Awards: cè vita intelligente sulla Terra!. Dopo la pausa ventennale tra un disco (Gaucho) e laltro (Two Against Nature), Becker e Fagen tornano a soli due anni dalla resurrezione con 40 minuti di musica allaltezza del loro mito. Al tradizionale reclutamento dei migliori session-men disponibili, gli Steely Dan del 2003 preferiscono ladozione di una line-up fissa - Keith Carlock (batteria), Jon Herington / Hugh McCracken (chitarre), Ted Baker (tastiere) - attorno a cui ruotano gli stessi leader e alcuni ospiti scelti col solito fiuto [Chris Potter (tenore); Bill Charlap (piano)]. Introdotta dal sax coltraniano di Walt Weiskopf, la title-track fa pensare a una Maxine aggiornata al terzo millennio. The Last Mall è velenosamente anticonformista: un vero e proprio mosaico di frasi a incastro, con richiami diretti a William Gibson, padre del 'cyberpunk'. Il prodigioso senso melodico degli autori risulta intatto anche su Blues Beach, Green Book, Things I Miss The Most e Godwhacker. Una schiera impressionante di gruppi validissimi (Deacon Blue, Prefab Sprout, Everything But The Girl, High Llamas, China Crisis etc.) è in debito con le loro intuizioni stilistiche. [ ] - Mauro Ronconi Il mio amico Mauro Ronconi ha ragione. Everything Must Go è un album splendido, a partire dalla copertina che rimanda alleloquente realismo in bianco e nero di Pretzel Logic: il venditore di frittelle fotografato nel '74 da RaeAnne Rubenstein diventa un anonimo vucumprà di colore che spaccia Rolex falsi. Vale a dire, il consumismo ha soppiantato per sempre la logica della sopravvivenza. I testi alternano cinici editoriali sul declino dellOccidente a passioni confessate con gelido distacco emotivo. Stile e arrangiamenti seguono la linea tracciata da Two Against Nature. Il parsimonioso assemblaggio della band è compensato da una sezione fiati diretta come pochi sanno fare. Gli assoli sono quasi tutti di Walter (chitarra) e Donald (tastiere): brevi fraseggi di senso compiuto che testimoniano un rinnovato entusiasmo per la musica. Interpretando il blues in chiave metropolitana e post-moderna, The Last Mall avanza lipotesi - allarmante per alcuni, vagheggiata da altri - che lultimo megastore della Terra stia per chiudere i battenti: moltitudini di anime sarebbero perdute. Grazie a un refrain più immediato degli altri, Blues Beach ha ottenuto unassidua rotazione persino sulle radio italiane. Per altro verso, le stesse emittenti hanno completamente ignorato una meraviglia come Things I Miss The Most, minuziosa anatomia di un amore finito: il modellismo navale - Im building the Andrea Doria out of balsa wood - offre unillusoria fuga dai rimpianti, mentre la citazione dellAUDI TT promuove il coupè tedesco nella categoria cult. La melodia di Pixeleen inanella una geniale catena di link armonici che, una volta memorizzati, lasciano lascoltatore in trance. Con Lunch With Gina entra in scena lennesima femme fatal di Donald: basti notare che un pranzo con lei is forever. Le parole di Godwhacker affrontano il delicato tema della religione da una prospettiva simile a quella che ispirò Godley & Creme per il capolavoro Goodbye Blue Sky. Latmosfera noir di Green Book e i riferimenti a Jill St. John, Mickey Spillane e Robert Aldrich evidenziano la cultura cinefila di Fagen (ricordate laccenno a Tuesday Weld su New Frontier?). Forse qualcuno rimpiangerà le complesse architetture ritmiche di Katy Lied, Aja o The Royal Scam, cui è subentrata una scansione più uniforme e regolare. Non lo dite a noi: ne abbiamo viste troppe per avere unopinione precisa a riguardo. [P.S. - Assolutamente imperdibile il video incluso nelledizione speciale del CD: un cortometraggio semi-improvvisato - Confessions - in cui Walter e Donald conversano senza inibizioni, spalleggiati da interlocutrici avvenenti e disinvolte.] - B.A. BARBRA STREISAND - THE BARBRA STREISAND ALBUM (1963) BARBRA STREISAND - THE SECOND BARBRA STREISAND ALBUM (1963) BARBRA STREISAND - THE THIRD ALBUM (1964) BARBRA STREISAND - PEOPLE (1964) BARBRA STREISAND - SIMPLY STREISAND (1967) BARBRA STREISAND - WHAT ABOUT TODAY? (1969) BARBRA STREISAND - BARBRA JOAN STREISAND (1971) BARBRA STREISAND - STONEY END (1971) BARBRA STREISAND - BUTTERFLY (1974) BARBRA STREISAND - THE WAY WE WERE (1974) BARBRA STREISAND - LAZY AFTERNOON (1975) STREISAND / KRISTOFFERSON - A STAR IS BORN (1976) BARBRA STREISAND - SUPERMAN (1977) BARBRA STREISAND - SONGBIRD (1978) BARBRA STREISAND - WET (1979) BARBRA STREISAND - GUILTY (1980) |
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